LIQUIDAZIONE DEL SOGGETTO (2)

Più specificatamente, sia detto questo in termini teorici: in nome di una cattiva soggettività

che ricorre al mito del capo carismatico e, insieme, al sentimento popolare tenuto sotto

tutela del Gergo dell’autenticità, nel modo di pensare di una volgare filosofia della vita

che non ammette astrazione né mediazione alcuna – si deve porre fine a tutte le testimonianze

e a tutti i testimoni che hanno arricchito la storia umana di opere e di valori permanenti.

E’ significativo che questa magica orgia di distruzione ruoti intorno al libro. 

L’ostilità verso ciò che è scritto, verso la scrittura, è diretta contro la libertà di un’

interpretazione pluralistica, ermeneutica e dunque individuale.

Non la parola scritta bensì l’urlo costituisce il carisma di un’immediatezza insofferente

di qualsiasi discorso tra soggetti autonomi. 

Nell’ultimo anno del regime nazista raccolsi in un articolo alcune riflessioni sulla sorte

dell’individuo nell’epoca del terrore. Il moderno sistema del terrore mi sembrava dimostrare

la perfetta riuscita dell’atomizzazione dell’individuo. La disumanizzazione messa in atto

dal terrore consiste innanzitutto nell’integrare completamente la popolazione in collettivi

che paralizzano qualsiasi comunicazione tra gli esseri umani, nonostante, o meglio, proprio

a causa dell’enorme apparato di comunicazione del quale sono in balìa. 

Adesso aggiungerei che in questo processo psicologico di massa un meccanismo importante

deve essere stato il rogo dei libri. In una situazione di terrore il singolo è sempre solo e non

è mai solo. S’intorpidisce e diventa insensibile non soltanto nei rapporti con gli altri, ma

anche in relazione a se stesso. La paura gli toglie la capacità di reazioni emotive e conoscitive

spontanee. Lo stesso atto del pensiero si traduce in stupidità: è pericoloso per la sopravvivenza.

Sarebbe da stupidi e perciò l’intera popolazione terrorizzata è colta da istupidamento 

generale. Gli uomini cadono in uno stato di torpore e ottusità simile a un coma morale.

Certo, la trasformazione di un uomo da individuo, la cui essenza è costituita dalla continuità

di esperienze e ricordi, a semplice fascio di reazioni frammentate ha avuto conseguenze più

profonde tra le vittime inermi in stato di detenzione che non tra la popolazione ‘libera’.

Ma, in fondo, la differenza è solo di grado. La vita diventa per tutti una catena di shock

attesi, subiti, oppure evitati, e questa teoria di esperienze intermittenti conduce alla 

frammentazione dell’individuo.

In una società terroristica, nella quale tutto è pianificato con la massima cura, il piano

consiste per gli individui nel fatto che per loro non c’è, né dovrà mai esserci alcun piano.

L’uomo è ridotto a un mero oggetto, a un fascio di riflessi condizionati, con i quali impara

a reagire a innumerevoli shock manipolati e calcolati. 

(Leo Lowenthal, I roghi dei libri)

 

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LIQUIDAZIONE DEL SOGGETTO

Torniamo a Calibano.                                        8789786756.jpg

Il suo spaventoso

progetto di

annientamento,

in base al quale i

libri vengono distrutti,

il padrone di casa

assassinato, la figlia

dosonorata, coglie nella

sua emblematicità il

contesto in cui vanno

collocati i roghi dei libri:

estinzione della memoria,

estinzione dello specifico,

dichiarazione di guerra

dell’individuo, ricaduta

dalla continuità storica

dotata di senso nel nulla, nel caos,

insomma trasformazione dello spazio storico in natura bruta.

Benché possa sembrare strano che io usi queste parole pregnanti e molto gravi anche

per la civiltà che si suole citare con grande reverenza, il fatto è che nessuna dittatura

tollera l’individualità, ciò che di idiosincratico vi è nel soggetto critico. Chi si è impadronito

del potere assoluto vuole annientare tutto ciò che interpreta la storia in termini religiosi o

razionale, in breve ciò che rappresnta l’ancoraggio storico di passato, presente e futuro.

Reazione stalinista o reazionaria rivoluzione culturale cinese, è lo stesso.

Shih Huang-ti condannò a morte, spesso facndoli seppellire vivi, o bollò col marchio

d’infamia e mandò a lavorare alla costruzione della grande muraglia, tutti coloro che

nascondevano libri proibiti. Chi osasse dibattere in privato i libri proibiti veniva addirittura

condannato a morte. Lo stesso avveniva nella fase assolutistica dell’impero romano,

quando non soltanto possedere, ma addirittura leggere libri condannati era considerato

un delitto: tanto profonda era la violazione della sfera privata!

Lo stesso accadde durante l’Inquisizione.

Uno storico ha scritto: la scrupolosità con cui vien fatta pulizia supera ogni immaginazione.

Qualche esempio: per quattro mesi un censore passa otto ore al giorno nella biblioteca

privata di un facoltoso spagnolo per rimuovere tutte le opere vietate.

Chi stampa senza permesso è mandato a morte.

Un professore universitario che trae citazioni da libri proibiti è condannato a quattro anni

di prigione e ad astenersi dall’insegnamento per il resto della sua vita.

In base all’articolo 58, sezione X del codice penale dell’URSS chi ‘vende, produce o conserva

letteratura di questo genere’ commette il ‘delitto di CONTRORIVOLUZIONE INDIVIDUALE’

ed è punito con la privazione della libertà per un periodo di tempo illimitato.

Durante il regime staliniano furono dati alle fiamme milioni di libri di scrittori ridotti a

‘non persone’ – spesso in tutti i sensi immaginabili del termine – individui estinti come tali.

Nelle diverse fasi e metamorfosi sono sempre l’individualismo, la cura dell’individuo, la

sua ansia di opporsi e difendere il privato che occorre eliminare. Ciò è vero per l’individualismo

del confucianesimo, per quello della cultura classica, per l’individualismo del Rinascimento

e naturalmente per gli aspetti individualistici della società contemporanea, che nel regime

totalitario e autoritario, vanno tolti di mezzo.

(Leo Lowenthal, I roghi dei libri)

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L’ORDINE DEL GIORNO (2)

L’ordine regolato                                           897867.jpg

dalla vita urbana

si è venuto

costituendo contro

le forze indisciplinate

che lo hanno preceduto

e la cui minaccia

persiste oltre le mura:

ora, allontanandosi da

una città corrotta, che

non offre più protezione

di un ordine

soddisfacente, il ‘saggio’

cerca rifugio non negli

spazi aperti della natura, ma nella cerchia

modesta di una casa di campagna solidamente costruita, dove troverà libri, vino, amici.

In questo luogo, che è preferibile alla città e che i signori della città gli concedono per

ristorarlo dalle ansie della vita cittadina, egli può abbandonarsi al piacere di lodare

poeticamente la semplicità dei primordi, il mondo com’era prima che fossero costruite

le città. E può vivere senza misurare il suo tempo, senza subordinarlo a un ‘orario’ 

fissato dagli ‘altri’. 

Se, da questo punto di vista, si crede in grado di paragonare la sua vita a quella dell’uomo

delle età primitive, da lui si differenzia poiché ha preso coscienza del suo diritto di 

esercitare un controllo sull’organizzazione temporale della propria vita: conosce, ormai,

il carattere nefasto delle ‘occupazioni’ cittadine, sa apprezzare i benefici del nuovo ozio

che lo libera da esse. Può spiegare quale sia l’impaccio del tempo per chi si sottomette

alle regole del dovere urbano e può dire che felice uso faccia egli ormai, per parte sua,

dei suoi giorni, di cui ha ripreso il pieno possesso.

Leggere, dormire….Ma anche comporre satire, epistole o lettere in prosa.

La scrittura contraddistingue, all’occorrenza, la riapproprazione cosciente del tempo.

Il tempo riconquistato porta con sé il momento supplementare in cui l’individuo si

dedica all’enunciazione della propria felicità, a fare il bilancio delle giornate di cui

è ormai lui solo a disporre.

Ora, dire come si trascorre il proprio tempo significa dirsi, costruirsi un’identità,

fissare l’io nella singolarità dei suoi atti e dei suoi fatti.

Micheal Foucault ha recentemente sottolineato la funzione avuta dalla lettera e dalla

descrizione delle prorie giornate nella nascita della ‘scrittura del sé’. L’inizio della

lettera 83 di Seneca a Lucillo è, al riguardo, rivelatore:

” Tu vuoi ch’io ti renda conto di come impiego tutte le mie giornate, tutte le mie ore.

Devi avere una buona opinione di me, se credi che in esse non vi sia nulla che io

abbia interesse a nascondere. L’uomo dovrebbe agire sempre come se vi fossero dei

testimoni della sua condotta, pensare come se altri potesse vedere il fondo del suo

cuore: e questo è davvero possibile.

A che serve, infatti, sottrarsi agli occhi degli uomini? Niente è nascosto a quelli di Dio.

Egli è presente nelle nostre anime, interviene nei nostri pensieri. Dico ‘interviene’ poiché,

talvolta, se ne ritrae. Vengo dunque alla tua domanda: ti svelerò volentieri l’ordine e i

perticolari della mia condotta; mi accingo cioè, senza perder tempo, a esaminare me stesso.

E il modo più utile di farlo sarà, ogni sera, passare in rassegna la mia giornata.

Oggi la mia giornata è stata completa; NON SONO STATO PRIVATO DI NULLA:

E’ STATA INTERAMENTE DIVISA FRA IL SONNO E LA LETTURA….”.

(Jean Starobinski, L’ordine del giorno)

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L’ORDINE DEL GIORNO

Che il tempo

sia prezioso;                                                         98745366.jpg

che debba essere

gestito,

controllato,

organizzato in

vista dell’

acquisizione di

beni materiali,

della

saggezza

filosofica o della

salvezza

dell’anima;

che, viceversa,

la pigrizia e l’imprevidenza siano da condannare – ecco una serie di convinzioni che si

affermano in proporzione diretta all’instaurarsi delle costrizioni costitutive della civiltà.

A seconda delle circostanze, tali costrizioni hanno riguardato a volta a volta l’aspetto

morale dell’organizzazione del tempo o del suo aspetto materiale e, in qualche caso,

insieme, sia l’uno che l’altro settore, in cui una regolare assiduità era allora richiesta

in vista di un doppio profitto.

Non fare, del proprio tempo, l’impiego migliore possibile, equivaleva a perdere i

propri beni, la propria vita, la propria anima.

Questa prima constatazione ne introduce una seconda: più l’esigenza di una disciplina

del tempo si è fatta imperiosa, più l’individuo ad essa sottoposto è parso incline a

proiettare su spazi immaginari l’idea di una esistenza libera da ogni costrizione.

Parallelamente, dunque, alle regole della vita civile e all’obbligo di fare buon uso del

proprio tempo, si costruisce l’immagine antinomica di un ozio non ancora colpevole

o quella di un riposo futuro, riservato come ricompensa a coloro che non si saranno

dati riposo nella lotta contro le forze ostili alla salvezza; o, infine, quella di una vita

pastorale, in cui la necessità del lavoro e dell’organizzazione del tempo sia meno

pesante. Si potrebbe giungere sino ad affermare che, nella storia della cultura, il

privilegio dell’atemporalità riconosciuto ai fittizi giardini della felicità – paradisi,

‘paesi di nessun luogo’, Arcadie – ha corrisposto, in forma inversa e simmetrica,

alla costrizione che sottoponeva il tempo della vita quotidiana all’obbligo di un

uso scrupoloso. E, paradossalmente, sembra che lo sforzo volto a scongiurare

l’improduttività della pigrizia e dell’imprevidenza abbia contribuito a rendere

desiderabile un ozio liberato dal tempo, offerto in un orizzonte che trascendesse

la necessità delle occupazioni pratiche e della misura del tempo.

(Jean Starobinski, L’ordine del giorno)

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CHE COS’E’ IL GENIO? (2)

                                    

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L  problema

del genio è stato una preoccupazione costante di R.W. Emerson,

che è la mente d’America, come Whitman è il suo poeta e Henry

James il suo romanziere.

Per Emerson il genio era il dio che abbiamo dentro di noi,

l’essenza della ‘fiducia in se stessi’.

L’essere dell’uomo, in Emerson, non è dunque costituito

dalla storia, dalla società, dal linguaggio.

E’ originario.

Io sono completamente d’accordo.

Se il genio è il dio che abbiamo dentro di noi dobbiamo cercarlo lì, nell’abisso del

nostro essere originario, un’entità sconosciuta a quasi tutti coloro che l’hanno spiegata

ai giorni nostri, nelle università intellettualmente derelitte e nelle oscure fucine sataniche

de media.

Emerson e gli gnostici antichi sono d’accordo sul fatto che ciò che è migliore e più arcaico

in ognuno di noi non è parte della Creazione, né della natura, né di ci che è estraneo a noi.

Ognuno, presumibilmente, è in grado di individuare la sua parte migliore.

Ma come troviamo la nostra parte più arcaica?

Dove comincia il nostro essere?

La risposta freudiana è che l’ego fa un investimento su se stesso e così entra in un individuo.

La risposta degli antichi è che c’è un dio dentro di noi e che questo dio parla.

Io credo che una definizione materialista del genio sia impossibile, ragione per cui l’idea

del genio ha così poco credito in un’età come la nostra, in cui le ideologie materialiste

sono dominanti.

Il genio, di necessità, invoca il trascendente e lo straordinario perché è pienamente

consapevole della loro esistenza.

(H. Bloom, Il genio)

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CHE COS’E’ IL GENIO?

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L …genio.

Qual è il rapporto tra vero genio e autorità costituita?

In questo momento, all’inizio del XXI secolo, direi nessuno,

proprio nessuno.

La nostra confusione riguardo agli standard canonici del genio è ora una confusione

istituzionalizzata: tutti i giudizi sulla distinzione tra talento e genio sono affidati ai

media e obbediscono alle politiche culturali e ai loro capricci.

Il genio afferma la sua autorità su di me qundo gli riconosco poteri più grandi dei miei.

Emersono, il saggio che cerco di seguire, disapproverebbe la mia resa pragmatica, ma il

genio di Emerson era così grande che poteva permettersi di predicare la fiducia in se

stessi. Io ho insegnato per 46 anni senza interruzione e mi piacerebbe riuscire a stimolare

nei miei studenti una fiducia in se stessi come la sua, ma nella maggior parte dei casi non

ci riesco e non lo faccio. Spero di allevare in loro il genio, ma riesco solo a insegnare il genio

dell’apprezzamento. Ecco il principale scopo di questo libro (e blog): attivare il genio

dell’apprezzamento nei miei lettori, se mi riesce.

Queste pagine sono state scritte il giorno dopo il trionfo del terrorismo che l’11 settembre

2001 ha distrutto il World Trade Center e le persone intrappolate in esso. Nell’ultima settimana

ho tenuto le lezioni che avevo in programma su Wallace Stevens ed Elizabeth Bishop, sulle

prime commedie di Shakespeare e sull’Odissea. Non posso sapere se ho aiutato i miei

studenti in qualche modo, ma io ho momentaneamente respinto il mio trauma personale

attraverso il fresco apprezzamento del genio.

Cosa, io e molti altri, appreziamo del genio?

Un brano del ‘Diario’ di Emerson si aggira sempre nella mia memoria:

“….E non stranamente tutto in noi? Osservate questi uomini qui riuniti; si potrebbero

pronunciare parole – anche se ora potrebbe non esserci qui nessuno che lo faccia – si potrebbero

comunque pronunciare parole che li farebbero barcollare e vacillare come ubriachi. Chi ne

dubita? Siete mai stati istruiti da un uomo saggio ed eloquente? Ricordatevi allora: non 

sono state le parole che vi hanno fatto gelare il sangue, che vi hanno fatto arrossire, che 

vi hanno fatto tremare o che vi hanno dato piacere? Non vi sono sembrate vecchie quanto

voi? Non è la verità che conoscevate prima, o vi aspettate forse di essere commossi dal 

pulpito o da un uomo attraverso qualcosa che non sia semplicemente la verità? Mai. E’

Dio in voi che risponde a Dio fuori di voi o afferma le sue parole tremando sulle labbra

di qualcun’altro”. 

Brucia ancora dentro di me:” Non vi sono sembrate vecchie quanto voi?”. L’antico critico

Longino chiamava il ‘genio letterario’ ‘il sublime’ e interpretava la sua azione come un

trasferimento di forza dall’autore al lettore:

” Per natura, infatti, l’anima nostra viene per così dire innalzata sotto la spinta del vero

sublime, e preso possesso di un superbo trampolino di lancio, si riempe di gioia e d’orgoglio

quasi che essa stessa avesse creato quel che ha udito”.

Sono necessarie letture approfondite per accertare la presenza del genio letterario, difficile

da definire. Il lettore impara a identificarsi con ciò che sente come una grandezza che può

aggiungersi al suo essere senza violarne l’integrità. 

La ‘grandezza’ può essere passata di moda, come lo è il trascendente, ma è difficile continuare

a vivere senza una qualche speranza di imbattersi nello straordinario.

L’incontro con lo straordinario in un’altra persona può rivelarsi ingannevole o deludente.

Lo chiamano ‘ammalarsi d’amore’ e l’espressione è un avvertimento. Affrontare lo

straordinario in un libro, sia esso la Bibbia, Platone, Shakespeare, Dante, Proust, significa

beneficiarne praticamente senza pagare alcun prezzo. 

Il genio, attraverso i suoi scritti, è la via migliore per raggiungere la saggezza, cosa che io

ritengo essere la vera unità DELLA LETTERATURA PER LA VITA.

(aggiunge l’autore del blog…: per questo è così difficile oggigiorno incontrare il genio, o

almeno sperare la che la sua natura non appassisca del tutto nel mare dell’imbecillità che

ci circonda….)

(H. Bloom, Il genio)

Da http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/02/11/pane-e-castagne.html

      http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/02/11/pane-e-castagne-2.html

     http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/01/21/pane-e-castagne.html

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RAZZA E BUROCRAZIA

Durante i primi decenni                                                        786789.jpg                                                      

dell’imperialismo

vennero

scoperti due nuovi

strumenti, uno per

l’organizzazione

politica,

la razza, e l’altro

per la dominazione

su popoli stranieri,

la burocrazia senza

la razza al posto

della nazione, la corsa

alla conquista dell’Africa

e la frenesia

dell’investimento sarebbero probabilmente rimaste allo stadio di casuale ‘danza della morte

e del commercio’, tipica di ogni caccia all’oro.

Senza la burocrazia come surrogato del governo, i possedimenti britannici in India sarebbero

probabilmente rimasti abbandonati all’avventatezza dei ‘violatori della legge’ senza cambiare il

clima politico di un’intera epoca.

Entrambe le scoperte furono compiute sul continente nero.

La razza fu la spiegazione d’emergenza con cui gli europei reagirono all’incontro con esseri

umani che essi non potevano comprendere e neppure erano disposti a riconoscere come

uomini, come propri simili.

Fu la risposta dei boeri all’orrore provato di fronte all’opprimente mostruosità dell’Africa,

spettralmente popolata e sovrappopolata da esseri che non sembravano né uomini né

animali, una spiegazione della follia che li prese e abbagliò come ‘un lampo in un cielo

sereno: “STERMINATE TUTTI I BRUTI” ‘.

Questa risposta sfociò nei più terribili massacri della storia recente, nello sterminio  delle

tribù ottentotte da parte dei boeri, nella selvaggia azione di assassinio di Carl Peters nell’

Africa orientale tedesca, nella decimazione della pacifica popolazione congolese, ridotta a

20-40 milioni a 8 milioni, ad opera del re del Belgio; e infine, forse peggio di tutto nella

trionfale introduzione di simili sistemi di pacificazione nella politica estera ordinaria.

Nessun capo di uno stato civile avrebbe mai pronunciato prima un’esortazione come

quella di Guglielmo II al corpo di spedizione tedesco destinato a combattere l’insurrezione

dei ‘boxers’ nel 1900: ” COME GLI UNNI UN MIGLIAIO D’ANNI FA, SOTTO LA GUIDA

DI ATTILA, SI GUADAGNARONO UNA REPUTAZIONE CHE LI FA RICORDARE

NELLA STORIA, COSI’ IL NOME TEDESCO DIVENGA NOTO IN MODO TALE CHE

MAI PIU’ UN CINESE OSI GUARDARE DI TRAVERSO UN TEDESCO”.

Mentre la razza, come ideologia interna europea o come spiegazione d’emergenza, attrasse

sempre gli elementi peggiori del mondo occidentale, la burocrazia venne inventata dagli

strati migliori, e spesso più perspicaci, dell’intelligencija.

L’amministratore che governava mediante rapporti e decreti con una segretezza più

impenetrabile di quella di un despota orientale, usciva da una tradizione di disciplina

militare in mezzo a uomini spietati e senza legge; per molto tempo era rimasto attaccato

agli onesti, seri ideali della fanciullezza, gli ideali di un moderno cavaliere in armatura

splendente inviato a proteggere una popolazione indifesa e primitiva. E aveva adempiuto

il suo compito, bene o male, finché si era mosso in un mondo retto dalla vecchia ‘trinità,

guerra, commercio e pirateria’, e non nel complicato gioco di una politica d’investimenti 

di vasta portata, che richiedeva la dominazione di un popolo per la ricchezza di un altro

paese. La burocrazia fu l’organizzazione del grande gioco di espansione (ma soprattutto

l’inganno), in cui ogni area era considerata un trampolino di lancio per ulteriori interventi

e ogni popolo uno strumento per un’ulteriore conquista.

Benché alla fine si mostrassero legati fra loro per più aspetti, IL RAZZISMO (di qualsiasi

sorta) E LA BUROCRAZIA nacquero e si svilupparono in maniera indipendente l’uno

dall’altra. Nessuno degli uomini in qualche modo implicati nella loro creazione intuì 

quali possibilità di ACCUMULAZIONE DI POTERE e di distruzione offrisse una combinazione

del genere. 

Lord Cromer, trasformatosi in Egitto da un normale incaricato d’affari britannico in un burocrate

imperialista, non si sarebbe mai sognato di combinare l’amministrazione col massacro

(MASSACRI AMMINISTRATIVI così cari al dott. EICHMANN); ed i fanatici razziali del

Sudafrica non pensarono allora che si potesse organizzare burocraticamente lo sterminio per

creare una COMUNITA’ POLITICA RAZIONALE, CIRCOSCRITTA (COME FECERO I

NAZISTI CON I LORO CAMPI…).

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

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DIRITTI INGLESI CONTRO DIRITTI UMANI (3)

Si riteneva che                                                              98786756.jpg 

sarebbe stato

possibile

ottenere il

GENE EREDITARIO,

e che l’aristocrazia

fosse il prodotto,

non della politica,

ma della

selezione naturale.

La trasformazione

dell’intera nazione in

una aristocrazia naturale,

i cui esemplari migliori sarebbero diventati GENI e SUPERUOMINI, fu una delle molte ‘idee’

prodotte dagli INTELLETTUALI delusi dal liberismo, che sognavano di sostituire alle

vecchie classi dominanti una nuova élite con mezzi non politici.

Verso la fine del secolo venne in uso parlare di argomenti politici con termini presi dalla

biologia e dalla zoologia, tanto che nessuno più si meravigliava se uno zoologo scriveva

un articolo su una Visione biologica della nostra politica estera, con la pretesa di aver 

scoperto una guida infallibile per gli statisti. E fra i cultori delle scienze naturali era di 

moda esporre nuovi metodi, sempre più perfezionati, per la selezione dei più validi in

conformità agli interessi nazionali del popolo inglese.

L’aspetto più pericoloso di queste dottrine evoluzioniste consisteva nel combinare il

concetto dell’ereditarietà con l’insistenza sulla realizzazione personale, che era diventata

così importante per la coscienza borghese del XIX secolo. La borghesia aveva interesse a

dimostrare che i ‘grandi uomini’, non gli aristocratici, erano i veri rappresentanti della

nazione, gli individui in cui si incarnava il ‘genio della razza’. 

La superstizione scientifica fornì un’ideale evasione dalla responsabilità politica ‘avvalorando’

l’affermazione di Disraeli che il grande uomo era ‘la personificazione della razza, il suo 

migliore esemplare’. Tale atteggiamento trovò la sua conclusione logica quando un altro

discepolo dell’evoluzionismo dichiarò semplicemente:” L’inglese è il Superuomo e la storia

dell’Inghilterra è la storia della sua evoluzione”.

Una caratteristica del pensiero razziale inglese e tedesco è che esso nacque fra gli

INTELLETTUALI borghesi, non fra la nobiltà, che scaturì dal desiderio di estendere i criteri

di condotta aristocratici a tutte le classi e fu alimentato da un sincero sentimento nazionale.

Così anche l’esaltazione che Carlyle fece del genio e dell’eroe corrispondeva più alla tipica

mentalità di un ‘riformatore sociale’ che a quella di un ‘padre dell’imperialismo britannico’,

un’accusa che molto giustamente gli fu rivolta. Essa gli procurò un vasto pubblico sia in

Inghilterra sia in Germania, e aveva le stesse origini del culto della personalità praticato

dal romanticismo tedesco: l’affermazione dell’innata grandezza dell’individuo,

indipendentemente dal suo ambiente sociale.

Dei fautori di un grande impero coloniale, fra la metà del XIX secolo e l’inizio dell’imperialismo,

nessuno sfuggì all’influenza di Carlyle, ma nessuno predicò una dottrina schiettamente

razzista.

Al pari di quello tedesco, il nazionalismo inglese fu il prodotto di una classe media che non

si era mai interamente emancipata dall’aristocrazia, e perciò racchiudeva in sé i primi germi

dell’ideologia razziale. Ma a differenza della Germania, la cui mancanza di unità rendeva

necessaria una muraglia ideologica che facesse le veci dei confini storici o geografici, le

isole britanniche erano completamente separate dal mondo circostante per mezzo di

frontiere naturali: il loro problema nazionale consisteva nel trovare una concezione dell’unità

fra gruppi che vivevano in colonie sparse al di là dei mari, lontane migliaia di miglia dalla

madrepatria.

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

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DIRITTI INGLESI CONTRO DIRITTI UMANI (2)

In Francia, dove si sperava                                       razze umane.jpg

di risolvere il problema

delle tribù negre con

l’educazione e

l’assimilazione, il

grande scienziato

de Buffon aveva

presentato una prima

classificazione delle razze

umane che, partendo

dai popoli europei e

ordinando tutti gli

altri secondo le loro

differenze, si era attenuta

al principio dell’eguaglianza

mediante un rigoroso

affiancamento dei vari tipi.

Il XVIII secolo, per usare la frase mirabilmente precisa di Tocqueville, ‘credeva nella varietà

delle razze, ma nell’unità della specie umana’.

In Germania Herder si era rifiutato di usare per gli uomini l’ ‘ignobile parola’ razza, e anche

Klemm, il primo storico delle civiltà che si era servito della classificazione dei tipi umani,

aveva rigorosamente rispettato l’idea di un’umanità unitaria come cornice generale della

sua indagine.

Ma in America e in Inghilterra dove, dopo l’abolizione della schiavitù, si dovettero risolvere

i problemi pratici della convivenza furono molto meno facili. Ad eccezione del Sudafrica,

questi due paesi furono i primi a dover affrontare politicamente la questione razziale.

L’abolizione della schiavitù aggravò i conflitti invece di favorire una soluzione delle

difficoltà esistenti. Ciò specialmente in Inghilterra, dove i ‘diritti degli inglesi’ non lasciarono

il posto a un nuovo orientamento politico compatibile con la proclamazione dei diritti

dell’uomo.

L’abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche nel 1834 e il dibattito precedente alla

guerra civile americana trovarono quindi in Inghilterra un’opinione pubblica estremamente

confusa che costituì un fertile terreno per le varie concezioni naturalistiche apparse in

quei decenni.

Il darwinismo riscosse uno                                                       89786756.jpg

straordinario successo

perché, sulla base

dell’ereditarietà, fornì le

armi ideologiche per un

dominio di razza come

per un dominio di classe,

e si prestò ad essere

impiegato per e contro

la discriminazione

razziale.

Politicamente neutrale,

contò invero fra i suoi

seguaci tanto pacifisti

e cosmopoliti d’ogni

tendenza quanto gli

imperialisti più accaniti.

Negli anni settanta del

secolo scorso, esso fu

comunque in Inghilterra monopolio quasi esclusivo del cosiddetto partito utilitarista

anticoloniale.

E il primo filosofo evoluzionista, Herbert Spencer, che trattò le scienze sociali come parte

della biologia, ritenne che la selezione naturale avrebbe giovato all’umanità e automaticamente

instaurato una pace perpetua. Alla discussione politica il darwinismo offrì due importanti

concetti: la lotta per l’esistenza, con l’ottimistica previsione dell’inevitabile ‘sopravvivenza

del più valido’,e le sconfinate possibilità racchiuse nell’idea dell’evoluzione dell’uomo

dalla vita animale, da cui prese l’avvio la nuova scienza dell’eugenetica.

La teoria della selezione naturale dei più forti morì della stessa malattia di cui era morta

la dottrina della conquista, quando le classi dominanti in Inghilterra, o i loro rappresentanti

nelle colonie, non si sentirono più completamente sicuri e si fece strada il dubbio che i più

forti sarebbero stati i più forti di domani.

L’eugenetica promise di superare le tormentose incertezze sull’identità di chi sarebbe

risultato più vigoroso e di fornire i mezzi per assicurare alla nazione un vigore perenne.

Questo aspetto dell’eugenetica applicata venne accentuato negli anni venti in Germania

come reazione al Tramonto dell’occidente di Splengler. Bastava semplicemente trasformare

il processo di selezione da necessità naturale, operante all’insaputa degli uomini, in

uno strumento fisico ‘artificiale’, consapevolmente impiegato.

La bestialità era sempre stata un tratto caratteristico, ed Haeckel avva affermato che

l’eliminazione degli ‘inabili’, malati inguaribili e pazzi, avrebbe risparmiato ‘spese

assurde per la famiglia e per lo stato’.

Alla fine gli ultimi discepoli del darwinismo in Germania decisero di abbandonare il campo

della ricerca scientifica, per dedicarsi interamente all’attività pratica diretta a tramutare 

l’uomo in quella che i darwinisti forse pensavano fosse una scimmia antropomorfa.

Ma prima che il nazismo con la sua politica totalitaria tentasse di ridurre l’uomo a una

bestia, ci furono numerosi tentativi di farne un dio, sulla base teorica dell’eriditarietà.

Non solo Spencer, ma tutti i seguaci del primo evoluzionismo ‘avevano nel futuro 

angelico dell’uomo una fede altrettanto profonda che nella sua origine scimmiesca’.

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni.pdf

Da  www.giulianolazzari.com

http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/06/allora-vi-racconto-una-fiaba-l-impero.html

    

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DIRITTI INGLESI CONTRO DIRITTI UMANI

Mentre i semi                                                        9897867568.jpg

dell’ideologia razzista

tedesca vennero sparsi

durante le guerre

napoleoniche, i primi

accenni della sua

versione inglese si

manifestarono durante

la rivoluzione

francese, e in

particolare nell’uomo

che l’attaccò

violentemente

come ‘la più

straordinaria e stupefacente crisi che

si sia finora verificata nel mondo’, in Edmund Burke.

E’ ben nota la considerevole influenza esercitata dalla sua opera sul pensiero politico della

Germania oltre che dell’Inghilterra. Su ciò bisogna comunque richiamare l’attenzione per

le affinità esistenti fra le ideologie razziste tedesca ed inglese in contrasto con quella francese.

Queste affinità derivavano dal fatto che entrambi i paesi avevano sconfitto le armate francesi e

mostravano quindi una certa tendenza a respingere le idee sintetizzate da ‘LIBERTE’-EGALITE’-

FRATERNITE” come invenzioni straniere ed aggressive. Essendo L’INEGUAGLIANZA

SOCIALE LA BASE DELLA SOCIETA’ INGLESE, I CONSERVATORI SI SENTIVANO NON

POCO A DISAGIO QUANDO SI TRATTAVA DEI ‘DIRITTI DELL’UOMO’; era fra loro

opinione largamente diffusa che l’ineguaglianza facesse parte del carattere nazionale britannico.

Disraeli trovava ‘nei diritti di un inglese qualcosa di meglio dei diritti dell’uomo’ e James

Stephen considerava ‘poche cose nella storia così meschine come l’eccitazione da cui i

francesi si lasciano prendere per tali faccende’.

Questa è una delle ragioni per cui in Inghilterra, sino alla fine del XIX secolo, l’ideologia razzista

poté svilupparsi secondo le tradizioni nazionali, mentre in Francia le stesse opinioni mostrarono

il loro vero volto, quello antinazionale, fin dall’inizio.

Il principale argomento di Burke contro gli ‘astratti princìpi’ della rivoluzione francese è

contenuto nella seguente frase:

“La politica uniforme della nostra costituzione è stata quella di rivendicare

e affermare le nostre libertà, come un’eredità inalienabile derivataci dai nostri avi, e da 

trasmettere ai posteri; come una condizione specialmente appartenente al popolo di questo

regno, senza alcun riferimento ad altro diritto più generale o anteriore”.

Il concetto di eredità, applicato alla natura stessa della libertà, è stato la base ideologica da cui

il nazionalismo inglese ha tratto il suo curioso tocco di spirito razziale fin dalla rivoluzione

francese. Formulato da uno scrittore della borghesia, esso implicava la diretta accettazione del

CONCETTO FEUDALE DI LIBERTA’ COME SOMMA DEI PRIVILEGI EREDITATI INSIEME

COL TITOLO E CON LA TERRA. Senza intaccare i diritti della classe privilegiata all’interno

del Regno Unito, Burke estendeva il principio di tali privilegi fino ad includervi l’intero popolo

britannico, elevato così al rango di aristocrazia fra le nazioni. Di qui il suo disprezzo per i

connazionali che reclamavano la loro libertà non come inglesi, ma come uomini e cittadini.

In Inghilterra il nazionalismo si sviluppò senza che fossero seriamente attaccate le vecchie

classi feudali. Ciò fu possibile perché, dal XVII secolo in poi e in misura crescente, la gentry,

incuneata fra l’alta nobiltà e la borghesia, aveva assimilato gli strati superiori di questa, di

modo che era rimasto aperto l’ingresso nei ranghi dell’aristocrazia. Tale processo aveva creato

nella nobiltà un sorprendente senso di responsabilità per la nazione nel suo insieme, ma allo

stesso tempo aveva facilitato l’influsso della mentalità e delle concezioni feudali sulle idee

politiche delle classi inferiori.

Così il concetto di eredità era stato applicato, pressoché immutato, all’intera ‘stirpe’ britannica.

La conseguenza di questa assimilazione dei criteri della nobiltà fu che la versione inglese dell’

ideologia razziale fu quasi ossessionata dalle teorie ereditarie e dal loro moderno equivalente,

L’EUGENETICA.

Fin da quando i popoli europei avevano tentato praticamente di includere tutti i popoli della

terra nella loro concezione dell’umanità, erano stati continuamente turbati dalle notevoli

differenze fisiche fra se stessi e gli altri.

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

Da http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/01/i-roghi-dei-libri.html

  http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/01/i-roghi-dei-libri-2.html

  http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/09/news/risoluzione_rom-6898982/

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