MALATTIE INIZIATICHE

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Si è visto che le malattie, i sogni e le estasi più o meno patogene sono tanti

mezzi di accesso alla condizione di sciamano.

Talvolta queste singolari esperienze non significano altro che una ‘scelta’ fatta

dall’alto e valgono solo a preparare il candidato a ricevere ulteriori rivelazioni.

Ma per lo più le malattie, i sogni e le estasi costituiscono in se stesse una

iniziazione: vogliamo dire che esse vanno a trasformare l’uomo profano di

prima della ‘scelta’ in un tecnico del sacro.

L’esperienza d’ordine estatico è sempre e dappertutto seguita da una istruzione

teorica e pratica da parte di vecchi maestri: ma non per questo essa è meno decisiva,

perché è essa che modifica radicalmente lo stato religioso della persona ‘scelta’.

Vedremo subito come tutte le esperienze estatiche che decidono della vocazione

del futuro sciamano comportino lo schema tradizionale di una cerimonia: passione,

morte e resurrezione.

Considerata da questo punto di vista, una qualsiasi ‘malattia-vocazione’ ha il

valore di una iniziazione. Infatti le sofferenze da essa causate corrispondono alle

torture iniziatiche, l’isolamento psichico di un ‘malato scelto’ è l’equivalente 

dell’isolamento e della solitudine rituale delle cerimonie iniziatiche, l’imminenza

della morte avvertita dal malato ricorda la morte simbolica che figura nella 

maggior parte delle cerimonie di iniziazione.

Certe sofferenze fisiche trovano la loro precisa traduzione nei termini di una 

morte (simbolica) iniziatica: ad esempio, lo smembramento del corpo del 

malato, esperienza estatica che può realizzarsi sia grazie alle sofferenze della

‘malattia-vocazione’, sia per mezzo di certe cerimonie rituali, sia, infine, nei 

sogni. 

Quanto al contenuto di coteste esperienze estatiche iniziali, benché esso sia

abbastanza ricco, ripete quasi sempre uno o più d’uno dei temi seguenti:

smembramento del corpo seguito da un rinnovamento degli organi interni

e delle viscere; ascensione al Cielo e dialogo con gli Dèi o gli spiriti; discesa

agli Inferi e colloqui con gli spiriti e le anime degli sciamani morti; rivelazioni

varie d’ordine religioso e sciamanico (segreti dell’arte).

Tutti questi temi, come si vede facilmente, hanno carattere iniziatico. 

In alcuni documenti li ritroviamo tutti; in altri casi, se ne incontrano solo 

uno o due ( smembramento, ascensione).

( Mircea Eliade )

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LA CACCIA

Un sasso mi colpisce! Cado a terra! Mi sono tutti sopra!

No, soltanto uno di loro!

Sono la sua preda!

Gli altri dovranno attendere la loro parte!

Mi colpisce col suo frammento di lava, è tagliente!

Mi sta tagliando via dei bocconi, strappandomi le interiora! Nessun dolore,

niente! Nessun dolore vi dico! Mi sta divorando! Strappandomi tutto!

E’ il mio io primordiale che mi divora!

Sto tornando ciò che ero all’inizio!

Una sensazione incredibile! Ineffabile! Beatitudine!

Assolutamente trascendente!

Io sono quella creatura ed essa è me!

Caccio!

Uccido!

Mangio!

Sto divorando la carne calda di sangue di una capra gigantesca!

Una fame pura, assoluta! Senza freni, naturale, completa!

L’Id! L’Id incarnato! 

E qui il flusso quasi isterico di Jessup si ruppe in un grugnito strano,

poi si udì una serie di secche risonanze, una sorta di ululato nella notte.

Parrish non resistette oltre. Aprì di colpo la porta, attraversò a rapidi passi

lo spazio che lo separava dal serbatoio e sollevò il coperchio.

Vide nel buio della vasca il volto bianco di Jessup, sereno come quello di un 

santo.

– Come ti senti? gli domandò.

– Così bene….così bene…, mormorò il volto bianco.

Anche Rosenberg aveva raggiunto il serbatoio.

– Vuoi venirne fuori? chiese a Jessup.

– No.

Rosenberg riabbassò lentamente il coperchio, scrollò le spalle e tornò nella 

saletta di osservazione.

Dopo qualche minuto lo seguì anche Parrish, il quale chiuse lentamente la

porta.

– Brutto Viaggio, secondo me, disse Rosenberg.

(Paddy Chayefsky, Stati di allucinazione)

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INCONTRI DI PRIMO POMERIGGIO, OVVERO: STATI DI ALLUCINAZIONE

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Dentro la vasca Jessup, nudo e bianco, galleggiava immobile, osservando il

buio divenire sempre più scuro.

Il respiro gli si faceva più leggero e anche più rumoroso sinché non fu una

forma tangibile, un’amplificazione senza fine di se stesso, sinché l’intero spazio

non sembrò fatto di respiro; poi, improvvisamente, l’impatto dell’assoluto silenzio.

Tenue, un’imagine penetrò l’oscurità: un promontorio di basalto.

Altra immagine: un mare nero che lento si ritraeva, affondando, svuotandosi.

Di nuovo il nero silenzio.

Un’altra fuggevole immagine: una pianura spoglia e ondulata, tutta pietrisco.

Di nuovo il mare e la sensazione, ora, di caderci dentro.

Poi ancora denso e nero silenzio.

Nella sala di osservazione Rosenberg leggeva e Parrish sedeva su una seggiola

pieghevole di legno, gli strumenti del mestiere che gli facevano capolino dalle 

tasche: uno stetoscopio, un oftalmoscopio, stilografiche, lampadine a penna.

Alle 16,47 la voce di Jessup li fece sobbalzare entrambi.

– Okay, intonò.

Rosenberg mormorò nel registratore:- Inizio alle 16 e 47.

Notò che il nastro era pressoché finito e ne predispose uno nuovo.

– Ora che succede? sussurrò Parrish.

Rosenberg stava per rispondergli quando giunse la voce di Jessup.

Cantilenava stranamente.

– Molte immagini slegate ma precise.

Scarafaggi, larve, mosconi, uccelli in volo con becchi dentati, colombi,

oche, avvoltoi, berte, sule. Un uccello che non vola, somiglia allo struzzo

però alto più di tre metri, una talpa col marsupio, un tasso grande come un

orso.

E’ evidente che mi trovo in una situazione tempo-spazio-primordiale.

Ora riesco a vedere il terreno, incredibile, sempreverdi tropicali a foglia larga,

palme, banani, giuggioli, carici, gramigne…è…è incredibile, meraviglioso, un altopiano

o una pianura, prateria, savana, ora vedo tutto con chiarezza, è reale, non è un’

allucinazione, mi sento vivo e parte di quello che sto vedendo…ci sono boschi 

laggiù a un paio di chilometri, dietro ad alture che pare stiano fumando, alture

appena nate, cenozoiche, dell’ultimo terziario, mi trovo in una zona sul limitare,

tranquillità assoluta però viva, c’è vita sugli alberi, vita tra l’erba, un paradiso,

il paradiso terrestre, mio Dio!

La nascita dell’uomo! Ecco cos’è! La nascita dell’uomo!

Non può essere altrimenti.

Dio! Eccolo! 

Un essere protoumano!

La prima, l’originaria forma di vita!

E’ piccolo! Poco più di un metro! Lo scorgo a malapena che spunta tra l’erba.

E’ coperto di pelliccia, simile a uno scimpanzè però sta eretto, non cammina sulle

nocche, ha braccia più brevi e si muove con grazia – ecco ne vedo due, tre!

Hanno gambe corte e piedi malformati, ancora scimmieschi, non arcuati, si muovono

nell’erba alta, piccole creature umanoidi impellicciate, nelle mani tengono un sasso

(un telefonino), una sorta di roccia basaltica, un frammento di lava, stanno cacciando

….ma certo! 

E’ una caccia, stanno dando la caccia a qualcosa…..sono io!

E’ a me che danno la caccia!

Bello! Bello! Sto correndo tra l’erba!

Cerco di raggiungere gli alberi! Ora li ho a fianco!

( P. Chayefsky, Stati di allucinazione)

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DOPO IL SOGNO

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Guardasti l’orologio: quasi le sei.                                                                 

Tra poco Nicolas ti avrebbe chiamato con un colpo di clacson e,                                           yujhnbm.jpg

mentre aspettavi quel colpo di clacson, il ricordo degli

ultimi giorni ti aggredì tormendadoti come un prurito.

Il giorno in cui avevi disertato per non servire il tiranno,

di casa in casa eri andato a cercare qualcuno che ti

ospitasse ma non ti ospitava nessuno, non ti aiutava nessuno,

di ora in ora il cerchio dei poliziotti che ti davan la caccia si

stringeva fino a fartene sentire il fiato sul collo, e

con la volontà che vacillava ti chiedevi: soffrire, per chi,

battersi, per chi, perché?

Il giorno in cui avevi capito che l’altrui paura, l’altrui obbedienza, 

l’altrui sottomissione t’avrebbe perduto e quindi bisognava lasciare

il paese, fuggire in cerca di nuove case dove chiedere ospitalità, con un

passaporto falso, t’eri imbarcato all’aeroporto di Atene e avevi raggiunto

Cipro, per essere anche qui inseguito dai poliziotti, sentire anche qui il 

loro fiato sul collo, anche qui vacillare, chiedersi: soffrire, battersi, per chi,

perché?

Il giorno in cui avevi compreso che nemmeno lì saresti riuscito a ottenere 

nulla, il ministro degli Interni Gheorgazis ti braccava per consegnarti alla 

Giunta, quindi bisognava scappare ancora e avevi fame, avevi freddo, la

notte dormivi in una capanna abbandonata, il giorno ti nutrivi rubando la 

frutta nei campi, ripendoti soffrire, battersi, per chi, perché?

Il giorno in cui il destino t’aveva condotto all’unic(a) che potesse salvarti, 

il presidente Makarios, e costui t’aveva offerto un lasciapassare per 

raggiunger l’Italia dicendo vada-dal-mio-ministro-Gheorgazis-glielo

firmerà, sicché c’eri andato col cuore in tumulto, eri entrato nel suo 

ufficio col dubbio che t’avessero teso altro veleno, pronto a gridargli va

bene mi arresti: tanto che serve soffrire, battersi, gli uomini non sanno 

che farsene della libertà.

E lui, alzando un volto tenebroso, incorniciato di barba corvina, quasi un 

cappuccio che nascondeva tutto fuorché gli occhi taglienti, aveva un sorriso

arcigno: ” UHM, TU. PROPRIO TU CHE CERCO DI ACCHIAPPARE DA 

MESI…..”

(O. Fallaci, Un uomo, Rizzoli)    

                                            

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LA BICICLETTA (il vero grande amore)(1)

Il decimonono secolo, che può                                           9ojkmn8.gif

veramente dirsi

benemerito nella

storia dei popoli,

poiché vide

sorgere ed affermarsi

le maggiori e le più

utili concezioni del

genio umano,

comprende certamente

tutto il periodo

storico del

‘velocipedismo’.

Il ciclismo, nel senso

preciso della parola,

venne assai più

tardi, e si affermò come

sport e come abitudine solo dopo l’invenzione della bicicletta.

L’invenzione del velocipiede, per quanto ci è noto, data da tempo relativamente non lontano.

Nulla ci conforta a ritenere che nei tempi antichi alcuno abbia avuta l’idea di creare un

veicolo direttamente posto in azione dalla forza muscolare dell’uomo, né gli archeologi

hannno voluto darsi fino ad oggi pensiero di ricercare nella notte dei tempi la prova

ipotetica di un simile avvenimento, affatto trascurabile da molti punti di vista, e

soprattutto da quello…..archeologico. E poiché nessuno papiro fino a noi giunse e nessun

venerabile monumento rimase ad attestare l’esistenza di un velocipiede assiro o

egizio, o semplicemente greco o romano, noi dobbiamo pure, risalendo a traverso i

tempi, arrestarci a poco più di due secoli da oggi, al 1693, per ritrovare la prima

notizia attendibile di una velleità                             1869_Draisienne.jpg

a ribellarsi al tardigrado destino

che la misura impose all’homo

sapiens, mentre tanti altri

animali della creazione nacquero

e nascono dotati di mezzi

sufficienti a concedere loro

naturalmente una facile e 

notevolissima rapidità di

moto.

E se dalla antica invidia dell’uomo primitivo per l’aquila dal volo maestoso e per la

gazzella agilissima possono aver tratto origine, a traverso infinite creazioni e trasformazioni,

anche il pallone dirigibile e l’aeroplano che già oggi afferma la meravigliosa possibilità

di un principio che sovrasta – è veramente il caso di dirlo – alla vita intensa del ventesimo

secolo, è non meno certo che nella istoria del velocipedismo il primo timido tentativo

può essere paragonato anche alla più modesta delle attuali biciclette come la catapulta

e lo specchio ustorio agli odierni formidabili mezzi di offesa e di distruzione.

Nel 1300-1600 – poche ed incerte                                cycle1.jpg

sono le notizie che risalgono a

quell’epoca.

Si tratta generalmente di vetture

primitive a forza di braccia, con

bastoni o rudimentali congegni

di corde e leve.

Certo è che i primi tentativi

non sopravvissero ai loro

inventori specialmente per

l’enorme peso e l’eccessiva

complicazione.

Tuttavia nella biblioteca di Wolfenbuttel,

in Germania, si conserva un manoscritto,

che farebbe risalire fino al XIV secolo, e che

descrive una specie di velocipiede a quattro

ruote, guidato per mezzo di un

manubrio.                            Florida - man with penny-farthing.jpg

E nella cronaca della città di Meiningen

esumata dal dott. Schozer, si ricorda che

al 9 di gennaio del 1447 ‘venne per la

Kalchsthor fino al mercato, e di nuovo

se ne andò, una carrozza perfetta nelle

sue parti, non tirata da cavallo o da bue;

essa era coperta, e dentro vi si vedeva

il ‘maestro’ che l’aveva costruita e che

con meccanismo interno la dirigeva’.

Del 1625 abbiamo, più che una memoria,

una leggenda.

Secondo l’inglese Henry Fetherstone, il

gesuita Ricius avrebbe discesa la riva

del Gange, da Chinchiang-fu a Checkiang-ham-tcheu,

a cavalcioni di un apparecchio da lui inventato, composto di tre ruote ineguali complicate

con leve e barre.

Una cronaca di Norimberga ricorda pure che verso il 1649 un tal Hans Hautsch abbia

inventato un congegno mosso da ingranaggi che percorreva duemila passi l’ora e poteva

arrestarsi e mettersi in moto a capriccio di chi lo guidava. Si dice pure che tale congegno

sia stato venduto a Stoccolma al principe Carlo Gustavo e che l’inventore abbia provvista

anche una berlina di gala, del sistema medesimo, alla Corte Danese. 

Sembra al contrario veramente storico il tentativo di certo dott. Richard, francese, medico

alla Rochelle, nato nel 1645 e morto nel 1706, vittima della sua medesima invenzione.

L’illustre Ozanam, membro della                                  phpzqJSCk.jpg

Academie Royale des Sciences,

citava, in un suo rapporto alla

Accademia medesima una sorta

di macchina, sufficientemente

pesante, che aveva in compenso il

difetto di non potersi muovere che

se un terreno liscio e piano.

Della moderna automobile questo

apparecchio può dirsi precursore –

ben che azionato dalla sola forza

umana – poiché la storia dice che

esso finì fracassato, in fondo a una

ripida discesa, in uno col suo inventore.

Vogliamo riportare testualmente

la descrizione di questa macchina,

data da Ozanam nella relazione citata:

‘Un valletto, collocatosi sulla parte

posteriore della vettura, la spingeva avanti appoggiando i piedi alternamente su due pezzi

di legno, collegati a due ruote che agiscono sull’asse della vettura stessa’.

Si ha poi una vaga nozione di uno Stefano Farfler o Tarflersh orologiaio d’Aldorft che 

nel 1703, essendo sciancato, avrebbe costruito per recarsi alla chiesa una specie di triciclo

velocimane. Si dice che l’arcivescovo abbia concesso molte indulgenze al pio inventore.

Ma anche questa notizia deve accogliersi con ogni riserva, non essendo essa provata o

suffragata da disegni o documenti attendibili.

(Umberto Grioni, Il ciclista, 1910) 

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L’UOMO E LA NATURA (il futuro)(13)

(Appunto dell’autore del BLOG:                               rifkin1.jpg

l’economista e

divulgatore di cui

mi accingo a citare

alcuni passi

importanti, dopo un

seminario,

in una nota città

industriale,

ha raccolto i frutti

della ‘nuova prima

grande rivoluzione

biotecnologica’.

Forse è proprio

questo

– per talune economie –

il senso e il dovere della ‘parola’ apportata, ed il suo significato nella ‘specificità’ dell’idealismo.

Piantare quei ‘germi’ di nuova cultura BIOTECNOLOGICA spacciandola per ‘traguardo’, 

per ciò che loro intendono progresso, e sviluppo economico, ma soprattutto, visto i

fallimentari risultati conseguiti, business e facile accesso a finanziamenti che non sono

‘traguardi sociali’ come troppo spesso vengono paventati all’ignara opinione pubblica,

ma sempre e solo sperpero di ‘denaro pubblico’. In Comuni e province dove i bilanci

di taluni amministrazioni sono irrimediabilmente ed incomprensibilmente in ‘ROSSO’,

e spesso i loro amministratori, coinvolti in aule di tribunali per corruzione e molto altro.

‘Buchi, sperperi, inefficienza,incompetenza, privilegio, nepotismo, corruzione,

falso in bilancio, SONO LE PAROLE D’ORDINE DI TALUNI AMMINISTRAZIONI,

di cui godono solo i valenti ed inefficienti amministratori pubblici e di cui nessuno

della cosidetta società civile ‘assapora’ i reali benefici sbandierati come traguardi conseguiti.

I traguardi spesso ‘spacciati’ per nuove frontiere del benessere, nel nostro caso, di progresso

BIOTECNOLOGICO, mèta di ambiziosi investimenti pubblici e privati. In sedi pubbliche dove

il ‘privato cittadino’ è costretto sempre e troppo spesso a ricorrere al ‘privato’ per i più

elementari accertamenti diagnostici, e dove troppo spesso, costosissimi ‘macchinari’ sono o

in disuso, o obliterati di lavoro, ove le liste di attesa sono interminabili a beneficio, sempre

più di strutture private o convenzionate, con alti costi per la cosiddetta sanità…pubblica.

Dove la sanità, appunto, per il comune e povero cittadino è ultimo traguardo di efficienza.

Efficiente SOLO E SEMPRE PER UNA RISTRETTA CERCHIA O CASTA DI ADDETTI AI

LAVORI, FACCENDIERI, POLITICI, PORTABORSE,E NON PER ULTIMI…ALTI PRELATI.

Mi accingo a riportare taluni passi salienti dell’economista, nonché divulgatore ed ecologista,

allo ‘SPACCIO DELLA BESTIA TRIONFANTE’….):

Mentre parte dell’attenzione dell’opinione pubblica è stata diretta verso l’inquinamento

agricolo e verso i potenziali effetti di un rilascio, accidentale o volontario, delle mortali

tossine e degli agenti patogeni negli esperimenti di guerra biologica, minore attenzione

è stata rivolta agli impatti dell’inquinamento genetico sulla salute degli animali, a 

dispetto dei rapporti pubblicati sul marcato aumento delle sofferenze degli animali a

causa della ricerca condotta sugli animali trasgenici. Migliaia di animali transgenici,

chimerici e clonati, dai maiali ai primati, sono in questo stesso momento oggetto di

sperimentazioni in tutti i laboratori del mondo, allo scopo di migliorare l’allevamento

e di creare modi più efficienti per la produzione di farmaci e di prodotti chimici e di

trovare cure e terapie per le malattie che colpiscono l’uomo. L’inserimento di geni

estranei nel codice genetico di un animale può scatenare una serie di molteplici

reazioni e può essere la causa di una sofferenza per la creatura mai riscontrata in 

passato.  

Nello sviluppo degli animali transgenici, il ‘contesto’ è essenziale per qualsiasi

discussione morale. Quando il problema della creazione di animali transgenici viene

sollevato in un contesto commerciale per suscitare interesse nei probabili investitori di

Wall Street, i biologi molecolari spesso parlano delle potenzialità rivoluzionarie delle 

nuove tecnologie. Essi si vantano della capacità di superare milioni di anni di evoluzione

e migliaia di anni di procreazione classica e di creare organismi interamente progettati

bioindustrialmente dagli illimitati utilizzi commerciali. Quando, invece, la stessa 

sperimentazione sugli animali transgenici viene messa in dubbio dagli ambientalisti

e da quelli che difendono i diritti degli animali, i biologi molecolari assumono una

posizione molto più conservatrice, affermando che i loro sforzi rappresentano un

piccolo passo avanti rispetto alle convenzionali tecniche di procreazione.

Per la prima vola i biologi molecolari credono di avere il potere di controllare il 

processo dell’evoluzione in sé, di dettare i termini, anche se in una forma veramente

primitiva, del ‘viaggio’ dello sviluppo della natura. 

David Martin Jr., della facoltà di medicina dell’Università della California a San

Francisco, affermò: IL GENERE UMANO STA PARTECIPANDO AL PROCESSO

DELL’EVOLUZIONE. CON QUESTO INTENDO DIRE CHE LA NOSTRA CAPACITA’,

ACQUISITA ATTRAVERSO L’EVOLUZIONE, DI MANIPOLARE I GENOMI GRAZIE

ALLA PROCREAZIONE SELETTIVA E PIU’ RECENTEMENTE GRAZIE ALLE 

TECNOLOGIE DI DNA RICOMBINATE, E’ PARTE INTEGRANTE DELL’EVOLUZIONE

STESSA E NON STA, ANCHE SE QUESTO E’ STATO AFFERMATO IN PASSATO, 

‘ARMEGGIANDO CON L’EVOLUZIONE’. …INVECE E’ L’EVOLUZIONE.

Se questi nuovi strumenti transgenici conferiscono una sorta di paternità sulle altre

creature, molto in anticipo rispetto ai tipi di manipolazione con i quali siamo stati

abituati a sperimentare nel passato, allora la questione diventa stabilire se le altre

specie debbano o no essere appropriatamente il soggetto della totale riconfigurazione

secondo le nuove linee di sviluppo. In altre parole, è possibile dimostrare che la

‘specificità’ o la ‘realtà’ delle molte specie animali che esistono sulla Terra deve essere

onorata e rispettata?

Le nozioni di valore intrinseco e di ‘specificità’ furono animosamente rifiuatata dai 

biologi molecolari, che pensavano che tali termini appartenessero al mondo del 

‘misticismo’ e non avessero alcuna collocazione nella discussione sui problemi

scientifici. Non è difficile comprendere perché i biologi molecolari siano così contrari

all’idea di ‘specificità’. Attraversare i confini delle specie è l’essenza della nuova

rivoluzione biotecnologica. Per riconoscere anche la più remota possibilità di una

questione morale, etica o filosofica per la protezione delle specie bisogna chiedersi

quale sia la vera natura della tecnologia dell’ingegneria genetica.

Altro aspetto importante dei presunti traguardi conseguiti per la salute dell’uomo, 

con l’apporto di biotecnologie è la tecnica dell’XENOTRAPIANTO. I timori di usare

gli organi dei babbuini e di altre scimmie per gli xenotrapianti hanno spinto le

industrie biotecnologiche a rivolgere la sperimentazione sugli organi dei maiali

come alternativa più valida e potenzialmente più sicura. I ricercatori affermano

che le scrofe, al contrario delle scimmie, sono state fatte crescere in ambienti privi

di agenti patogeni e, di conseguenza, sono libere dai virus pericolosi che potrebbero

essere trasmessi alla popolazione umana. La loro fiducia venne minata nel 1997 

quando gli scienziati comunicarono la scoperta di un retrovirus endogeno suino (Perv)

che infettava le cellule umane in vitro, sollevando la possibilità che altri retrovirus

suini, non ancora scoperti, potessero superare i confini di specie ed essere causa

di insorgenza di nuove malattie nei pazienti. Ancora più inquietante è il fatto, 

che molti retrovirus sono agenti patogeni trasmessi per via ematica o per via 

sessuale supponendo che il Perv, come il virus dell’Aids, potrebbe essere trasmesso

attraverso il contatto diretto e dare origine a una vera e propria epidemia. 

Allan sostiene che il risultato di queste ultime scoperte sui retrovirus dei suini

‘potrebbe obbligare le istituzioni sanitarie pubbliche, a considerare gli organi degli

animali trapiantati nell’uomo come un contenitore onnicomprensivo per i retrovirus,

i quali potrebbero dare luogo a virus ricombinati con caratteristiche patogene alterate’. 

(Jeremy Rifkin, Il secolo Biotech)

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L’UOMO E LA NATURA (il futuro)(12)

‘Il problema’ disse Rick ‘deriva tutto dal vostro modo di operare, signor Rosen.

Nessuno ha costretto la vostra organizzazione a sviluppare la produzione di

ROBOT-UMANOIDI al punto in cui…’

‘Abbiamo prodotto quello che volevano i colonizzatori’ disse Eldon Rosen.

‘Abbiamo seguito il principio noto fin dalla notte dei tempi, che sta alla base

di qualsiasi impresa commerciale. Se la nostra azienda non avesse prodotto

questi tipi sempre più simili all’uomo, lì avrebbero prodotti altre aziende.

Sapevamo a quali rischi ci esponevamo quando abbiamo sviluppato l’unita

cerebrale NEXUS-6. Ma il vostro test di Voigt-Kampff era fallito prima che

noi immettessimo sul mercato quel tipo di androide. Se lei avesse sbagliato

nel classificare un NEXUS-6 come androide, se lei avesse concluso che era un

umano – ma non è questo che è successo’.

La voce gli era divenuta dura, mordace, penetrante.

‘Il suo dipartimento di polizia – e anche altri possono aver ritirato, molto probabilmente

hanno ritirato, degli umani al 100% ma con doti empatiche sottosviluppate, come questa

mia nipote. La sua posizione, signor Deckard, è estremamente antipatica da un

punto di vista morale.

– La nostra no’.

‘In altre parole’ disse con acume Rick ‘non avrò la possibilità di controllare nemmeno

un NEXUS-6. Mi avete messo d’acchitto tra capo e collo questa ragazza schizoide’.

E il mio test, si rese conto, è distrutto. Non avrei dovuto accettare, si disse. A ogni

modo è troppo tardi.

‘La teniamo in pugno, signor Deckard’ disse Rachael Rosen in tono calmo e ragionevole.

Quindi, si volse verso di lui e sorrise.

(……) Un’ora dopo, sul furgone dell’azienda, aveva ritirato il primo animale malfunzionante

del giorno. Un gatto elettronico: sdraiato nella gabbia da trasporto in plastica impermeabile

alla polvere, nel retro del furgone, ansimava con strana irregolarità.

Si potrebbe dire che è vero, osservò Isidore sulla via del ritorno alla Clinica per animali

Van Ness – quella piccola impresa dal nome così accuratamente fuorviante che

resisteva a stento nel duro mondo della concorrenza tra gli addetti alle riparazioni

degli animali finti.

Accidenti, si disse, sembra davvero che stia morendo.

Forse la batteria vecchia di dieci anni è andata in corto e tutti i circuiti stanno

sistematicamente bruciando. Un lavoro di quelli grossi; Milt Borogrove, il meccanico

della Clinica per animali Van Ness, avrà il suo bel da fare. E al proprietario non ha fatto

neanche un preventivo, si rese conto, rabbuiandosi.

Il tizio mi ha buttato in braccio il gatto, ha detto che aveva cominciato a stare male durante

la notte, e poi mi sa che se n’è andato al lavoro. A ogni modo, d’un tratto il veloce scambio

verbale s’era interrotto e il proprietario del gatto era sfrecciato rombando su nel

cielo nella sua fantastica aeromobile, un nuovo modello personalizzato.

Tra l’altro, l’uomo era un nuovo cliente.

Rivolto al gatto, Isidore disse: ‘Ce la fai a resistere finché arriviamo in officina?’…..

(Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?)

dedicato a Giulia….(in):

http://www.terranews.it/opinioni/2010/10/xenotrapianti-e-altri-esperimenti-con-cellule-animali

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LA VITTORIA FINALE

Un giorno, al principio dell’estate,                                       98iuj76y.jpg

Clarinetto ordinò alle pecore di

seguirlo e le condusse all’altra

estremità della fattoria, in un

ampio terreno invaso da 

betulle.

Le pecore passarono tutta la

giornata a brucare le foglie

sotto la sorveglianza di 

Clarinetto. Questi se ne 

tornò la sera alla casa colonica;

ma poiché faceva caldo, disse

alle pecore di rimanere 

dov’erano. 

Finì che esse rimasero là

un’intera settimana durante la quale nessuno le vide. Clarinetto si tratteneva con loro 

quasi tutto il giorno: stava insegnando loro, diceva, una nuova canzone per cui era

necessario l’isolamento.

Dopo il ritorno delle pecore, in una deliziosa serata, quando, finito il lavoro, gli animali

stavano rientrando alle loro stalle, un terribile nitrito di cavallo risuonò nel cortile.

Stupiti, gli animali si arrestarono.

Era la voce di Berta. Essa nitrì ancora e tutti gli animali irruppero a galoppo nella corte.

Videro allora ciò che aveva visto Berta. Un maiale stava camminando sulle gambe posteriori.

Sì, era Clarinetto. Un po’ goffamente, come se non fosse abituato a portare in quella

posizione il suo considerevole peso, ma con perfetto equilibrio, passeggiava su e giù

per il cortile. 

Poco dopo, dalla porta della casa colonica uscì una lunga schiera di maiali: tutti

camminavano sulle gambe posteriori. Alcuni lo facevano meglio degli altri, qualcuno era

ancora un po’ malfermo e sembrava richiedere il sostegno di un bastone, ma tutti fecero

con successo il giro del cortile. Infine, fra un tremendo latrar di cani e l’altro cantar del

gallo, uscì lo stesso Napoleon, maestosamente ritto, gettando alteri sguardi all’ingiro,

coi cani che gli saltavano attorno.

Stringeva fra le zampe un telefonino.

Seguì un silenzio mortale.

Stupefatti, atterriti, stringendosi assieme, gli animali guardavano la lunga fila dei maiali

marciare lentamente attorno al cortile. Era come se il mondo si fosse capovolto. Poi venne

il momento in cui, passato il primo stordimento, nonostante tutto – nonostante il terrore

dei cani, l’abitudine sviluppata durante lunghi anni di non mai lamentarsi, di non mai

criticare – sentirono la tentazione di pronunciare parole di protesta. Ma in quell’attimo

stesso, come a un segnale dato, tutte le pecore ruppero in un tremendo belato:”Quattro

gambe buono; due gambe, MEGLIO! Quattro gambe, buono, due gambe MEGLIO!

Quattro gambe, buono; due gambe, MEGLIO!”.

Continuarono così per cinque minuti, senza soste. E, quando le pecore si furono calmate,

la possibilità di protestare era passata perché i maiali erano rientrati nella casa.

Benjamin sentì strofinarsi contro la sua spalla. Guardò. Era Berta. I suoi vecchi occhi

erano più appannati che mai. Senza dir nulla, lo tirò gentilmente per la criniera e lo

portò nel grande granaio ove erano scritti i sette comandamenti. Per qualche istante

ristette fissando la parete scura e le lettere bianche.

“La mia vista si indebolisce” disse infine.

“Anche quando ero giovane non riuscivo a leggere ciò che era scritto qui. Ma mi pare che

la parete abbia un altro aspetto. I sette Comandamenti sono gli stessi di prima Benjamin?”

Per una volta Benjamin consentì a rompere la sua regola e lesse ciò che era scritto sul muro.

Non vi era scritto più nulla, fuorché un unico comandamento. Diceva:

                     TUTTI  GLI  ANIMALI  SONO  EGUALI

MA  ALCUNI  ANIMALI  SONO  PIU’  EGUALI  DEGLI  ALTRI

Dopo ciò non parve strano che i maiali che sorvegliavano i lavori reggessero fruste nelle

loro zampe. Non sembrò strano di apprendere che i maiali si erano comperati per loro

uso un apparecchio radio, che stavano impiantando un telefono, che avevano fatto 

l’abbonamento al ‘John Bull’, al ‘Tit-Bits’ e al ‘Daily Mirror’. Non sembrò strano vedere

Napoleon passeggiare nel giardino della casa colonica con la pipa in bocca; no, neppure

quando i maiali presero dal guardaroba gli abiti del signor Jones e li indossarono e fu

visto Napoleon in giacca nera, pantaloni e scarpe di cuoio, mentre la sua scrofa preferita

vestiva l’abito di seta che la signora Jones portava la domenica, neppur questo sembrò

strano. 

Una settimana dopo, nel pomeriggio, numerose carrozze giunsero alla fattoria.

(…….) Come prima, vi furono applausi e i bicchieri vennero vuotati fino al fondo.

Ma mentre gli animali di fuori fissavano la scena, sembrò loro che qualcosa di strano

stesse accadendo. Che cosa c’era di mutato nei visi dei porci? Gli occhi stanchi di Berta

andavano dall’uno all’altro grugno. Alcuni avevano cinque menti, altri quattro, altri tre.

Ma che cos’era che sembrava dissolversi e trasformarsi?

Poi, finiti gli applausi, la compagnia riprese le carte e continuò la partita interrotta, e gli

animali silenziosamente si ritirarono. Ma non avevano percorso venti metri che si fermarono

di botto. Un clamore di voci veniva dalla casa colonica. Si precipitarono indietro e di 

nuovo spiarono dalla finestra. 

Sì, era scoppiato un violento litigio. 

Vi erano grida, colpi vibrati sulla tavola, acuti sguardi di sospetto, proteste furiose. 

Lo scompiglio pareva esser stato provocato dal fatto che Napoleon e il signor Pilkington

AVEVANO CIASCUNO E SIMULTANEAMENTE GIOCATO UN ASSO DI SPADE. 

Dodici voci si alzavano furiose, e tutte erano simili.

Non c’era da chiedersi ora che cosa fosse successo al viso dei maiali.

Le creatura di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal 

maiale all’uomo, ma già era loro IMPOSSIBILE DISTINGUERE FRA I DUE.

(George Orwell, La fattoria degli animali)

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L’ASINO (2)

Già ho detto quando avvenne l’addomesticamento; quanto al luogo, si trattò dell’Egitto,

forse anche della Nubia, ma comunque è in Egitto che lo troviamo ampiamente rappresentato,

ed è da lì che poi l’asino è partito per conquistare il mondo e sempre come animale da lavoro.

Penso a lui come un motore per mille usi, per trasportare pesi e persone , per muovere le

mole dei molini, le ruote per cavare l’acqua, i carrelli nelle miniere. Un produttore di energia

a buon mercato, aiuto dell’ambulante, del contadino, della gente più misera, perché tutti

potevano permetterselo. 

Ma, si sa, la frugalità, la modestia, la resistenza alla fatica non sono mai state qualità degne

di grande ammirazione. Così l’asino è stato, salvo rare eccezioni, concepito come uno

schiavo. Forse per questo è nata la convinzine che quasi le bastonate gli sono dovute.

E ciò mi fa pensare a un’altra frase, ben più acuta questa, di Peter Jean Medewar:” La

proverbiale cocciutaggine di asini e muli non va attribuita a niente di più profondo del

loro uso da parte di persone abitualmente insensibili agli animali e indifferenti al loro

benessere”.

Frase che la dice lunga.

Ben raramente infatti l’uomo s’è chiesto se non c’era qualche modo più intelligente, oltre

che pigliarlo a bastonate, per comunicare con questo, anche per ciò così simpatico animale.  

Le cose comunque, almeno in qualche parte del mondo, stanno un poco cambiando e,

diciamolo, migliorando. Prendiamo il caso dell’Italia. Da quando l’asino v’è arrivato è

passato un tempo sufficiente perché s’evolvessero caratteristiche razze locali, che mi

piace enumerare. Così ecco gli asinoni neri e forzuti di Martina Franca e di Ragusa,

quello morello o baio di Pantelleria, il grigio asino dell’Amiata, e infine i piccolissimi

della Sardegna, di colore sorcino colla scura croce dorsale, e dell’Asinara, albini e con

sconcertanti occhi azzurri. Grande fortuna hanno avuto fino a non molto tempo fa queste

razze, allevate in gran numero e perfino esportate. Poi la ricchezza, il progresso, la

motorizzazione le hanno rese sempre meno utili per i tradizionali lavori; s’è così arrivati,

in qualche caso, fino quasi a vederle scomparire. Esempi: l’asino di Pantelleria è

praticamente estinto; quello di Martina Franca, di cui sono rimasti ben pochi esemplari

tipici, fu censito nel 1907 e nella sola Puglia ne erano presenti ben 128.026 individui.

Gravissimo declino, dunque, ma da ciò, fortunatamente, è scaturito l’allarme.

Qualcuno s’è accorto che le antiche nostre razze rappresentavano un valore, sia genetico

che culturale. Era un peccato che dopo tanta storia di civiltà contadina, tanto biologico

lavoro d’adattamento, dovessero scomparire.

Così enti privati hanno iniziato a raccogliere i nuclei superstiti, a curare gli standard, ad

allevare con attenzione. 

(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)

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L’ASINO

Devo parlarvi dell’asino vero e invece mi viene da pensare a l’Asino, il mensile satirico e

anticlericale che nacque a Roma alla fine dell’Ottocento. Ma un perché c’è. Il suo fondatore,

Podrecca, aveva coniato uno slogan che così stabiliva: ‘Il popolo è come l’asino, sempre

bastonato, sempre contento’.

Frase su cui meditare, ma io non so né voglio dirvi del popolo, so però dell’asino.

So che di bastonate ne ha prese tante da quando gli è capitata la disgrazia, sei o settemila

anni fa, di divenire ‘servitore dell’uomo’. Infatti non sempre è un guadagno, per un animale,

essere addomesticato; almeno non l’è sotto il punto di vista, come si dice oggi, della qualità

della vita.

Sì, occorre distinguere. 

Gli animali addomesticati hanno tutti guadagnato quanto a sopravvivenza della specie.

Loro, i domestici, sono numericamente esplosi hanno conquistato il mondo; i selvatici 

progenitori sono invece andati quasi sempre estinguendosi. Non esistono più, o quasi,

gli antenati dei nostri bovini, equini, polli e così via. Ma che vita fa un pollo da batteria?

E un vitello da ingrasso? E fin qui il discorso è generale. Se poi si parla dell’asino, e proprio

di lui voglio parlare, allora davvero ci si accorge che il suo addomesticamento l’ha tirato giù

molto, come modo di vita. Se guardo indietro alla sua storia un po’ di pena la sento.

E mi chiedo: perché proprio a lui è capitato d’essere il più maltrattato?

Perché la sua sorte è stata, tanto per fare un paragone, così più dura di quella del cugino

cavallo?

Credo che, per avere una risposta, occorra tornare alle origini, all’asino selvaggio che ormai,

e anche qui la storia si ripete, quasi non esiste più.

E’ del Nordafrica l’antenato.

Qualche piccolo gruppo galoppante – costituito da un po’ di giumente, uno stallone focoso

e possessivo, i puledri – fortunatamente ancora esiste, e così può servirci da pietra di paragone.

Inoltre, rifacendoci al gruppo selvaggio, possiamo finalmente ammirare l’asino in tutta la

sua bellezza. E scopriamo un’animale elegante, sensibile, coraggioso. Ma scopriamo anche

altro: l’asino è animale quasi deserticolo, vive in zone aride, sa gettarsi giù per pendii

scoscesi senza mai farsi male; inoltre gli bastano, per nutrimento, rade mimose, cespugli

irti di spine, poca erba coriacea. Sopporta a lungo il digiuno e la sete, e non gli nuoce né

il gran caldo né il gelo. L’adattamento a quell’ambiente difficile l’ha insomma fatto una

stupenda macchina economica e resistente. E qui, proprio qui sta il guaio.

Il guaio sta qui perché l’uomo presto se ne accorse. Puledri selvaggi, figli verosimilmente

di giumente cacciate per procurarsi carne, vennero imbrigliati e portati vivi a casa. Poi

assoggettati, ammansiti, domati. Mi immagino la difficile caccia, l’aiuto consistente dei

cani, i bei cani egizi di colore fulvo, alti e slanciati, dalle lunghissime orecchie dritte e

puntute. Mi immagino la difesa della mandria facente fronte comune, collo stallone

sparante calci cogli arti anteriori, coi posteriori. E mi immagino la giovane età dei puledrini

catturati, indispensabile per la socializzazione coll’uomo. Così quei prigionieri, seppure

selvaggi di nascita e per genetica caratterizzazione, crebbero sviluppando uno specifico

attaccamento per il padrone, una generica confidenza per la specie umana.

Erano la generazione numero uno degli asini domestici.

(Danilo Mainardi, Dalla parte degli animali)

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