ebbi l’occasione di
trovarmi a tavola
di fronte a un
simpatico giovane,
biondo e
paccherotto,
uno studente tedesco
che parlava abbastanza
bene il francese.
Che piacere poter
scambiare in una lingua
che conoscevo anch’io
una chiacchierata dopo
tanto tempo di quasi assoluto silenzio! Pensate che i miei compagni fonditori non parlavano fra
loro neppure il tedesco, ma un dialettaccio detto ‘platt’, incomprensibile per me quanto il
chinese. Il mio tedesco era venuto a Lubecca anche lui per vedere la gelata del mare e
l’indomani mattina, mi disse, sarebbe andato a Travemunde con una bicicletta presa a nolo.
Idea ottima, era una fortuna, perché avrei fatto altrettando anch’io accompagnandomi a
lui. Così andammo subito a cercare un noleggio e trovammo tosto le macchine di quel
tempo.
Non ridete: 20 chili di peso e gomme tubolari.
Voi sapete forse sì e forse no cosa siano le tubolari. Le gomme pneumatiche, così confortevoli
per la loro elasticità, sono venute solo dopo quelle più piccole, formate da un anello di
gomma pittosto spessa, con un foro del diametro di 2 cm. nel mezzo, in guisa di anima
vuota, per dar loro un po’ di elasticità. Queste gomme non si sgonfiano coi chiodi,
ma in compenso ammaccavano per bene in giù dalla schiena.
La strada gelata, con ormaie profonde e dure come roccia, per fortuna quasi senza neve,
mise a prova i nostri garretti. Quei 23 km. furono un record di equilibrio e di pazienza,
ma non certo di velocità, vi mettemmo forse un’ora e mezza. Non c’è niente da ridere:
il cammino era pessimo ed anche non bisognava sconquassare le macchine che ci erano
state concesse solo contro una garanzia in buoni marchi. Avevamo lunga strada fatta una
gran mangiata di un delizioso pane ancora caldo, appena sfornato: il mio tedescone vi
aveva già bevuto su un krug di birra con due wursten aggiungendovi, come giaculatoria
di soddisfazione: Ach Gott, ja!
E’ incredibile la massa di roba che ingurgitano i tedeschi. Noi italiani -ditelo pure a fronte
alta a inglesi, francesi e tedeschi senza paura di smentita – noi italiani siamo molto più
parchi.
Tosto arrivammo al porto e al mare.
La prima impressione fu un
po’ così così.
Il mare ghiacciato non è
punto maestoso.
Ha l’aria casalinga di una
gran distesa di campagna
senz’alberi, coperta di neve
sfatta e poi ricongelata.
Nessun candore, nessun
scintillio.
Una pianura grigiastra,
monotona, senza grandiosità,
che si perdeva in distanza nelle brume.
All’orizzonte rompeva il cerchio un filo di fumo, come se un accampamento disperso vi fosse
un fuoco acceso. A pochi passi dal porto si alzava la torre rotonda di un piccolo faro con
la lanterna a cupola sopra un terrazzo. Salimmo: il fanalista ci diede un cannocchiale.
Guardammo il fumo.
Oh, sorpresa! Era di un piroscafo – e lo seppi dopo – russo, carico di grano, in rotta forse
per l’Inghilterra, arrestato dall’improvvisa gelata e che ora si sforzava, nel modo che vi
racconterò più avanti, di riparare nel piccolo porto di Travemunde, ove sarebbe stato
obbligato a rimanere fino a primavera.
…..Fatta la provvista di cibarie scendemmo alla spiaggia, attraversammo in qualche modo,
macchina a mano, i primi 20 metri di ghiaccio disordinato, poi in sella.
Non era poi il diavolo, perbacco!
Si camminava adagio, è vero, ad un passetto di 8 km. all’ora, ma sicuri e trionfanti su una
superficie non molto diversa, in fondo, da quella di un campo di neve sciolta dal sole e
rigelata di notte. E tuttavia l’emozione nostra era grande. Avevamo sotto bensì un pavimento
che non sembrava preoccuparsi del nostro peso, ma a noi pareva di essere così insignificanti.
senza sprofondare.
Il giovane tedescone
sbocconcellava del pane
addentando di tanto in
tanto una salsiccia e
brontolava con una sorta
di allegria concentrata:
Ach Gott, ja;
ach Gott, ja!
Ma, dopo 3 o 4 km.,
quando già ci pareva
di dover vedere
il vapore di momento
in momento, le cose
cambiarono malamente.
La superficie del mare si fece tutta rugosa di piccole conche profonde 8-10 centimetri,
larghe 30 o 40, come certi nevai alpini alla fine d’estate. Con miracoli d’equilibrio si
poteva restare in sella, ma la ruota davanti o quella di dietro sdrucciolavano di continuo
a destra o a sinistra sul fondo della concavità.
Ach Gott, nein! espettorava quasi con violenza il mio tedesco che non poteva più rosicchiare
a sua posta. Ma tenevamo duro tutti e due. Benedette le biciclette pesanti e forti: che
strappi ai manubri! Però guai a fermarsi, non era facile rimettersi in sella.
Quel tratto di mare si era probabilmente congelato prima di acquetarsi del tutto, e mi
faceva pensare con sospetto a come sarebbe stato più avanti.
Più avanti s’incominciò invece ad andar benino……
(Luigi Vittorio Bertarelli, Insoliti viaggi)