CIRCA IL MATRIMONIO E LA MENZOGNA

Gli Authié nel 1300 circa, così si esprimevano sulla continenza…:

“Dicevano che il matrimonio di cui è la parola nel Vangelo:

‘ella si sposi in Cristo’ e saranno due in una sola carne’ (Marco, 10,8), ecc, non

è che falsa apparenza e finzione. Infatti, dato che nel Vangelo si dice: ‘Dio ha

stabilito il matrimonio nel paradiso’ (Marco 10,6), quel matrimonio fu quello

dell’anima e dello spirito, cioè di cosa spirituale e non carnale, e che non ha 

a che fare con la corruzione della carne, così come avviene nella CHIESA

ROMANA. Difatti, in paradiso non v’è mai la corruzione della carne, né

altro che non fosse puramente e semplicemente spirituale. E questo

matrimonio è stato stabilito da Dio affinché le anime che sono cadute dal

cielo non volontariamente per orgoglio, e che si trovano in questo mondo,

ritornino alla Vita grazie al matrimonio dello Spirito Santo, vale a dire 

mediante le opere buone e l’astensione del peccato, e ‘fossero due in una

sola carne’, come si legge nel Vangelo. Ma quel che si effettua nella Chiesa

romana è la riunione di due carni distinte. Quindi non si tratta di ‘due in 

una sola carne’, ma del maschio e della femmina, ognuno in una carne

distinta”.

– Pietro Authié mi disse circa la MENZOGNA:

“Mi disse di essere un sant’uomo e di vivere una vita santa, a tal punto che

non avrebbe mai detto una bugia tantomeno una calunnia. Se gli fosse capitato

di mentire avrebbe dovuto digiunare per tre giorni, di modo che per tre giorni

non avrebbe mangiato o bevuto. Per questo sosteneva che le pancie dei falsi

cristiani erano sempre satolle di ogni ben del loro Dio… E se gli fosse capitato 

di toccare una donna, avrebbe dovuto digiunare per nove giorni di fila a pane

e acqua. Lui non si comportava come i Predicatori e i Minori, e gli altri di questa

Chiesa che prende e scortica…e per un poco di potere….”.

(……….)

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1446 DA FIRENZE A BRUGES: LA STRADA DELLA BANCA (5)

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Questa era l’immane                                              duca di borgogna.jpg

tragedia che riservava

il futuro. In quel

momento Gerozzo, che

da Ginevra aveva

viaggiato e fino a

Bruges continuerà

a viaggiare quasi

sempre per domini del

duca di Borgogna,

stava percorrendo una

terra ricchissima.

La ricchezza era

spremuta                                                    paternier1.jpg

dalle grasse

campagne, su cui

vegliavano dai

loro castellotti piccoli

e medi nobili, in

proprio o per conto

dei grandi, ma

soprattutto veniva

dai commerci e le

manifatture delle

città: Arras, Lilla,

Ypres, Grand,

Bruges,                                              paternier2.jpg

Bruxelles, Lovanio,

Anversa, Malines.

Traversando le

Ardenne e la foresta

immensa di grandi

querce e lande

selvagge, il fiorentino

stava arrivando al cuore

economico del dominio,

in un certo senso il

cuore economico d’

Europa. Ecco Brabante

e Fiandra in alcuni

tocchi dalle impressioni

di viaggio del De

Beatis:                                    gastro124.jpg

giardini a quasi tutte

le case con ‘herbecte,

rose, gariofali et quantità

di lavendola’, le facciate

delle case con intelaiatura

di travi e i riempimenti in

muri di mattone e le

parti in legno ‘così

ingegnosamente lavorate,

che non solo non offendono

la vista, ma dilectano’,

tetti coperti ‘de certe

tavolecte di pietre negre’.

Nel paese, tutto

piano da Bruxelles                                             loyset1bis.jpg

in poi, ‘campanili

alti et acutissimi’ e le

donne che tutte ‘vanno

con veli soctilissimi in

testa’.

E’ ben noto che è la

terra di una grande

pittura, e quello era il

momento. Nell’anno 

del viaggio del Pigli a

Bruxelles, in quello

splendido esempio di

architettura gotica che

è il palazzo comunale 

vi erano

pitture                                                                             

di Roger van der 

Weyden. 

Nel castello dei duchi di

Brabante, Lev z Rozmitalu

e i suoi compagni boemi

vedranno in tutto il suo                                                     paternier3.jpg

fulgore la corte

borgognona di Filippo

il Buono.

Li affascinano 

soprattutto le evoluzioni

dei pattinatori sul laghetto

ghiacciato del parco; sono

tanto veloci e abili che

nessun cavallo reggerebbe

il paragone.

Gand è città in situazione

militare fortissima. Si

vanta di non aver mai

chiuso le porte, né di

giorno né di notte, 

nemmeno in tempo 

d’assedio; invero con

l’acqua dei suoi 

quattro fiumi può,                                                                   loyset4.jpg

in sole tre ore,

allagare la terra

intorno per lo

spazio di una lega.

Almeno così affermerà

nel suo giornale di

viaggio un mercante

milanese. Intorno alla

città vi è un gran numero

di mulini a vento e

nella cattedrale di 

San Giovanni si andava

a vedere il polittico

dell’Agnello mistico

di Jan van Eyck,

‘dipinto stupendo e

pieno d’intelligenza’ come

annoterà il Durer.

(L. Camusso, Guida ai Viaggi nell’Europa del 1492)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan) (3)

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Ai primi dischi registrati                                           mulligan1.jpg 

col quartetto nell’estate

del 1952, ne seguirono

subito altri incisi per la

Fantasy e ancora per la

Pacific Jazz.

Molti dei pezzi erano

composti dallo stesso

Mulligan, come ‘Bernie’s

tune’, ‘Line for Lyons’,

‘Barksdale’, Nights at the

turntable’, ‘Walkin’ shoes’,

‘Soft shoe’; altri erano basati su standards, come ‘Carioca’, ‘Lullaby of the leaves’, ‘The lady

is a tramp’ e ‘My funny Valentine’ che fu il primo successo del quartetto. Tutti i brani

avevano comunque, nell’esecuzione, lo stesso ineffabile profumo.

Fin dalle prime incisioni col quartetto, Mulligan rivelò infatti la sua spiccata personalità,

esponendo il suo credo musicale. La musica del complessino è quieta e apparentemente

dimessa (‘ciò che voglio è un JAZZ DA PIPA E PANTOFOLE: PROPRIO PIGRO’, disse

in quei giorni…’), e tuttavia molto elegante e piena di scatto: le linee melodiche sono

cantabili e garbate. E’ una musica casta eppure frizzante, austera e al tempo stesso

carezzevole; talvolta marziale e più spesso beffarda, caricaturalmente dinoccolata.

E’ una musica, inoltre da cui è bandita ogni ridondanza: che si compiace di apparire

disadorna, rigorosamente essenziale. Apparentavano la musica del quartetto al cool

jazz nelle sue forme più tipiche per i toni sommessi e per l’illusione sottile, la 

grazia delle linee melodiche, la squisita musicalità degli assoli e del variato gioco 

dei fiati, che spesso improvvisavano in contrappunto. Ma il jazz di Mulligan era

più semplice e nitido del cool jazz, meno intellettualistico, ritmicamente più 

elastico, più rilassato e vigoroso, e, quel che più conta, orecchiabile. Per questo

piacque a quel più vasto pubblico che aveva fatto fatica a seguire la severa musica

di Tristano e quella, troppo ricca di sottigliezze, di Miles Davis.

Quanto allo stile strumentale di Mulligan, parve subito molto originale, e assai musicale

e raffinato di quello di Serge Chaloff, che fino allora aveva dettato legge fra i 

baritonsassofonisti moderni. Si trattava comunque della scarnificata espressione di un

mondo musicale che solo attraverso la polifonia si esprime compiutamente.

Il 1953 fu il primo anno trionfale del quartetto di Gerry Mulligan, che tornò molte

volte negli studi d’incisione californiana, in un’occasione avendo anche come 

solista aggiunto Lee Konitz. All’inizio di quell’anno risalgono pure due sedute

di registrazione con un tentette, un complessino di dieci elementi, in cui Mulligan

diede un nuovo convincente saggio delle sue capacità di compositore e di 

arrangiatore, sviluppando per mezzo di una più ricca strumentazione quanto

era già contenuto ‘in nuce’ nella musica del quartetto. Cominciato col vento in 

poppa, il 1953 si chiuse però molto male: in settembre il sassofonista fu 

arrestato, perché trovato in possesso di stupefacenti, e non fu rilasciato che a

Natale. Con discutibile tempismo, Baker gli chiese un cospicuo aumento di

retribuzione e si giocò così il posto nel quartetto. Fu rimpiazzato da Bob

Brookmeyer, uno specialista del trombone a pistoni, la cui pastosa voce 

strumentale si fondeva in modo ammirevole con quella di Mulligan.

Il nuovo quartetto fu presto inviato a Parigi per partecipare ai concerti organizzati,

alla Salle Pleyel, nel giugno 1954, in concomitanza col terzo Salon du Jazz, e

l’attenzione con la quale il pubblico francese, di solito turbolento e tutt’altro

che ben disposto nei confronti dei jazzmen bianchi, ne seguì le esecuzioni,

dimostrò quanto vasto fosse ormai l’uditorio della musica mulliganiana, al cui

successo si dovette in buona misura la ripresa della fortuna popolare del jazz

dopo un non breve periodo di crisi.

(A. Polillo, Jazz)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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IL SINDACATO (2)

Precedente capitolo

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A volte succede che i testimoni                                               robert kennedy2.jpg

si mettano nei guai con le loro

stesse mani; ricordo un

episodio del genere,

molto spassoso.

Fu durante le sedute del 1959

mentre interrogavamo

Hoffa a proposito della sua

ventilata alleanza con Harry

Bridges, il cui Sindacato

lavoratori portuali della

costa del Pacifico, la

West Coast Longshore-

men’s Union, era stato

espulso dalla confederazione perché seguiva una politica comunista.

Stavo leggendo ad alta voce passi di editoriali sulla rivista dei Teamsters, che attaccavano

l’infiltrazione comunista nel movimento sindacale. Hoffa volle sapere chi li aveva firmati

e io glielo dissi: Dave Beck. 

– Ora capisco, sogghignò.

Poi lessi un altro passo.                                                          hoffa1.jpg

– Se i sindacati comunisti

riusciranno a conquistare

una posizione tale da 

esercitare un’influenza

sulle rotte mondiali dei

trasporti, sarà un duro

colpo per il mondo

libero.

– Chi ha scritto questa frase,

secondo lei?

– Io non mi interesso di 

politica e di teorie,

rispose Hoffa.

– Io mi occupo dei lavoratori.

– Lavoro duramente 10-12 ore al giorno.

– Ma è d’accordo? chiesi.

– No, disse Hoffa, non sono d’accordo.

– E lei sa chi ha fatto questa affermazione? E quale editore l’ha pubblicata?

– Non lo so, rispose. Poi aggiunse in tono sprezzante:” Probabilmente Beck, David 

Beck giù al sud….Mi sembra farina del suo sacco”.

– E’ stato il signor James Riddle Hoffa, gli dissi.

Hoffa fece un balzo fin quasi al soffitto.

– Me lo faccia vedere, gridò.

– Non lo legga fuori dal suo contesto. Me lo lasci vedere. So benissimo quello che ho

scritto e quello che non ho scritto.

– Ma l’editore sembra che le abbia pagato anche delle percentuali, replicai io…,

sorridendo.

(Robert F. Kennedy, Il nemico in casa)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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500 post: DEDICATO AD UNA DONNA

C’è differenza fra una coppia

…che fa l’amore,

ed una donna che si masturba

con solo l’orgasmo

di un uomo che presta

il suo istinto…che mai muore.

C’è differenza fra un uomo che crea,

e una donna che canta

la sua lunga preghiera,

convinta della forma

cosa assai bella

di un’anima inquieta,

che sicura della propria

bellezza,

si dona piacere

..senza natura che vede…

la vera forma

di chi confonde

ogni goccia di neve,

di chi inganna perfino la bufera,

di chi ode la mia preghiera

per barattarla in nera tortura

che nulla più crea.

Mentre ruba la bellezza

di una diversa donna

che mai mente,

che è tutta la natura

che si spoglia e giammai si cura

della sua forma,

principio che sgorga

dalla sua crosta,

bellezza che avanza

a passo di danza,

verità che illumina

ogni mia stanza.

Cella segreta di una donna,

convinta

della sua …grande

ed immensa bellezza…

Bugia che avanza

per ogni svelata sostanza,

elemento che muore

per ogni suo dolore.

Vi è differenza

fra quelle due donne,

una ricca e piena di rancore,

l’altra povera

e colma dell’odio

che vuol essere solo amore….

E pian piano

vedo morire

nel lento orgasmo

di una donna che pensa

ma mai ha colto

né conosciuto l’amore.

(Pietro Autier)

Da giulianolazzari.myblog.it

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dahl pittura.jpg

 

 

NORD EUROPA

Nella Scandinavia di                                           larsson1.jpg

Munch la tradizione

pesaggistica del

romanticismo del Nord,

con le sue immagini

sublimi di abissi, di

cateratte torrenziali

e di tempeste, perdura

ben oltre la metà del

XIX secolo.

Già alla fine del

700, l’artista svedese

Elias Martin aveva

dipinto scene

raffiguranti

pini piegati dal vento

in vasti e nebbiosi passi                                             dahl3.jpeg

di montagna, scene in

grado di rivaleggiare

con le immagini più

sublimi della tradizione

britannica che

Martin aveva potuto

assorbire durante due

soggiorni in Inghilterra;

e all’inizio del XIX

secolo il norvegese

Johan Christian                                                               dahl4.jpg

Claussen Dahl aveva

stabilito stretti legami

con l’arte di Friedrich.

Da contemplare

un’opera di questo

artista dipinta nel

1849, una betulla

sferzata dal vento e

agonizzante, come

esempio tardivo e

particolarmente

convincente della

‘pathetic fallacy’.

In effetti, le tradizioni

del paesaggio romantico

si mantennero nell’arte

scandinava ben oltre                                                                 larsson2.jpg

il 1848, un anno

cruciale per la storia

della pittura francese.

Ne sono un esempio le

drammatiche tele dello

svedese Markus

Larsson, che

perpetuano fin

oltre la metà del

secolo scene di

foreste vergini e

selvagge e di

tempeste sul mare

sotto la luce della

luna.                                                                       larsson3.jpg

Senza dubbio,

questo romanticismo

ormai profondamente

radicato fu messo in

discussione negli anni

70 e 80 da artisti più

giovani e maggiormente

legati all’ambiente di

Parigi che tentarono

una rivoluzione realista;

ma le tradizioni native

del paesaggio

romantico erano

così salde che

possiamo ritenere che                                   munch1.jpg

un artista come

Munch, malgrado la

sua adesione giovanile

a un’estetica realista,

abbia semplicemente

prolungato più che

resuscitato lo spirito,

le ambizioni e le forme

dell’arte romantica.

Come Van Gogh,

Munch apporta

profonde modifiche

esteriori alle sue

opere, dopo

aver assimilato il

vocabolario artistico

più recente che

egli aveva potuto sudiare durante i suoi frequenti soggiorni in Francia a partire dal 1885.

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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18 novembre

Ho scritto un articolo per la ‘NRF’, ma sono insoddisfatto.

Troppo spesso considero le cose sotto il profilo storico.

Mi piacerebbe un’analisi più profonda. Oppure avrei dovuto essere uno storico puro.

Probabilmente era la mia vera vocazione. Ma allora quante notti in bianco! Che ne

sarebbe stato della mia amata pigrizia?

– L’altra sera ho cenato con delle mezze ebree.

– Gentaglia!

– Tornano sempre al punto di partenza.

– Dopo cena, mi costringono a incontrare ebrei. Di una specie detestabile, quelli che

fanno dello spirito, e pesantemente. Sul genere del Bloch di Proust. Come se non

bastasse, si trattava di imboscati, quantunque abbastanza giovani, inesauribili sul

tema della guerra. Lancio qualche modesta frecciata che accolgono con la consueta

aria scandalizzata. Se qualcuno li contraddice, credono o dicono che comincia la

persecuzione.

Ho ripensato al libro sugli ebrei che da anni progetto di scrivere, dove le considerazioni

generali, storiche e psicologiche dovrebbero alternarsi con gli aneddoti, i ricordi, le

notazioni. Si vedrebbe finalmente un antesemita intelligente, il migliore amico degli

ebrei.

– Prima di tutto, mi ripugnano fisicamente.

– Naturale.

– E poi, li trovo poco intelligenti, poco profondi. E niente affatto artisti.

– Privi di gusto, di tatto.

– Oh il tatto!

– Quel loro modo di non accorgersi mai delle reazioni altrui.

– E prima di tutto non si rendono conto che sono degli intrusi e che nessun popolo (a parte

gli zingari) si è mai permesso di andare a insediarsi in quel modo a casa di un altro.

Infatti hanno cominciato a emigrare senza necessità. Forse ci hanno provato gusto dopo 

le deportazioni assire. All’inizio della diaspora, nessuno li costringeva.

– Quell’insopportabile aria di sufficienza.

– Le loro idee non si discutono.

– Il regime a cui si appoggiano è quello giusto.

Qui il liberismo, là il socialismo. Allo stesso modo avrebbero voluto essere nazisti e

consegnare l’Europa alla Germania. 

E i loro viaggetti da finti artisti, da improvvisati nazisti, ma sempre da ebrei

Fra l’altro, l’incredibile ingenuità di Benda. Lui li consegna al boia. Ma in Francia non

c’è nessun boia se non per i più vecchi francesi. Ed è giusto perché sono rimbambiti.

– Ancora una volta, le democrazie aspettano le decisioni di Stalin, Hitler e Mussolini.

Formeranno un triumvirato? Siamo veramente alla fondazione dell’èra imperiale di

Roma. 

– Quando vedrò di nuovo dei quadri? La fotografia ora mi disgusta.

– Come mi mancheranno. Mi sarebbe piaciuto essere pittore. La più effimera, la più

vana delle arti. Dipingere sui muri, cosa ancora più fuggevole che parlare ai muri.

Come amare questa Francia che pensa tutto ciò che aborro?

(Pierre Drieu la Rochelle, Diario)

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IL SINDACATO

Scott Pickett di Indianapolis, un camionista basso di statura ma tutto nervi, con la faccia

piena di rughe, avanzò un reclamo alla TRANSAMERICAN chiedendo un rimborso per

ferie, soste e altri benefici marginali, di 1400 dollari. Dopo sei mesi finalmente ebbe

risposta dalla società. Essa gli offriva, con l’approvazione del funzionario dei

Teamsters Frank Fitzsimmons, il 40% della cifra richiesta.

Il camionista di Indianapolis riferì alla nostra COMMISSIONE:

“Chiamai Frank Fitzsimmons. Gli spedii tutte le prove, e non c’erano possibilità di dubbio

che quel denaro mi spettava effettivamente, tutto quanto, per cui avrei accettato altro

che la somma completa”.

“Lui mi piantò una discussione….Feci quattro viaggi a Detroit apposta per vederlo, senza

riuscirci. Era introvabile anche il signor Dennis. Gli telefonai, ma non potei parlargli. Si

rifiutò di parlare con me e mi rimandò alla filiale locale. Ma il direttore della filiale

non prese posizione”.

Così si rivolse a un avvocato,

Kirkwood Yockey.                                                     kennedy.jpg

Yockey chiamò il legale

della compagnia il quale

lo rimandò a Fitzsimmons.

Yockey ci disse di aver

informato Fitzsimmons

che il suo cliente non si

sarebbe accontentato del

40%. Avrebbe fatto causa.

Fitzsimmons gli disse

allora di aspettare prima

di rivolgersi a un tribunale.

Gli avrebbe fatto parlare da

Hoffa.                                                           jimmy-hoffa.jpg

E un giorno, secondo la

testimonianza di Yockey,

ricevete una chiamata da

Chicago.

“Qui Jimmy Hoffa”,

disse la voce all’altro

capo del filo. Hoffa gli

consigliò di convincere il

suo cliente ad accettare il

40%; se lo avesse fatto, la

mattina seguente gli avrebbe

fatto trovare il denaro in 

contanti a Chicago.

“Mi scusi, signor Hoffa”,

gli rispose Yockey, 

“ma io non riesco a capire

come lei che DOVREBBE                                                            hoffa.jpg

DIFENDERE GLI

ISCRITTI

alla Teamsters Union,

possa raccomandarmi

di convincere uno del

suo sindacato ad

accettare il 40% della

somma che gli spetta

per le ferie pagate di

due anni, il 40% del

conto dell’albergo,

e così via….

NON RIESCO

A CAPIRE

COME POSSA

RAPPRESENTARE I SUOI INTERESSI E IN COSCIENZA DI ACCETTARE QUESTO

TRATTAMENTO E IL 40% DI CIO’ CHE GLI SPETTA”.

Che cosa rispose Hoffa?

Yockey ce lo riferì: “Mi disse che quel tizio avrebbe fatto bene a starsene a casa con sua zia

invece di andare in giro a spendere tanto denaro….”.

Yockey gli chiese: “Potrebbe darmi una ragione valida per cui quest’uomo dovrebbe accettare

il 40%?”.

“Perché glielo dico io”, fece Hoffa.

L’avvocato replicò: “Signor Hoffa, per quanto mi riguarda non è una ragione abbastanza 

valida, per cui se non ne trova di migliori le dirò che andremo in tribunale”.

Yockey andò in tribunale, la società venne subito a un accomodamento e il camionista di

Indianapolis incassò 1200 dollari ….per i danni subiti…

Pickett se ne andò dalla Transamerican perchè perdette il suo autocarro per mancanza di

denaro, PER NON ENUMERARE (in questa sede) LE INNUMEREVOLI INTIMIDAZIONI

SUBITE……

(Robert Kennedy, Il nemico in casa)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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VIAGGI IN ALTRI MONDI: ALBERT BIERSTADT (6)

Questi dipinti di                                       albert_bierstadt.9.jpg

grandi dimensioni,

prescindendo da una

puntuale e realistica

descrizione topografica,

ricreavano

scenograficamente i

paesaggi rappresentati,

unendo all’indubbio

fascino esercitato

comunque dalla

visione di terre lontane,

elementi immaginari e

idealizzati, un virtuosismo

tecnico fuori dal comune

e particolari di vivida

resa veristica.

Per accrescere l’                                                    biestadt10.jpeg

effetto di meraviglia,

questi paesaggi venivano

esposti con particolari

accorgimenti luminosi

in ambienti quasi

completamente oscurati,

in modo da accentuare

il cromatismo degli

accesi tramonti,

della natura selvaggia,

dei cieli solcati da

nubi.

Nel 1863 Bierstadt

si recò per la seconda

volta nel West.

Solo otto anni prima                                                     Bierstadt_11.jpg

nel 1855, la

Yosemite Valley,

nella catena montuosa

della Sierra Nevada

californiana, era stata

esplorata per la prima

volta.

Quando l’artista si

accampò nella valle

per circa sei settimane,

lo spettacolo che si                                         

presentò ai suoi occhi                                   biestadt12.jpg

era quello di una

natura praticamente

incontaminata, una

sorta di paradiso

terrestre da

contrapporre ai

turbamenti della

Guerra Civile che

divampava nell’Est

americano. Inoltre,

il mito della California

come eden promesso,

dove chiunque avrebbe

potuto ricrearsi una

nuova, pacifica e agitata                                                          biestadt13.jpg

esistenza, veniva

accresciuto a dismisura

dal miraggio dell’oro

che portò dagli anni

40 in poi, una

moltitudine di cercatori

ad attraversare le grandi

pianure nella speranza

di un avvenire migliore.

Bierstadt inviò il

proprio diario di

viaggio al periodico ‘New York Evening Post’ che lo pubblicò con regolarità e, quando

ritornò a New York, le quotazioni delle sue opere avevano ormai raggiunto cifre vertiginose.

Tra il 1867 e il 1869 viaggiò nuovamente per l’Europa esponendo in diverse città i suoi

grandi paesaggi del West americano.

A Parigi fu insignito da Napoleone III della Legion d’Onore. Tra il 1871 e il 1873 visse 

in California e successivi viaggi, di cui è rimasta ampia testimonianza nei dipinti, lo

portarono a visitare le Bahamas e il Canada. Nel 1889 la sua grande tela intitolata 

quasi simbolicamente ‘L’ultimo dei bufali’, destinata all’Esposizione Universale di

Parigi, venne giudicata antiquata e fu respinta dalla commissione preposta alla 

scelta delle opere per la mostra.

Ma ormai, a partire dagli anni 80, con la costruzione della ferrovia che univa le

due coste americane, il mito della terra inesplorata e promessa si andava affievolendo

e la pittura di Bierstadt, fino ad allora avvolta nell’indubbio fascino dovuto alla

novità e al mistero che circonda i luoghi appena scoperti, perse via via l’attrattiva

che la caratterizzava trasformandosi in pittura di genere ormai passata di moda.

(The American West, l’arte della frontiera americana 1830-1920)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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VIAGGI IN ALTRI MONDI: IL JAZZ (Gerry Mulligan) (2)

Precedente capitolo

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La loro mèta era Los                                            mulligan1.jpg

Angeles, ma prima di

arrivarci i due

vagabondarono a lungo,

facendo l’autostop.

Sostarono a Reading,

a St. Louis e ad

Albuquerque; quando

arrivarono a destinazione

non avevano un soldo in

tasca. Manco male che

Gerry aveva già una

discreta reputazione fra

i jazzmen, tanto che gli

riuscì di trovare da

suonare in diversi locali,

e in particolare al

Lighthouse, a Hermosa                                                         mulligan2.jpg

Beach, dove nei weekend

si improvvisava in jam-

session a perdifiato.

Gli riuscì anche di scrivere

dieci arrangiamenti per

l’orchestra di Stan Kenton,

uno dei quali, Young

blood, suscitò la più

viva ammirazione degli

intenditori.

Poi trovò una nicchia

allo Haig, dove suonava tutti i lunedì sera.

Aveva cominciato con un trio, in cui il suo sassofono baritono era sostenuto soltanto da

una chitarra e una batteria, e poi, quasi inavvertitamente si era trovato a dirigere un

quartetto. Al suo fianco era stato messo Chet Baker, un trombettista di 23 anni, appena

congedato dall’esercito, scovato da Dick Bock, che organizzava le jam-session nel locale.

Nel quartetto, che era completatato dal bassista Bob Whitlock e dal batterista Chico

Hamilton, non c’era alcun pianista: Mulligan era dell’opinione che, in un gruppo come

il suo, un pianoforte fosse di disturbo. A sentire lui, l’idea di fare a meno del piano

gli era stata suggerita da Gale Madden, ed era stata già messa in pratica qualche

altra volta all’Est, quando il sassofonista aveva suonato in certi locali di Long Island

e del New Jersey.

“M trovai subito d’accordo con lei – spiegò poi Mulligan – sul fatto che il piano è

spesso usato male in una sezione ritmica. Avete a disposizione uno strumento dalle

illimitate possibilità come quello e ridurlo al ruolo di stampella di uno strumento

solista mi pareva assurdo”.

E ancora: “Il compito, ormai universalmente accettato, del pianoforte di suonare

costantemente gli accordi del giro armonico rende il solista di uno strumento a

fiato schiavo dei capricci del pianista”.

Mulligan si trovò invece benissimo con Baker, con cui tuttavia non andò daccordo

sul piano umano. Dick Bock apprezzò tanto il complessino che volle registrarlo per

realizzare i primi dischi di una Casa discografica, la Pacific Jazz, che, grazie a essi,

prese il via trionfalmente. Il quartetto di Mulligan ebbe infatti un immediato,

straordinario successo, tanto da rendere prigioniero per qualche tempo il suo

leader della formula da lui trovata.

“Il successo fu il risultato di una strumentazione e di una concezione musicale a

cui io non pensavo come a qualcosa di definitivo quando mi ci imbattei. – Ricordò

qualche anno dopo il sassofonista – In realtà le possibilità erano illimitate, ma

quando cominciai a portare il quartetto in giro per il Paese la gente mi chiedeva

invariabilmente ciò che aveva ascoltato sui dischi….e io pensavo che fosse mio

dovere suonare quello che il pubblico desiderava ascoltare.

Fu un compromesso….

Io non penso di essere sceso, così facendo, a compromessi con la mia integrità musicale,

ma questo mi impedì di suonare più cose nuove e di diversificare il mio approccio”.

(A. Polillo, Jazz)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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