CONTRA GALILAEOS (2)

La prima prova che questo nell’uomo non è frutto di insegnamento, ma esiste per

natura, è lo spontaneo anelito al divino che noi troviamo a livello pubblico e privato,

tra individui e popoli. Ognuno di noi crede spontaneamente in un’entità divina, ma

la conoscenza precisa su di essa non è per tutti facile, né è possibile per chi l’ha raggiunta

comunicarla a tutti…a questa intuizione universalmente diffusa se ne aggiunge un’altra.

Noi uomini siamo tutti così uniti per natura al cielo e agli dèi che in esso appaiono che,

se si immagina la presenza di un altro dio, lo si fa abitare senz’altro in cielo, non per

separarlo dalla terra, ma per collocare per così dire il sovrano di tutto in quel luogo

più onorevole, nella convinzione che egli osservi dall’alto le vicende terrene.

Sta ora a sentire cosa dice Platone del cosmo.

“Dunque il cielo tuto o cosmo – chiamalo pure con qualunque altro nome lo si possa

chiamare – è esistito sempre, senza principio alcuno, o è nato traendo la propria origine

da un inizio?

E’ nato. E’ infatti visibile, tangibile, corporeo. Simili esseri sono oggetto di sensazione,

percepibili all’opinione accompagnata dalla sensazione….se dunque bisogna parlare

secondo logica, bisogna dire che questo mondo, essere fornito di anima intelligente, è

veramente nato grazie alla provvidenza divina”. 

Mettiamo solo a confronto punto per punto quale discorso e di che tipo fa dio secondo

Mosè e quale secondo Platone.

” E dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza. Ed abbia dominio sui

pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sulle bestie e su tutta la terra e su tutti gli esseri

che si muovono sulla terra. E dio creò l’uomo e lo fece ad immagine di dio; maschio e

femmina li fece, dicendo: crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela.

E abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, su tutte le bestie e su tutta

la tera”.

ORA DUNQUE ASCOLTA ANCHE IL DISCORSO DI PLATONE, che egli attribuisce al

demiurgo di tutto.

” Dèi degli dèi, le opere di cui io sono il demiurgo e il padre saranno indissolubili perché

io lo voglio. Quel che è il risultato di un’unione è tutto destinato a dissolversi, e sarebbe

proprio di un essere malvagio voler separare quel che è ben connesso ed ha una buona

struttura. Perciò, poiché siete nati, non siete immortali, né del tutto esenti dal disfacimento;

d’altra parte è certo che non vi dissolverete nella morte; voi avete nella mia volontà

un legame più forte e più potente di quelli che vi avvincevano al momento della nascita.

Ora ascoltate le parole che io vi rivolgo. Ci sono ancora tre specie mortali che non sono

nate e finché queste non nascono il cielo sarà incompleto, perché non avrà in sé tutte

le specie viventi. Ma se nascessero ed avessero vita per opera mia, sarebbero simili

agli dèi. Perché dunque siano mortali e questo universo sia veramente completo, volgetevi

secondo la vostra natura alla formazione degli esseri viventi, imitando il potere mio nel

generarvi, e quella parte di essi a cui spetta lo stesso nome degli immortali, che è detta

divina e governa in essi quelle che sono sempre disposte a seguire la giustizia e voi,

sarò io a seminarla, e darle inizio e a consegnarvela. Quanto al resto, voi, unendo il

mortale e l’immortale, plasmate e generate i viventi, nutriteli, fateli crescere ed

accoglieteli di nuovo al momento della morte”.

(Giuliano Imperatore, Contra Galilaeos)

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CONTRA GALILAEOS

Ora, se volete, facciamo un                                                              8978ujnmjh.jpg

confronto con la parola di

Platone.

Considera dunque quel che

egli dice del demiurgo e

quali parole gli attribuisce

all’atto della cosmogonia;

potremo così mettere a

confronto la cosmogonia

di platone e quella di Mosè.

Sarà in questo modo chiaro chi dei due è il più grande di dio, se Platone l’idolatra, o

colui di cui la Scrittura dice che dio gli parlò bocca a bocca.

‘In principio dio fece il cielo e la terra. Ma la terra era invisibile e informe e il buio era

sull’abisso, e lo spirito di dio vagava sopra l’acqua. E dio disse: sia la luce e la luce fu.

E dio vide che la luce era bene. E dio separò la luce e le tenebre. E dio chiamò la luce

giorno e chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina, un giorno. E dio disse: sia il

firmamento in mezzo all’acqua. E dio chiamò il firmamento cielo. E dio disse: l’acqua

sotto il cielo si raduni in un sol luogo e si veda la terraferma. E così avvenne. E dio

disse: la terra faccia crescere erba da pascolo e alberi da frutta. E dio disse: ci siano

stelle nel firmamento del cielo perché facciano luce sulla terra. E dio le pose nel

firmamento del cielo perché avessero dominio sul giorno e sulla notte’.

E’ chiaro che qui dice che né l’abisso né le tenebre, né l’acqua sono stati fatti da dio.

Eppure, io penso, come ha detto a proposito della luce che è nata per comando di

dio, avrebbe dovuto dirlo anche per la notte, per l’abisso e per l’acqua, mentre non

ha detto niente, come se già esistessero, anche se li ha ricordati spesso. Inoltre non 

a una nascita o creazione degli angeli accenna, né in quale modo siano stati posti in essere,

ma soltanto agli involucri corporei che si trovano in cielo e in terra, cosicché, secondo

Mosè, dio non è creatore di esseri privi di corpo, ma è un semplice ordinatore della 

materia esistente. E l’espressione ‘la terra era invisibile e informe’ non significa altro che

considerare l’umido e l’asciutto come materia e introdurre come suo ordinatore dio.

(Giuliano Imperatore, Contra Galilaeos)

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CONFRONTO 4

Da  http://pietroautier.myblog.it

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– Ecco perché sostengo che i progressi compiuti dalla fisica negli ultimi

decenni hanno esercitato un influsso liberatorio sul pensiero: perché hanno

dimostrato che i concetti di ‘soggettivo’ e di ‘oggettivo’ sono oltremodo

problematici.

Tutto comincia con la teoria della relatività.

In passato, dire che due eventi sono simultanei era considerato un enunciato

significativo e oggettivo, comunicabile con facilità e verificabile da qualsiasi

osservatore. Oggi sappiamo che nel concetto di simultaneità è incluso un aspetto

soggettivo: due eventi che appaiono simultanei a un osservatore in quiete non sono

necessariamente simultanei per un osservatore in movimento.

Tuttavia la teoria della relatività non relativizza integralmente il reale: è oggettiva in

quanto ogni osservatore può dedurre, ricorrendo a calcoli, che cosa un altro

osservatore ha percepito in passato o percepirà in futuro.

Siamo comunque molto lontani dal concetto classico di descrizione oggettiva.

– Questa lontananza si fa ancora maggiore nella meccanica quantistica.

Ancora possiamo impiegare il linguaggio ‘oggettivo’ della fisica classica per

avanzare enunciati relativi ad alcuni fatti osservabili.

Possiamo ad esempio dire che una pellicola fotografica è stata esposta, o che

si sono formate goccioline d’acqua. Ma sugli atomi non possiamo dire nulla.

E le previsioni che possiamo eventualmente avanzare sulla base di questa scoperta

dipendono dal nostro modo di porci nella situazione: e in quest’ambito l’osservatore

ha la libertà di scelta. Naturalmente, non fa differenza se l’osservatore sia un uomo,

un animale o una macchina: però non è più possibile avanzare previsioni senza tener

conto dell’osservatore o delle modalità d’osservazione.

In questo senso ogni processo fisico ha un aspetto soggettivo e uno oggettivo.

Oggi sappiamo che il mondo oggettivo della scienza ottocentesca era in effetti solo

una riduzione, una idealizzazione, che non rappresenta tutto il reale.

E’ probabile che in futuro si dovrà ancora, nell’accostamento al reale, distinguere tra

sfera soggettiva e sfera oggettiva, e tracciare una linea di separazione tra questi due

ambiti. Ma dove esattamente corre questa linea di separazione dal mondo in cui si

guarda alle cose: in una certa misura siamo liberi di stabilire questo confine.

Ecco perché capisco benissimo l’impossibilità di parlare di questioni religiose

impiegando un linguaggio oggettivo: e che religioni diverse si esprimono ricorrendo

a differenti forme spirituali è un’obiezione priva di fondamento.

Sono forme diverse ma forse complementari l’una all’altra, sebbene possano escludersi

a vicenda, e tutte necessarie per dare un’idea delle vastissime possibilità inerenti al

rapporto dell’uomo con il principio dell’ordine.

( W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri)

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CONFRONTO 3

Da  http://pietroautier.myblog.it

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Qualche tempo dopo, credo a Copenaghen, parlai di questo con Bohr.

Egli prese immediatamente le difese di Dirac.

– Trovo degno di lode, disse, che Paul si sia battuto senza compromessi per

difendere tutto ciò che si può esprimere con linguaggio chiaro e logico.

Egli è convinto che ciò che si può esprimere, si può esprimere con chiarezza:

o, per dirla con Wittgenstein, che ‘su ciò di cui non si può parlare si deve tacere’.

Dovresti vedere i manoscritti che mi invia Dirac: la grafia è così chiara, l’assenza

di correzioni così assoluta, che solo il guardarli è fonte di piacere estetico.

Se suggerisco l’opportunità di cambiamenti anche minimi, Paul se la prende 

moltissimo e comunque non cambia nulla. Il suo lavoro è del resto estremamente

brillante. Siamo andati di recente insieme a una mostra di pittura dove c’era 

una marina di Manet tutta giocata su stupende sfumature di grigio e di blu: si

vedeva in primo piano una barca accanto alla quale stava, nell’acqua, una 

forma grigia non immediatamente riconoscibile.

– Quella cosa lì è inammissibile’, ha commentato Paul. 

Riconosco che si tratta sì di un modo piuttosto strano di accostarsi all’arte, ma 

non per questo del tutto infondato.

Nell’arte, come nelle scienze, ogni particolare va descritto con la massima

chiarezza e attenzione: non c’è posto per il caso.

– Tuttavia la religione è qualcosa di più complesso.

Come per Dirac, l’idea di un Dio personale mi è estranea.

Dobbiamo però tener presente che la religione impiega la lingua in modo diverso

dalla scienza: la lingua della religione è, semmai, più vicina a quella della poesia.

E’ vero che siamo portati a credere che la scienza si occupi di informazioni relative a

fatti oggettivi, mentre la poesia tratta essenzialmente di fatti soggettivi: ne concludiamo

quindi che se la religione vuole occuparsi di verità oggettive bisogna che adotti gli 

stessi criteri di verità della scienza.

Ma per parte mia trovo la divisione del mondo in una sfera oggettiva e una soggettiva

operazione troppo arbitraria. Da sempre le religioni hanno parlato per immagini, per 

parabole, per paradossi: ciò significa che non vi è altro modo per riferirsi a quel tipo

di realtà cui la religione si applica. Ciò, naturalmente, non significa che si tratti di

una realtà solo immaginaria. E questo modo di ripartire il reale in una sfera oggettiva 

e una soggettiva non credo ci possa portare molto lontano.

( W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri)

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CONFRONTO 2

Da  http://pietroautier.myblog.it

      http://giulianolazzari.myblog.it

– Non si può giudicare la religione, come tu fai, solo in base alla

strumentalizzazione politica che ne viene fatta, obiettai.

– Questo perché ogni cosa in questo mondo è suscettibile di strumentalizzazione:

anche l’ideologia comunista di cui poco fa ti sei fatto portatore.

Tieni presente che sempre esisteranno le società degli uomini, e che deve per

forza esistere una lingua comune in cui parlare della vita e della morte, e della più

ampia cornice in cui si svolge il nostro esistere. Questa ricerca di una lingua comune

ha portato, nella storia, all’elaborazione di forme spirituali dotate necessariamente

di grande forza di persuasione: come altrimenti avrebbero potuto tanti uomini

vivere con esse e per esse durante tanti secoli?  Non si può liquidare sommariamente

la religione sulla base di considerazioni come le tue.

Ma forse tu sei così critico perchè senti il bisogno di un’altra e nuova religione in

cui non si dia l’idea di un Dio personale.

– Io non apprezzo nessun mito religioso, rispose Dirac, se non altro perché si

contraddicono l’un l’altro.

Sono nato in Europa e non in Asia solo per caso: non vedo perché ciò dovrebbe

costituire un criterio di giudizio per stabilire che cosa è vero o in che cosa

dovrei credere. Io posso credere solo in ciò che è vero.

E in quanto al retto comportamento, posso giungere a stabilirlo per mezzo della

ragione soltanto in base alla situazione in cui mi trovo: poiché vivo in società

come altri, devo attribuire a questi stessi diritti che reclamo per me.

Cerco di essere equo: non mi si può chiedere altro.

E le chiacchiere sulla volontà di Dio, sul peccato e sul pentimento, su un mondo

oltre questo verso il quale dobbiamo tendere, ad altro non servono che a 

nascondere questa nuda verità. 

Credere in Dio c’ incoraggia a pensare che Dio vuole che noi ci sottomettiamo a 

una forza superiore: idea utilissima per mantenere certe strutture sociali che 

magari hanno avuto senso in passato, ma che certo non hanno più posto nel 

mondo moderno. 

Trovo inaccettabili tutti questi discorsi sulla cornice più ampia e compagnia bella.

La vita, in fondo, è come la scienza: vivere significa incontrare difficoltà e cercare

di superarle. E le difficoltà si vincono solo una alla volta: la tua cornice più ampia

non è che una sovrastruttura mentale aggiunta a posteriori.

(W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri)

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CONFRONTO

Da  http://pietroautier.myblog.it

       http://storiadiuneretico.myblog.it

Intervenne a questo punto Dirac che, appena venticinquenne, non

apprezzava appieno la virtù della tolleranza.

– Non capisco perché mai stiamo a parlare di religione? disse.

– Se siamo onesti , e in quanto scienziati l’onestà è un nostro preciso

dovere, non si potrà fare a meno di ammettere che qualsiasi religione è una

congerie di asserzioni false, prive di ogni fondamento reale. L’idea stessa di

Dio è un prodotto dell’immaginazione dell’uomo.

Capisco perfettamente che l’uomo primitivo, più esposto alle incontrollabili

forze della natura, abbia personificato queste forze mosso dalla paura.

Ma oggi sappiamo di più sull’universo, e non abbiamo più bisogno di questi

espedienti.

Vi assicuro che non riesco a capire in cosa può esserci utile postulare l’esistenza

di una divinità onnipotente; capisco che un postulato del genere non porta ad

altro che a sterili interrogativi: perché Dio permette l’esistenza del male e del

dolore, o lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, o altri mali che Egli

avrebbe potuto facilmente evitare? Se oggi eiste ancora un insegnamento religioso,

sappiamo benissimo che ciò avviene non perché la religione ci convinca, ma per

tenere tranquille le classi subalterne. E’ più facile governare dei sudditi disarmati

e pacifici ed ignoranti, piuttosto che individui insoddisfatti che protestano; ed

è più facile sfruttarli, anche. 

E’ già stato detto: la religione è come l’oppio: i popoli si cullano con sogni visionari

dimenticando le ingiustizie e lo sfruttamento reali.

Di qui l’alleanza tra le due grandi forze politiche dello stato e della Chiesa.

Entrambe trovano comoda l’illusione che un Dio buono ricompensi, se non in questo

mondo, nell’altro, coloro che non si sono levati contro l’ingiustizia ma che si 

sono sottomessi docilmente e magari con gratitudine ai doveri che vengono loro

imposti.

E questo è il motivo per cui dire onestamente e francamente che Dio è solo una 

creazione dell’immaginazione è considerato il più nero di tutti i peccati mortali.

( W. Heisenberg, Fisica e oltre, Bollati Boringhieri) 

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VERITA’

Da http://pietroautier.myblog.it

      http://giulianolazzari.myblog.it

Fatte tali distinzioni, bisogna pensare le cose che vengono dopo.

Come infatti si può dividere una linea in due parti ugualmente ciascuna

di esse ancora in due secondo lo stesso rapporto, così si divide anche

l’intelligibile rispetto al visibile, e a sua volta si divida ciascuno di questi sì

che differiscano tra loro in chiarezza e oscurità; allo stesso modo, del sensibile

una sezione è costituita dalle immagini riflesse nelle acque e negli specchi,

l’altra invece è costituita dalle cose di cui queste sono immagini, e cioè piante

e animali; dell’intelligibile la sezione che corrisponde alle immagini è costituita

dai generi matematici: i geometri, infatti, una volta stabiliti come presupposti il

dispari e il pari e le figure e le tre specie di angoli, partono da questi elementi per

trattare il resto, e trascurano, come se le conoscessero, le cose reali, e non hanno da

rendere di ciò né a se stessi né ad altri; dei sensibili, invece, si servono, sì, ma senza

indagarli, e costruiscono i loro ragionamenti non già in funzione di questi, bensì del

diametro e del suo quadrato. 

L’altra sezione è infine quella dell’intelligibile, su cui si esercita la dialettica.

Questa infatti pone delle ipotesi nel senso vero del termine, cioè non come

presupposti, ma come punti di partenza e di appoggio per arrivare a quell’

incondizionato che è il principio di tutto, e una volta raggiuntolo rifare il percorso

in giù sino alla fine senza utilizzare nessun sensibile, ma solo forme pure 

dei sensibili. 

In queste quattro sezioni bisogna ben distribuire anche le affezioni, e chiamare

intellazione quella che sta al punto più alto, ragione che viene subito, credenza

la terza e immaginazione la quarta. 

Ebbene, io ritengo che anche ciò risulti evidente che quattro sono le differenze

tra gli enti, e quattro i princìpi per giudicarli, e che il ragionamento nel mezzo tocca

i due estremi, cioè gli intelligibili e i sensibili, giacché si colloca in posizione 

terminale rispetto all’intelletto e alla sensazione che sono come suoi princìpi e

di cui esso è realizzazione finale.

Esiste anche il seguente assioma generale relativamente ad ogni facoltà conoscitiva,

cioè che i simili si conoscano col simile.

E’ possibile dunque anche apprendere ambedue, intelligibili e sensibili, da 

ambedue e i diversi dai diversi, e fare uguali differenze sia in senso generale che 

in senso particolare come se fossero in essi, e ordinare il passaggio dai diversi

ai diversi, cioè da inferiori ai superiori; e Archita stabilisce come si deve compiere,

a proposito dell’intelletto, l’elevazione e la combinazione di ogni cosa. 

(Giamblico, Matematica comune)

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SAGGEZZA 3

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

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Ancora più chiaramente Archita nel suo libro ‘Sull’intelletto e la sensazione’

distingue i criteri di conoscenza degli enti e presenta quello proprio delle

matematiche con queste parole: ” In noi stessi, egli dice, in rapporto alla 

nostra anima, ci sono quattro tipi di conoscenza: intelletto, scienza, opinione

e sensazione; due di essi, intelletto e sensazione, stanno all’inizio del ragionamento,

gli altri due, scienza e opinione, al termine del ragionamento; il simile 

conosce sempre il simile.

E’ chiaro dunque che il nostro intelletto è facoltà conoscitiva degli intelligibili,

la scienza lo è degli scibili, l’opinione degli opinabili, il senso dei sensibili.

E’ per questo, dunque, che la ragione deve passare dai sensibili agli opinabili,

dagli opinabili agli scibili, e da questi ultimi agli intelligibili: una volta che 

queste cose sono accordate fra loro, con esse è possibile contemplare la 

verità”. 

(Giamblico, Matematica comune)

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SAGGEZZA 2

Da http://giulianolazzari.myblog.it                                            

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      http://storiadiuneretico.myblog.it

Definisco la filosofia come il desiderio di elevarsi alla virtù pratica

 o di mantenersi in essa secondo l’aspirazione alla sapienza di per

 sé.

Di questa l’inizio è dato dalla natura, i termini medi dall’esercizio , il

termine dal sapere.

Fausto è avere una buona nascita, l’essere cresciuti ed educati

secondo la giusta legge e i costumi conformi alla natura; è necessario

esercitarsi e crescere sotto la guida dei genitori, dei tutori, e di precettori saggi.

E’ bello inoltre che ciascuno prescriva a se stesso le cose migliori, senza necessitare

di costrizione, e che segua di buon grado coloro che indicano le cose migliori per

l’agire e la conoscenza.

Spesso infatti le buone disposizioni naturali e i giusti modi di vita anticipano

l’istruzione dottrinale, conducendo alla rettitudine, e difettano solo della ragione

direttrice, che è infusa dalla scienza. 

Due sono dunque i generi di vita antagonisti che si contengono il primato,

quello pratico e quello filosofico.

Ma molto migliore sembra essere quello che risulta dal loro contemperamento e

può orientarsi verso ciascuna delle due vie a seconda di ciò che è conveniente 

nelle circostanze del momento.

Siamo nati, infatti, per una attività intellettuale, che chiamiamo prassi.

E dell’intelligenza, quella pratica porta alla politica, quella espistemica alla

contemplazione della totalità; l’intelligenza nella sua generalità comprende queste

due facoltà orientate verso la felicità, che chiamiamo attualità della virtù nella 

sorte favorevole, e non è né soltanto pratica, tale da non comprendere la scienza, 

né teoretica, priva di efficacia pratica. 

L’intelligenza perfetta inclina verso due principi dominanti, alla realizzazione

dei quali è disposto l’uomo, l’uno comunitario, l’altro conoscitivo.

E se anche i modi di vita che risultano da tali concezioni sembrano premere l’uno

contro l’altro (quelli politici distogliendo dalla scienza, quelli contemplativi dalla

vita pubblica e conducendo alla vita ritirata), tuttavia la natura, congiungendone

i termini estremi, mostra che costituiscono una unità, le virtù infatti, non 

sono tra loro in opposizione, ma in una consonanza superiore a qualsiasi 

armonia.

Se uno dunque, cominciando sin da giovane, già per suo conto si accorda con i

principi della virtù e con la divina legge dell’armonia del cosmo, condurrà una 

vita dal corso agevole.

E se qualcuno, che per suo conto esce dalla retta via, si trovi ad avere guide 

migliori, costui potrà raddrizzare la direzione del suo tragitto verso la beatitudine,

come coloro che in nave, trovandosi in sfavorevoli condizioni, attraversano il 

mare sforzandosi, tramite l’arte nautica, di raggiungere una navigazione tranquilla,

ciò che nella vita è la felicità.

Qualora invece non sappia da solo ciò che è vantaggioso , né si trovi ad avere 

persone assennate che lo guidino, a nulla varrà l’abbondanza di beni, la 

stoltezza, infatti, è sempre infelice.

Dal momento che in ogni cosa si deve prima di tutto avere di mira il fine (è infatti

quanto fanno i naviganti quando stabiliscono il porto al quale approderanno o

gli aurighi con il traguardo della corsa, gli arcieri ed i frombolieri con il bersaglio,

in vista di cui si coordinano in ogni parte), di necessità anche alla virtù, come 

ad un arte della vita, deve essere preposto uno scopo o un proposito; mi servo 

infatti di queste denominazioni per ciascuna di esse (per l’arte e per la virtù).

Questo (fine) affermo essere la suprema tra le attività pratiche, il bene perfetto

della vita che i sapienti delle cose umane chiamano felicità.

Quest’ultima nè possono giudicarla secondo verità coloro che sono in una cattiva 

disposizione, né hanno la forza di sceglierla coloro che non la scorgono in piena

chiarezza.

Pagano il fio della stoltezza coloro che assegnano al piacere il rango supremo,

sono (ugualmente) puniti quelli che onorano innanzi tutto l’insensibilità al dolore:

parlando in generale, vengono soffocati in tempestose calamità coloro che lasciano

al benessere corporeo o ad una condizione irrazionale dell’anima la vita felice.

Ne molto più fortunati di costoro sono coloro che pure esaltano il bene morale,

cosicché dicono anch’esso degno di onore, ma poi ritengono ugualmente onorabili

il piacere, l’insensibilità al dolore, le buone passioni primarie, gli impulsi naturali 

e irrazionali o del corpo o dell’anima.

In entrambi i casi commettono INGIUSTIZIA, da un lato riducendo l’eccellenza 

dell’anima e le sue opere ad equivalenza con la perfezione del corpo, dall’altro 

ponendo al vertice il benessere corporeo al posto del piacere dell’anima.

Sia la natura che la divinità disdegnano la mescolanza di queste cose; non

salvaguardando infatti (in questo modo) la maggior dignità del superiore rispetto

all’inferiore.

Ma noi, invece, diciamo che il corpo è strumento dell’anima, l’intelligenza è guida

del resto dell’anima e del di lei involucro, la buona sorte fisica in tutto il resto è

strumentale all’attività intellettuale, qualora voglia essere completa sia riguardo

alle capacità fisiche, sia riguardo al tempo, sia ai mezzi esterni.

( Dedicata ai ‘buoniuomini’)

(I trattati morali di Archita, Bibliopolis)

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SAGGEZZA

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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E pertanto ogni uomo deve essere almeno dotato di un eccezionale

autocontrollo: tale uno sarebbe, soprattutto, se fosse più forte del

denaro, di fronte al quale tutti si corrompono, e non risparmiasse

l’anima nell’impegnarsi a favore delle cose giuste e nel perseguire la

virtù, poiché appunto nei confronti di queste due cose che i più perdono

il controllo.

Ed ecco perché patiscono ciò: sono attaccati alla loro anima (se ne hanno una)

perché è appunto nell’anima che consiste la vita; questa tengono cara e

questa vogliono, per attaccamento alla vita e per le abitudini nelle quali sono

cresciuti; sono attaccati al denaro, invece, per tutte le cose che li spaventano.

E che cos’è che li spaventa?

Le malattie, la vecchiaia, le pene improvvise, e non intendo le pene inflitte dalle

leggi, da queste ci si può guardare e difendere, ma quelle come incendi, morti

di congiunti o di animali, o ancora altre sventure che incombono ora sui corpi,

ora sulle anime, ora sui beni.

E’ dunque a causa di tutte queste cose, per avere il denaro con cui affrontarle,

che ogni uomo aspira alla ricchezza.

E vi sono anche altre cose che, non meno di quelle nominate prima, spingono

gli uomini a far denaro: le rivalità degli uni verso gli altri, le ambizioni, il potere,

cose per le quali essi danno grande valore al denaro, perché contribuisce a siffatte

cose.

Chi è uomo veramente buono, invece, non va a caccia della fama con orpelli

estranei e sovrapposti dall’esterno, ma (solo) con la propria virtù.

( Anonimo di Giamblico, La pace e il benessere, Bur classici)

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