STRATEGIA DI PACE (dopo la guerra fredda…. l’Islam)

Per la prima volta, dopo il 1812, il popolo americano vive su quella che sarebbe la linea del

fronte di una nuova guerra mondiale. Nel 1814, quaranta vascelli inglesi, fuor dal porto di

Baltimora, spararono per 24 ore proiettili da 200 libbre.

‘Spettacolo tremendo a vedersi’, scriveva il vescovo John Carroll.

Ma quello spettacolo sarebbe niente al confronto di una città che salta per aria in una nube

nucleare, dopo una sola bomba all’idrogeno lanciata da un sottomarino sovietico. 

Oggi le nostre città sono il centro del bersaglio dei missili sovietici, allo stesso modo che le città

loro sono altrettanti bersagli per la nostra Forza Aerea Strategica. Per impedire tale

conflagrazione, occorre un intervento diretto che rompa il circolo vizioso della guerra fredda e

incanali nella sua giusta sede un circolo costruttivo di fiducia reciproca.

Giacché il circolo della paura si alimenta della corsa agli armamenti e dei conflitti politici fra

mondo occidentale e mondo comunista, potrebbe bastare un effettivo progresso rispetto

all’una e all’altra faccia del problema – rispetto alla sistemazione politica di una questione di

primo piano, o rispetto al controllo atomico e al disarmo – per avviare la spinta verso la 

pace, verso quel tipo di consenso a vivere e ad abitare sullo stesso pianeta che il Toynbee

prevede. Secondo questa formula progredire anche rispetto all’altro, purchè riusciamo a 

controllare la causa del circolo vizioso. Avendo queste cose in mente noi dobbiamo sollecitare

ogni possibile accordo per il disarmo, e non quale sostituto alla soluzione di alcune delle 

grandi divisioni politiche – per esempio la Germania, la Corea, il Vietnam, o la Cina – ma

come mezzo per far arretrare dal precipizio della guerra questi e tutti gli altri problemi.

La via per risolverli – l’unica che oggi sia aperta – passa attraverso i processi storici pacifici

di cui parla il Toynbee. 

E’ nostro compito di promuovere al più presto tali processi anche se per la soluzione definitiva

occorrerà l’opera di generazioni, forse di secoli. Alcuni affermano che non serve a niente

trattare con i russi in questi termini, perché i russi non si son mai tenuti, né mai si terranno,

ad accordo alcuno. Ma questo equivale a dire che la guerra è l’inevitabile sorte del genere 

umano. Lenin soleva dir questo, prima che la guerra significasse annientamento di popoli

interi. Lo ripeté Stalin, ciecamente, prima che sul Giappone fosse sganciata la bomba atomica.

Un americano non lo direbbe mai.

Noi crediamo nella ragione dell’uomo e nella possibilità di un’evoluzione pacifica, e perciò

non rinunceremo mai alla speranza che anche il più duro fra gli uomini politici del Cremlino

possa un giorno vedere la luce, almeno quanto basta per sapere che la guerra, nell’era della

bomba all’idrogeno, non è più un’alternativa dettata dalla ragione.

Esistono, lo ripeto, motivi di speranza. Frattanto noi non dobbiamo trascurare i nostri

armamenti. E non dobbiamo nemmeno lasciare che i desideri generino pensieri fallaci – di 

disarmo unilaterale, di disarmo senza adeguato controllo, o senza garanzie che l’una e l’altra

parte disarmino veramente. Ma non dobbiamo nemmeno permettere che la paura ci distolga

dalla speranza. La storia dimostra che i colloqui sul disarmo falliscono quando le nazioni non

hanno fiducia, l’una rispetto all’altra, che ci sia sincera intenzione di compiere il primo passo.

Anche quel primo passo dev’essere soggetto a controlli adeguati e concreti. Ma anche per far

questo occorre un minimo di fiducia. Quando dico ‘fiducia’ io non voglio dire che per un 

momento solo il Cremlino possa aver rinunciato alla sua meta di dominio sul mondo, o

che sia pronto a rinunciare al suo impero odierno. E nemmeno chiedo al Cremlino di 

credere che noi occidentali abbiamo abbandonato il nostro impegno verso i popoli dominati

dal comunismo, o il nostro desiderio di promuovere la liberazione pacifica di tutti i popoli.

Tuttavia, ammesso che ciascuno serbi intatti quegli obiettivi, noi possiamo anche giungere a

intendere che la pace è presupposto indispensabile dei nostri sforzi in quel senso. 

Naturalmente ciascuna parte presupporrà di vincere la gara. 

Khrusciov senz’ombra di dubbio ci ha dichiarato tale fiducia, ed io ho altrettanta fiducia di 

vedere, in condizioni di pace, la libertà irrompere e diffondersi per gli anni, fino ai nipotini

del capo del governo sovietico. 

Ma fiducia occorre; occorre credere che ciascuna parte saprà vedere quali sono i suoi interessi

nazionali, ed i reciproci interessi della sopravvivenza.  

(Il disarmo, Washington, D.C., 11 dicembre 1959, J.F. Kennedy Strategia di pace)

Prima parte….

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/23/strategia-di-pace.html

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LA COMMISSIONE

FERITE DA PROIETTILE                                           8978678.jpg

1) Si nota una vasta e

irregolare mancanza di

cuoio capulluto e

di ossa craniche

sulla destra,

interessanti

particolarmente

l’osso parietale e

le regioni temporale

e occipitale.

In queste regioni si

nota una mancanza di

cuoio capelluto e di

ossa per circa 13 centimetri

lungo il maggior diametro.

Dai margini irregolari della summenzionata ablazione cranica si notano lacerazioni in forma

stellata che penetrano nel cuoio capelluto più o meno intatto:

a) Dal margine inferiore destro temporale-parietale all’orecchio destro.

b) Dal margine parietale anteriore sino a quasi 4 centimetri sopra il margine orbitale destro.

c) Dal margine sinistro attraverso la linea mediana antero-laterale per una lunghezza di circa

8 centimetri.

d) Dallo stesso punto indicato in -c- per 10 centimetri postero-lateralmente.

Situata nella parte posteriore del cranio approssimativamente 2 centimetri e mezzo alla destra

e leggermente sopra la protuberanza esterna occipitale vi è una ferita lacerata che misura 

15 per 6 millimetri. 

Chiaramente visibile nella sopradescritta grave ferita e da essa uscente vi è del tessuto cerebrale

che a una più attenta ispezione mostra di essere la maggior parte dell’emisfero cerebrale 

destro. Si nota anche che la falx cerebri è vastamente dilacerata.

2) La seconda ferita, presumibilmente di ENTRATA, è quella descritta sopra, situata nella

parte superiore e posteriore del torace destro. Sotto la pelle vi è un’eschemosi che interessa

il tessuto sottocutaneo e la muscolatura. Il TRAGITTO DELLA PALLOTTOLA non può 

facilmente essere determinato. IL FORO DI USCITA è presumibilmente quello osservato

dal dottor Perry di Dallas nella parte anteriore del collo. Quando fu osservata dal dottor

Perry essa misurava ‘pochi millimetri di diametro’ ma POI FU ALLARGATA PER LA 

TRACHEOTOMIA E PERCIO’, AL MOMENTO DELLA AUTOPSIA, IL SUO CARATTERE

ORIGINARIO ERA PERDUTO. Un terzo punto fra queste due ferite può essere determinato

dal fatto che il proiettile toccò l’apice della cavità pleurale destra.

SOMMARIO

E’ NOSTRA OPINIONE, basata sulle precedenti osservazioni che IL SOGGETTO MORI’

A CAUSA DELLE FERITE provocate da proiettili animati da alta velocità e sparati da

persona o persone sconosciute.

I PROIETTILI FURONO SPARATI DA DIETRO E DA UN LIVELLO SUPERIORE A QUELLO

IN CUI SI TROVAVA IL DEFUNTO. 

Non si può stabilire la sequenza delle due ferite.

IL PROIETTILE FATALE ENTRO’ NEL CRANIO DALLA PARTE SUPERIORE DELLA

PROTUBERANZA OCCIPITALE. Una porzione del proiettile attraversò la cavità craniale

in direzione anteriore e posteriore depositando minuscole particelle lungo il suo tragitto.

Le due ferite al cranio, combinate con la forza del proiettile, produssero la frammentazione

delle ossa.

L’altro PROIETTILE ENTRO’ NELLA PARTE SUPERIORE E POSTERIORE DEL TORACE 

DESTRO, SOPRA LA SCAPOLA, E ATTRAVERSO’ I TESSUTI MOBILI delle regioni

sopra-scapolare e sopra-clavicolare alla base del collo. Il proiettile produsse anche contusioni

all’apice della pleura e alla parte superiore del lobo superiore del polmone destro. Il 

proiettile attraversò i muscoli del collo danneggiando la trachea. E’ certo che il proiettile

non colpì nessuna struttura ossea. 

Infine è nostra opinione che la ferita alla testa produsse danni troppo estesi al cervello perché

ci fosse la possibilità che il soggetto sopravvivesse alle sue ferite.

(Rapporto della Commissione Presidenziale sull’assassinio del 35° Presidente degli Stati Uniti

J.F. Kennedy)

                                                               

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