LE TEORIE RAZZIALI PRIMA DELL’IMPERIALISMO (2)

E’ vero che talvolta, come                                                  78675678.jpg

nel caso del

razzismo, è cambiato il

contenuto politico

originario, ma non si può

immaginare un’ideologia

senza un contatto immediato

con la vita politica e i suoi

problemi centrali.

L’aspetto scintifico è

secondario e deriva, oltre

che dal desiderio di

fornire argomenti solidi,

dal fatto che taluni scienziati,

cedendo alla passione dell’opinione

pubblica e trascurando le ricerche, hanno abbandonato, a partire dalla metà del secolo

scorso, la pace degli studi per precipitarsi a predicare alle folle le loro nuove interpretazioni

della vita e del mondo.

A questi predicatori ‘scintifici’, e non a un’indagine obiettiva, dobbiamo se oggi c’è una

disciplina, fra le scienze naturali come fra quelle morali, completamente immune da tale

ideologizzazione. Ciò ha indotto molti storici ad attribuire alla scienza la responsabilità

delle assurdità razziste e a scambiare certi ‘risultati dell’indagine’ filologica o biologica

per le cause, anziché per le conseguenze, del razzismo.

Il contrario sarebbe stato più vicino alla realtà. Infatti occorsero più secoli, dal XVII al

XIX, perché la dottrina secondo cui ‘la ragione è più forte’ conquistasse la scienza

producendo la ‘legge’ biologica della sopravvivenza del più adatto. 

Il fatto che il razzismo è stato l’arma ideologica dell’imperialismo è così evidente che

molti studiosi hanno preferito escogitare speciali teorie pur di evitare la pista battuta

dell’ovvio. Una di queste invenzioni, la vecchia opinione che lo considera una specie

di esagerato nazionalismo trova ancora credito. Specialmente in Francia, certe opere di 

valore che hanno dimostrato come il razzismo, oltre ad essere un fenomeno completamente

diverso, tenda a distruggere il corpo politico della nazione, sono in genere trascurate. 

Nel conflitto fra l’ideologia                                                      89786756.jpg 

della razza e l’ideologia

della classe per

il dominio

dell’opinione pubblica 

moderna si è anche

voluto vedere una

lotta fra il

nazionalismo e

l’internazionalismo,

attribuendo la

preparazione mentale

per le guerre nazionali al razzismo e

quelle per le guerre civili al materialismo dialettico.

Ciò è apparso più plausibile a causa del curioso miscuglio di antichi rancori nazionali e nuove

velleità imperialistiche presentato dalla prima guerra mondiale, durante la quale gli slogans

del vecchio nazionalismo si sono rivelati di gran lunga più efficaci dell’aperta propaganda

imperialista. 

La verità è che il razzismo salì alla ribalta della politica attiva nel momento in cui i popoli si

organizzavano secondo i criteri dello stato-nazione. Fin dall’inizio ignorò deliberatamente

tutti i confini nazionali, geografici, tradizionali o linguistici che fossero, e in linea di principo

negò all’esistenza politica nazionale in quanto tale qualsiasi significato. Esso, e non l’ideologia

classista, accompagnò come un’ombra lo sviluppo e le vicende delle nazioni europee,

rivelandosi alla fine l’arma della loro distruzione.

Da un punto di vista storico, i razzisti hanno uno stato di servizio patriottistico peggiore dei

rappresentanti di tutte le ideologie internazionaliste messe insieme, e sono stati gli unici a

ripudiare il principio che è alla base delle organizzazioni nazionali, il principio dell’eguaglianza

e della solidarietà di tutti i popoli garantito dall’idea di umanità.

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

Da http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/01/i-roghi-dei-libri-2.html

http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/09/news/risoluzione_rom-6898982/

Da http://storiadiuneretico.myblog.it

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LE TEORIE RAZZIALI PRIMA DELL’IMPERIALISMO

Se le teorie razziali fossero                                        987856.jpg

un’invenzione tedesca, come

si è talvolta affermato nel

fervore della lotta contro

il nazismo, il ‘pensiero

tedesco’ avrebbe dominato

larghi settori dell’attività

intellettuale già molto

prima che i nazisti

iniziassero il loro

tragico tentativo di

conquistare il mondo.

In realtà è vero

il contrario.

Il razzismo politicamente

organizzato del regime

hitleriano esercitò negli

anni trenta un’attrazione

così straordinaria in Europa,

e fuori d’Europa, perché le

tendenze razziste anche se non traspiravano dal linguaggio ufficiale dei governi, erano

diffuse nell’opinione pubblica di ogni paese. Nell’offensiva politica nazista, che precedette

e accompagnò la seconda guerra mondiale, tali tendenze furono considerate alleate ben

più valide e sicure di qualsiasi agente segreto o quinta colonna.

Forti delle esperienze europee di quasi un ventennio, i nazisti ritennero che la migliore

‘propaganda’ sarebbe stata la loro politica razziale e, malgrado i molti altri compromessi

e indietreggiamenti, non se ne lasciarono mai allontanare da calcoli di opportunità.

Il razzismo non fu una nuova arma segreta; semplicemente esso non era mai stato applicato

prima con una simile radicalità.

La verità storica è che il razzismo, le cui origini risalgono all’inizio del XVIII secolo, durante

il XIX fece la sua comparsa contemporaneamente in tutti i paesi dell’occidente e all’inizio

del nostro secolo divenne poi l’autentica ideologia della politica imperialista. Esso certamente

resuscitò e assorbì i vecchi schemi razziali; ma questi difficilmente avrebbero dato vita da

soli, senza le esigenze imperialistiche, a una concezione unitaria.

Alla metà del secolo scorso le teorie in materia venivano ancora giudicate col metro della

ragione politica. Solo alla fine del secolo le teorie razziali vennero prese sul serio, come

se fossero realmente il frutto                                                 manifesto-razzismo-italiano.jpg 

della ricerca scientifica o

un importante 

contributo intellettuale.

Fino allora, fino al

fatale decennio della

corsa alla conquista

dell’Africa, esse avevano

fatto parte della folta

schiera delle libere

opinioni che, nel quadro

del liberismo, si

contendevano il

consenso del pubblico.

Solo alcune di tali

opinioni divennero ideologie in piena regola, sistemi basati su una singola ipotesi atta a riuscire

plausibile a un gran numero di persone e abbastanza larga da condurle relativamente

imperturbate attraverso le varie esperienze e situazioni di una normale vita moderna.

L’ideologia differisce dalla semplice opinione perché pretende di possedere o la chiave della

storia, o la soluzione di tutti gli ‘enigmi dell’universo’, o l’intima conoscenza delle leggi

segrete che dominano la natura e l’uomo. Poche ideologie sono sopravvissute alla dura

concorrenza per la persuasione, e due hanno avuto il sopravvento su tutte le altre:

l’una interpreta la storia come una lotta economica di classi, e l’altra vede in essa una lotta

naturale di razze. Entrambe hanno esercitato un fascino così intenso sulle masse da

assurgere nel corso del XX secolo a dottrine ufficiali di certi stati. Ma oltre i confini di

questi la libera opinione pubblica le ha adottate in misura tale che, a parte le masse 

popolari, persino gli intellettuali non accettano più una presentazione dei fatti del 

presente che non concordi, almeno implicitamente, col sistema di categorie di una 

di esse. 

La plausibilità in tale materia non deriva da fatti scientifici, come vorrebbero farci

credere le varie specie di darwinisti, né da leggi storiche, come pretendono gli 

storici, nel loro sforzo di spiegare l’ascesa e il declino delle civiltà. 

Ogni ideologia che si rispetti E’ STATA CREATA ED ELABORATA COME ARMA 

POLITICA, NON COME DOTTRINA TEORICA. 

(prima parte)

(H. Arendt, Le origini del totalitarismo)

Da http://dialoghiconpietroautier.myblog.it/archive/2010/09/01/i-roghi-dei-libri-2.html

http://www.repubblica.it/esteri/2010/09/09/news/risoluzione_rom-6898982/

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UNA STORIA D’AMORE (3)

Mi venne anche in mente                                                      iuijkjhnbhj.jpg

di andare all”Avanti!’ ma

non vi andai.

Seppi poi, della sua

lettera, che anche lui

aveva passeggiato per i

giardini; il luogo

più bello di tutta

Milano, malgrado

le aquile prigioniere.

Il giorno dopo ebbi un’altra

sua:

“Mia cara,

tralascio di scrivere un pesantissimo articolo su Marx e scrivo a te. Ore di mattina –

sabato. Ho ricevuto ieri sera la tua lettera, profumatissima. L’aspettavo. Non mi sono

ingannato. Tornavo dai giardini di Porta Venezia. Ero solo, stanco. Mi sono addormentato

su di una panchina. Come un vagabondo nato.

Sono l’uomo del domani.                                                  897897.jpg

Rimetto ogni cosa al

domani.

Sono un contemplativo.

La prima volta che mi

arrestarono, si fu per

vagabondaggio.

Ti narrerò la mia vita

romantica.

A proposito: ho sfogliato

il tuo romanzo.

Ho letto qua e là.

Non posso….stroncarti.

Le tue descrizioni hanno una

fresca semplicità che mi piace.

Leggerò tutto.

A martedì sera, dunque, ma prima ti scriverò ancora.

Ti bacio con forte passione.

Tuo Benito”.

Come tutto ciò – ossia, la ‘forte passione’, – mi pareva strano, irreale, estraneo alla mia

vita! Ancora una volta comprendevo che la nostra volontà non vale nulla, non ha alcuna

importanza sugli avvenimenti della nostra vita. Inutile voler vincere quando si deve

perdere. Meglio era lasciar correre i giorni, come il destino voleva, e non fare un gesto,

non dire una parola per dominare gli eventi.

Resistenza passiva.

Non risposi: mi pareva inutile. E poi, non avevo niente da dirgli.

Mi scrisse lui:

“Lenedì mattina – ore 1

Mia cara,

tutto ieri, domenica, ho atteso un tuo biglietto. Non hai avuto tempo di scrivermi….

A domani. 

Ti comunico che martedì non posso trovarmi all’appuntamento. C’è un’assemblea alla

quale non posso mancare, perché dovrò attaccare e difendermi. Nel numero odierno

della ‘Critica Sociale’ Turati mi muove un acerbissimo attacco, al quale risponderò forse.

Sabato e ieri sono state per me due giornate insignificanti. Oggi aspetto una tua.

Come stai? Che cosa hai fatto? Perché lasciarmi quarantotto ore senza tue notizie?

Ti scriverò più a lungo stasera. Adesso me ne vado. Ho la testa pesante come se nel

cranio ci fosse del piombo. 

Ti bacio.

Tuo Benito”.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

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UNA STORIA D’AMORE (2)

Quell’abito di tempi                                                 8978675678.jpg

remoti, quasi funebre,

sembrava fatto

apposta per tenere

a distanza qualsiasi

audacia

per frenare

ogni desiderio,

per impedire ogni

carezza.

Egli venne come

aveva promesso

e la sua visita fu

lunga.

Dapprima dicemmo poche parole, sogguardandoci, come avversari che misurano le

proprie forze per un duello decisivo.

Mi sembrò inutile dirgli che la sua affermazione amorosa non trovava eco in me.

Pensai dovesse sentirlo.

Infatti, mai era stato così ‘poco comunicativo’, come soleva dire.

Taceva, con la fronte appoggiata alla mano.

Sembrava portarmi rancore.

La giornata era calda e dava ai sensi uno strano torpore.

Prendemmo il caffè in silenzio.

Ero nervosa, irritata contro me stessa perché non trovavo le parole per rompere quell’atmosfera

subdola , pesante. Mi pareva d essere veramente in Egitto, e in un’altra epoca, lontana

dalla mia vita presente. E lui, ad un tratto, quasi sentisse il mio intimo pensiero, disse:

– Mi sembra proprio d’essere in Egitto….in altri tempi. Parlatemi un poco della vostra sfinge….

Il giorno dopo, nel pomeriggio, mi giunse una sua lettera, scritta nella notte:

” Mia cara Leda.                                             mussolini.jpg

Sono ubbriaco….ore 

dodici di notte.

Ubbriaco.

Sono uscito di casa tua con 

i nervi deliziosaente

eccitati, col cuore

che batteva con una irregolarità

inconsueta, col tumulto nel cervello.

Così.

Al giornale buone notizie….

Ossigeno fino a tutto il 1914….

E allora, per mantenere i miei nervi esaltati, ho bevuto un gran bicchiere di absinthe…..

sai quel tal liquore verde che esercita la sua dolce e diabolica influenza sulla corteccia

cerebrare e manda il 13 per mille dei francesi al manicomio….E adesso, dopo quattro

ore di vibrazioni, sono qui, tranquillo, e silenzioso a guaradre ….il Naviglio.

Penso: ieri mi hai detto una cosa sulla quale rifletto solo adesso. Mi accade spesso.

Dov’eri per assistere a quella tal discussione alla quale taluni illustri ignoti si 

disputavano il mio spirito d’uomo….pubblico?

E me lo…laceravano? Dove vai alla sera? Domanda indiscreta? Perché alla sera non 

potresti venire con me? Dalle 8 alle 11 non ho proprio niente da fare.

Ascolta.

La notte è stellata.

Domani ci sarà il sole. E anche dopo e sempre. Io ti aspetto lunedì sera alle 9 a Porta

Venezia. O ti vengo a prendere alla porta di casa?

Scegli.

Passeremo bene il nostro tempo. Perché non domenica sera? O prima?

Troverai che questa mia lettera va a zig-zag. Stasera non sono capace di scrivere. 

Com’è bello essere di tempo in tempo idiota….

Voglimi bene, cara Leda, ricordami e scrivimi.

Ti abbraccio forte.

Tuo Benito “

Lessi queste parole con indifferenza.

Non lo amerò né più né meno degli altri giorni. 

Ieri era già il passato: non esisteva più. Gli scrissi brevemente che non era possibile vederci

lunedì sera. Gli mandai in omaggio il mio romanzo ‘Seme nuovo’ pubblicato in quei giorni.

Era un venerdì, lo ricordo, perché non andai a lavorare in tipografia. Il venerdì per noi

mussulmani, è come la domenica per i cattolici.

Andai fuori senza mèta.

Sostai ai giardini.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

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UNA STORIA D’AMORE

…Istintivamente sentivo che                                                     89786789.jpg

dovevamo allontanatci.

Non lo amavo e

nemmeno lo

desideravo; ma

presentivo il pericolo,

la conseguenza di un

momento di debolezza,

l’influenza, l’insidio

della terribile

‘ora sessuale’.

E la lettera che,

dopo tre giorni,

ricevetti da lui mi turbò

ben più del suo bacio.

Una frase stabiliva un’intesa

d’amore accettato e voluto,

così lontana dalla realtà, che

avrei voluto smentirla immediatamente con un’altra lettera.

Mi diceva:

” Mia cara Leda,

cielo grigio e lago di piombo oggi, a Lugano. Freddo. Ho desiderato il tuo braciere aromato…

Breve sosta e interminabile discussione….tripolina col Tancredi. Più che parlare, ho ascoltato.

Prezzolini, da Firenze, mi ha mandato il suo ultimo volume con questa dedica (lo permetti?)

che mi ha un po’ lusingato:’Al carissimo Benito Mussolini che stimo, apprezzo e della cui

amicizia mi sento onorato’. E’ un libro sulla Francia e i francesi del secolo XX. Ne dicono molto

bene. Dopo quattro anni di quiete, apro – col tuo, col nostro amore, – una parentesi nella

mia vita. Stanotte ho avuto il sonno più leggero del solito.

Oggi verrò da te, un po’ tardi, forse. Ma aspettami, che non mancherò. In questi due giorni

ti ho troppo pensato. Ti abbraccio, mia cara.

Tuo Benito”

Se tale lettera fosse caduta nelle mani di chi amavo, sarebbe stata per me la fine di tutto,

la rovina della mia vita intera. Cosa avevo fatto per far credere a Mussolini che lo amavo?

Feci un immediato ma profondo esame di coscienza. Mai gli avevo detto parola che potesse

fargli credere che io provassi un desiderio amoroso per lui. Ricordavo piuttosto frasi che

avrebbero dovuto disilluderlo, se si fosse illuso. Rileggendo le ultime parole: ‘dal giornale

(sono solo)’ ricordai certe nostre discussioni sulla gelosia, certe mie sincere affermazioni.

– Perché non siete gelosa di me?, mi chiedeva.

– Perché non mi domandate ma chi viene a trovarmi al giornale e se lavoro da solo?

Potrei avere un’altra amicizia come la nostra….

– Potreste averne altre dieci di queste amicizie, gli dicevo del tutto serena.

– Sapete bene che non vi amo né vi amerò mai.

E sapevo – mi conoscevo bene, – che in me l’assenza di gelosia era assenza di amore.

– Non pensate, insisteva, che dopo il mio lavoro posso andare dove voglio? Perché non

mi chiedete di vederci di sera?

– Andate dove meglio vi piace, amico mio. Io ho dove passare la sera.

Queste, solo queste, le mie frasi intorno all’argomento amore. Avevo colmo il cuore

e l’anima dell’amore mio. Non davo alcuna importanza a quelle parole, dette nella

stanchezza di una visita troppo lunga.

Pensai di scrivergli che non venisse, ma non c’era il tempo. E poi non volevo dimostrargli

che lo temevo. Meglio era dirgli a voce, guardandolo senza turbamento, che ‘il mio, il

nostro amore’ non esisteva, e che se voleva essermi ancora amico non doveva parlarne

più.

Ma lo attesi con un certo turbamento.

Forse lo temevo davvero? Ci pensai quando, vestendomi dopo il breve riposo del

pomeriggio, scelsi una veste che mai avevo indossato con lui. Giorni addietro, nel

calore della bella estate avevo indossato una leggera gelabiach bianca, stretta sulla

vita da una ascia ‘baiadera’, e quando mi era stato vicino sentivo, attraverso la veste,

lo sfiorare delle sue dita, il calore del suo contatto e – istintivamente – sentivo che

bisognava evitare quelle vibrazioni fisiche che, quel giorno, non dovevano essere fra

noi. Dovevo chiudermi isolarmi, essergli lontana, non con l’anima, ma con la carne.

Indossai una vecchia veste egizia, di seta nera, coperta di velo ricamato da argento e

serrata sul petto da un largo collare di pietre brillanti, pesanti e pungenti. Una cintura

ornata di scarabei mi cingeva la vita e, per la pesantezza metallica, corazza dei tempi

faraonici, mi faceva assomigliare ad una mummia acconciata per sarcofago.

E’ difficile che ad un uomo venga il desiderio di abbracciare una mummia.

(Leda Rafanelli, Una donna e Mussolini)

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GIULIANO AI CITTADINI DI BOSTRA

Io ero convinto che i capi Galilei                                          giuliano.jpg

sarebbero stati più riconoscenti

a me che a colui che governava

l’impero prima di me.

Infatti, sotto di lui la maggior

parte di loro furono esiliati,

perseguitati, imprigionati e

un gran numero di uomini

definiti eretici furono uccisi,

cosicché a Samosata, a Cizico,

in Paflagonia, in Bitinia ed in Galazia ed in molte altre comunità interi villaggi furono

saccheggiati e completamente distrutti; sotto il mio impero avviene il contrario: gli

esuli sono stati richiamati, le vittime delle confische hanno ottenuto per mezzo della

nostra legge di riacquistare tutti i loro beni. Ma essi sono giunti a tal punto di esaltazione

e di follia che, poiché non possono più tiranneggiare né compiere gli atti ostili che

compivano gli uni contro gli altri e poi contro noi adoratori degli dèi, in preda al furore,

non lasciano nulla di intentato ed osano provocare disordine tra la folla e sollevarla,

mostrandosi empi verso gli dèi e disobbedienti alle nostre leggi, che pure sono così

improntate ad umanità.

Orbene non permettiamo che alcuno di essi venga trascinato agli altari contro la sua

volontà, ma dichiariamo in termini precisi che se qualcuno vuole partecipare con noi

spontaneamente ai riti di purificazione ed alle libazioni, per prima cosa deve sottoporsi

a cerimonie espiatorie ed implorare gli dèi che allontanano i mali; tanto siamo lontani

dal voler e dal supporre che qualcuno di quegli empi partecipi ai nostri pii sacrifici

prima di aver purificato l’anima con pubbliche preghiere agli dèi ed il corpo con le

purificazioni rituali.

Ora è evidente che le folle, ingannate dal cosiddetto clero, si ribellano, perché appunto

esso è stato privato di questi arbitri. Infatti coloro che sono stati tiranni finora non si

contentano di non scontare la pena per le azioni malvage che hanno commesso, ma

rimpiangendo l’antico potere, ora che non è più loro consentito pronunziare sentenze,

scrivere testamenti, appropriarsi illegalmente delle eredità altrui, e prendere tutto per

sé, rimuovono ogni freno al disordine e, come si suol dire, gettano fuoco sul fuoco e

osano sovrapporre ai mali passati mali più grandi, conducendo le folle al dissenso.

Ho deciso, dunque, di proclamare e di rendere manifesto a tutti i popoli con questo

decreto, che non si deve partecipare alla ribellione del clero, né lasciarsi convincere

da lui a gettare pietre, né a ribellarsi ai magistrati; ma possono riunirsi finché vogliono

e dire tutte le loro preghiere secondo la consuetudine; ma se quelli tenteranno di 

persuaderli alla rivolta nel proprio interesse, non devono collaborare per non essere

puniti. 

Non si verifichino contrasti, né ingiustizie: coloro che hanno errato non devono offendere

chi venera rettamente e giustamente gli dèi secondo i principi trasmessi a noi da secoli;

e voi che venerate gli dèi, da parte vostra, non rovinate e non saccheggiate le case di

coloro che sono caduti in errore, più per ignoranza che in modo consapevole.

Bisogna convincere ed educare gli uomini con la ragione, non con le sferzate, né con

gli oltraggi, né con le torture fisiche.

Di nuovo e ripetutamente esorto coloro che tendono alla vera fede a non fare ingiustizia

alle moltitudini dei Galilei, a non assalirle, a non oltraggiarle. Bisogna compatire, piuttosto

che odiare, coloro che si comportano male negli argomenti più rilevanti: il più grande dei

beni, in verità, è la pietà verso gli dèi; al contrario il massimo dei mali è l’empietà.

Accade che coloro che hanno lasciato il culto degli dèi per quello dei morti e delle reliquie

scontino questa punizione. 

Noi partecipiamo al dolore di chi è colpito da un qualche male, alla gioia di coloro che sono

liberati e salvati dagli dèi. 

Pubblicato alle calende di agosto anno 362 in Antiochia.

Giuliano Imperatore.

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I ROGHI DEI LIBRI (2)

In poche parole,                                                    8978321111.jpg

insieme con l’estinzione

della storia e l’offuscamento

del suo orizzonte procede

l’estinzione di ciò che è

malsano nel presente.

Il libro è stato distrutto

o messo nell’armadio

dei veleni.

Lo scrittore messo al bando

è già in campo di concentramento

o in esilio oppure è morto, il suo

nome è dimenticato, distrutto.

Ciò che ancora resta è la possibilità

dell’infezione.

A questo punto ha inizio una vera

e propria orgia anale.

L’idea della purezza della razza,

della purezza della religione, della purezza della cultura viene tradotta in pratica con

 il simbolismo del ‘repulisti’, per il quale il libro è al tempo stesso portatore e simbolo

dell’infezione.

Nel discorso in cui tratta dell’estinzione della storia, Goebbels parla anche dell’immondizia

e del sudiciume rappresentati dagli scadenti letterati ebrei che riempono le biblioteche.

L’immondizia e il sudiciume sono causa di malattie.

Nel Medioevo, durante l’Inquisizione e le guerre di religione, il paragone con la peste è

sempre a portata di mano.

Un esempio: agli umanisti di Firenze e Venezia, i quali tentavano di convincerlo a impedire

i roghi dei libri, il cardinale Ghislieri rispose che nella città colpita dalla peste, i prìncipi

ordinavano di bruciare le suppellettili dove vi era pericolo di contagio e la gente era disposta

a sopportare questa perdita per salvare la città.

Lo stesso doveva valere per LA PESTE DELL’ERESIA, propagata dai libri.

D’altra parte, anche quest’ansia di pulizia ha una lunga storia.

Sin dall’antichità è presente l’idea del fuoco come incendio che elimina la maledizione della

lordura rappresentata dai testi pericolosi.

Il fuoco purifica.

Come dice Speyer:” Libera la società dal miasma contagioso del libro latore di maledizione

e la purifica”.

Durante la sguaiata orgia della Wartburg e nel 1933 in tutta la Germania si sente continuamente

parlare di ‘repulisti’, di distruzione e eliminazione di masse infette.

Il 12 maggio 1933 il ‘Volkischer Beobachter’ scrive:” Colonne di fumo annunciano la fine della

peste disgregatrice tra le fiamme”.

E che cosa dice Goebbels nella sua ‘resa dei conti’ con gli intellettuali? FACCIAMOLA FINITA

CON ‘QUESTI PARASSITI CHE RIEMPONO LE ELEGANTI STRADE DELLA NOSTRA

METROPOLI’.

Sembra che lo scopo sia suscitare avversione, imporre il disgusto per gli ebrei (e non solo…

loro aggiungo), per i pagani, per i libri dei pagani e degli ebrei.

E la sinfonia di ciò che vi è di ripugnante nella storia – nel passato che ormai non esiste più –

e di ciò che di ripugnante sussiste ancora, questa sintesi del programma di distruzione

orizzontale e verticale, è l’arma con la quale, in conclusione, viene raggiunto un altro

scopo, la liquidazione del soggetto.

(Breve commento del curatore del blog…: questa mia è dedicata anche ai libri che per

errata interpretazione teologica consideriamo di fede ‘diversa’, come il Corano; la libertà

di scelta in ambito teologico non deve dare atto, a mio avviso, a pericolose discriminazioni,

nel quale ognuno è libero di poter giudicare e misurare la propria fede anche e soprattutto

per bocca di altri profeti. Negare questa libera lettura in seno alla teologia (implica oltretutto

una visione distorta della stessa materia religiosa…proiettata alla luce della storia) o qual

si voglia altra materia, comporta la logica sopra citata o appena accennata…, di un immane

rogo di libri che preclude ogni forma di pace e ci avvia di nuovo ai tempi bui delle crociate

 e con esse del razzismo da ambedue le culture dove tali opere vengono concepite.)

(Leo Lowenthal, I roghi dei libri)

                                                                  

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