1° DICEMBRE 1955 (3)

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La nostra intenzione non era quella di portare al fallimento la società

che gestiva il trasporto con gli autobus, ma di far entrare in società la

giustizia. Continuando a riflettere, compresi infine che in realtà la nostra

azione equivaleva a smettere di cooperare con un regime malvagio, piuttosto

che semplicemente sottrarre il nostro sostegno alla società degli autotrasporti.

Naturalmente quest’ultima ne avrebbe sofferto, perché era una espressione

di quel regime, ma il nostro fine fondamentale ERA IL RIFIUTO DI COOPERARE

CON IL MALE.

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A quel punto cominciai a riflettere su ‘La disobbedienza civile’ di Thoreau.

Mi convinsi che noi, a Montgomery, stavamo organizzando un’operazione

molto vicina a ciò di cui Thoreau aveva parlato in quel saggio. Ci limitavamo a

dire alla popolazione bianca:”Noi non possiamo più prestarci a collaborare

con un regime malvagio”.

Da quel momento concepii il nostro movimento come un’operazione di massa

di non collaborazione. E da allora in poi mi servii raramente del termine ‘boicottaggio’.

(…..) Verso mezzanotte uno dei membri del comitato telefonò per avvisarmi che

tutti i tassisti negri di Montgomery avevano accettato di sostenere la protesta

il lunedì mattina….

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Così senza né testo né appunti, raccontai l’episodio accaduto alla signora Parks.

Poi passai in rassegna la lunga storia di maltrattamenti e di insulti che i

cittadini negri avevano subito sugli autobus del servizio urbano, e nacque

il più importante e decisivo discorso della mia vita:

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“Questa sera siamo qui per una faccenda grave.

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In senso generale, siamo qui perché prima di tutto e innanzi tutto siamo cittadini 

americani, e siamo decisi ad esercitare la cittadinanza nel suo significato più pieno.

Siamo qui anche perché amiamo la democrazia, perché abbiamo la radicata convinzione 

che la democrazia, quando da un fragile foglio di carta si traduce nella concretezza

di un atto, è la migliore forma di governo che esista sulla terra…

Sapete, amici miei, viene sempre l’ora in cui un popolo si stanca di essere calpestato

dal ferreo piede dell’oppressione.

Viene l’ora, amici miei, in cui un popolo si stanca di essere sprofondato nell’abisso

dell’umiliazione, dove si vive nello squallore di un lamentoso scoramento.

Viene l’ora in cui il popolo si stanca di essere scacciato dal sole scintillante del luglio

della vita, e lasciato in piedi nel freddo pungente di un novembre alpino.

E noi non abbiamo torto.

Non siamo nel torto, facendo quel che facciamo.

Se siamo nel torto noi, allora è nel torto la Corte suprema di questo paese.

Se siamo nel torto noi, allora ha torto la Costituzione degli Stati Uniti.

Se siamo nel torto noi, è nel torto Iddio onnipotente.

Se siamo nel torto noi, allora Gesù di Nazaret non era altro che un sognatore utopista,

che non è mai sceso sulla terra. 

E noi, qui a Montgomery, siamo ben decisi a lavorare e a batterci finché la giustizia

non scorrerà come l’acqua, e la rettitudine come un fiume poderoso.

Voglio dirvi che in tutte le nostre azioni dobbiamo tenerci uniti.

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L’unità è la grande esigenza di quest’ora, e se saremo uniti potremo ottenere molte

delle cose che non solo desideriamo, ma meritiamo giustamente. 

E non vi lasciate spaventare.

Noi non abbiamo paura di quel che facciamo, perché lo facciamo nel rispetto della legge.

Nella nostra democrazia americana non c’è mai un momento in cui dobbiamo pensare

di essere nel torto se protestiamo. 

Noi ci riserviamo questo diritto.

Noi, i diseredati della terra, noi che siamo stati oppressi tanto a lungo, siamo stanchi

di attraversare la lunga notte della cattività.

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E adesso stiamo stendendo la mano verso l’aurora della libertà e della giustizia

dell’uguaglianza.

Lasciatemi dire, amici, per concludere….che noi dobbiamo tenere ….Dio in primo

piano. Cerchiamo di essere cristiani in tutte le nostre azioni. Ma stasera voglio dirvi

che per noi non è sufficiente parlare di amore. L’amore è uno dei punti cardine della

fede cristiana.

C’è un altro lato, che si chiama giustizia.

Schierarsi al fianco dell’amore è sempre giustizia, e noi ci stiamo servendo soltanto degli

strumenti della giustizia. Non solo usiamo gli strumenti della persuasione, ma abbiamo

capito che dovevamo ricorrere agli strumenti della coercizione. Questa faccenda non

è soltanto un processo educativo, è anche un processo legislativo.

Mentre ci troviamo qui questa sera, e mentre ci prepariamo per quel che verrà dopo,

cerchiamo di uscire di qui con una severa e audace determinazione a rimanere uniti.

Noi lavoreremo insieme. Quando nel futuro saranno scritti i libri di storia, proprio

qui, a Montgmory, qualcuno dovrà dire: ‘C’era un popolo, un popolo nero, – capelli

crespi e carnagione scura -, un popolo che ha avuto il coraggio morale di lottare 

per far valere i propri diritti. E così facendo hanno instillato un nuovo significato

nelle vene della storia della civiltà’ “.

(M.L. King, I have a dream)

Da http://giulianolazzari.com

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1° DICEMBRE 1955 (2)

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Nominò un comiatato, nel quale ero compreso anch’io, per stilare il comunicato.

Nella stesura definitiva, il testo era il seguente:

“Lunedì 5 dicembre non pendete l’autobus per andare a lavorare, per andare in

centro, a scuola, o in qualsiasi altro luogo.

Un’altra donna negra è stata arrestata e incarcerata per aver rifiutato di cedere il

posto in autobus.

Lunedì non usate l’autobus per andare a lavorare, a scuola, in città, o per qualsiasi

altra destinazione.

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Se lavorate, prendete un tassì, fatevi accompagnare in macchina

da qualcuno, o andate a piedi. Per sapere come comportarvi in seguito, lunedì

sera venite a un’assemblea che si terrà nella chiesa battista di Holt Street alle 19″.

Ero così emozionato che quella notte quasi non dormii, e la mattina dopo molto

presto andai alla chiesa per distribuire i volantini. Entro le 11 un esercito di donne

e di giovani aveva preso i settemila volantini per distribuirli a mano.

La questione degli autobus era uno dei punti dolenti di Montgomery.

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Chi fosse venuto a Montgomery prima del boicottaggio degli autobus, avrebbe

sentito i conducenti rivolgersi ai passeggeri negri con appellativi come ‘negracci’,

‘scimmioni neri’, ‘vacche nere’. Avrebbe osservato come in molti casi i passeggeri

di colore salissero dalla porta anteriore, pagassero il biglietto e poi fossero costretti

a discendere, e risalire dalla porta posteriore, avrebbe visto come spesso, prima

che il passeggero negro avesse raggiunto la porta posteriore, l’autobus ripartisse,

dopo aver incassato il prezzo del biglietto. Ma peggio ancora: il visitatore avrebbe

visto passeggeri negri in piedi, accanto ai sedili vuoti. Non importava che non 

salisse nessun passeggero bianco e che l’autobus fosse pieno di passeggeri di

colore: a questi ultimi era vietato occupare i primi quattro posti a sedere, che

erano riservati ai soli passeggeri bianchi.

Ma si arrivava ancora più in là.

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Se il settore riservato ai bianchi era tutto occupato, da bianchi, e salivano in vettura

altri bianchi, spesso il conducente diceva ai passeggeri negri, seduti nel settore 

non soggetto a restrizioni, di alzarsi e cedere il posto ai bianchi. Se si rifiutavano

venivano arrestati.

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Nel tardo pomeriggio della domenica, dopo una dura giornata di lavoro, tornai a

casa e mi sedetti per leggere il gionale del mattino. C’era un lungo articolo che 

parlava del progetto di boicottaggio. Mi accorsi che nel testo era implicita l’idea

che i negri si disponevano ad affrontare il loro problema nello stesso modo

adottato dai White Citizens Councils.

La lettura dell’articolo ebbe l’effetto di obbligarmi per la prima volta a riflettere 

davvero sulla natura del metodo del boicottaggio. Fino a quel momento lo avevo

accettato in modo acritico, ritenendolo il mezzo migliore di cui potessimo disporre.

Adesso cominciavo a nutrire qualche dubbio.

Il nostro modo di agire era consono all’etica?

Il metodo del boicottaggio è fondamentalmente contrario alla morale cristiana?

Non è forse un modo negativo di impostare la soluzione del del problema?

Era vero che avremmo imitato il comportamento seguito da alcuni dei Consigli

dei cittadini bianchi?

Se anche da un simile boicottaggio avessimo ottenuto risultati pratici di carattere 

durevole, poteva un mezzo immorale giustificare un fine morale?

Ognuna di queste domande esigeva una risposta onesta.

Dovetti riconoscere che il metodo del boicottaggio poteva essere usato per fini

contrari all’etica e contrari alla dottrina cristiana.

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Per di più dovetti ammettere che proprio questo metodo era stato adottato in molti

casi dai Consigli dei cittadini bianchi per privare numerosi negri, oltre che persone

bianche di buona volontà, dei mezzi essenziali al sostentamento.

Certo però, dissi a me stesso, l’azione che noi progettiamo non potrebbe essere

interpretata nella stessa luce; i nostri scopi erano del tutto diversi.

Noi ci saremmo serviti del boicottaggio PER DARE VITA ALLA GIUSTIZIA E 

ALLA LIBERTA’, E ANCHE PER PREMERE IN MODO DA OTTENERE I NOSTRI

DIRITTI. 

(M.L. King, I have a dream)

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1° DICEMBRE 1955

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Il 1° dicembre 1955 la signora Rosa Parks rifiutò di cambiare posto quando il

conducente dell’autobus le disse di alzarsi e spostarsi  in fondo alla vettura.

La signora Parks occupava il primo sedile del settore non sottoposto a

restrizione. Tutti i posti a sedere erano occupati; se la signora Parks avesse

obbedito al conducente sarebbe dovuta rimanere in piedi, lasciando il posto a

un passeggero bianco di sesso maschile, che era appena salito. Con un

atteggiamento calmo, sommesso e dignitoso, caratteristico della sua splendida

personalità, la signora Parks rifiutò di muoversi.

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La conseguenza fu l’arresto.

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Chi vuole capire il gesto della signora Parks deve rendersi conto che arriva il giorno

in cui il calice della sopportazione trabocca, e la persona umana esplode in un grido:

“Non posso più sopportarlo”.

Agli occhi del mondo, il rifiuto da parte della signora Parks di spostarsi i fondo all’

autobus ha rappresentato l’intrepida e coraggiosa dichiarazione di averne avuto

abbastanza.

La signora Parks era la vittima delle forze della storia e delle forze del destino:

per il ruolo che le assegnava la storia era il personaggio ideale, aveva reputazione

immacolata e una innata dedizione al dovere. Tutti elementi che facevano di lei

una delle persone più rispettate nella comunità dei cittadini negri di Montgomery.

Il processo a suo carico era fissato per il 5 dicembre, un lunedì.

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Soltanto E.D. Nixon – che aveva firmato la cauzione per lei – e un paio di altre

persone avevano saputo dell’arresto, che era avvenuto nelle prime ore serali

del giovedì. Nixon era sempre stato nemico giurato dell’ingiustizia.

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Bastava guardarlo in faccia, alto, scuro di pelle, i capelli un po’ grigi, per capire

che era un lottatore. Poiché lavorava come addetto alle carrozze pulmann dei 

treni, era a stretto contatto con le organizzazioni sindacali; era stato presidente

della NAACP dell’Alabama e anche presidente della Sezione di Montgomery:

in tutte queste situazioni si era sempre adoperato con impavida determinazione

per assicurare i diritti del suo popolo, e per scuotere i negri dall’apatia.

Il 2 dicembre, il venerdì mattina presto, Nixon mi chiamò.

Era così concentrato in quel che stava per dire da dimenticare di salutarmi con

il solito ‘pronto’: invece attaccò subito il racconto di quel che che la sera prima

era accaduto alla signora Parks. Ascoltai, profondamente scosso, la sua descrizione

dell’umiliante episodio. 

“Abbiamo già sopportato troppo a lungo questo genere di cose” concluse Nixon,

e la voce gli tremava. “Ho la sensazione che sia arrivato il momento di boicottare

gli autobus. Soltanto con il boicottaggio possiamo far capire ai bianchi che non 

accetteremo più di essere trattati in questo modo”.

Fui d’accordo con lui, una protesta era necessaria, e il metodo del boicotaggio

sarebbe stato efficace.

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Prima di chiamarmi, Nixon aveva parlato del progetto con il reverendo Ralph Abernathy,

il giovane ministro della Prima chiesa battista di Montgomery, destinato a diventare

uno dei personaggi centrali della protesta. Anche secondo Abernathy il boicottaggio 

degli autobus poteva essere il partito migliore. Perciò tutti e tre passammo trenta o

quaranta minuti a telefonarci per concordare il modo di procedere e la strategia. 

Nixon propose di convocare tutti i ministri e i cittadini in vista quella stessa sera, in

modo da sentire le loro opinioni sul progetto, e io misi a disposizione la chiesa per

l’assemblea. Mentre si avvicinava l’ora dell’incontro, mi avviai verso la chiesa con

una certa apprensione, chiedendomi quanti esponenti del movimento avrebbero

risposto alla nostra convocazione. Più di quaranta persone, rappresentanti di

tutte le professioni e i mestieri della popolazione negra di Montgomery, affollavano

l’ampia sala riunioni della chiesa. I più numerosi erano i ministri delle chiese

cristiane. Quando vidi che erano presenti in così gran numero provai una grande

gioia, perché capii che stava per succedere un evento fuori dell’ordinario.

Il reverendo L.Roy Bennett, presidente della Interdenominational Alliance di

Montgomery e ministro della chiesa americana metodista episcopaliana

del Monte Sion, avanzò la proposta che, in segno di protesta, il lunedì

successivo i cittadini negri di Montgomery boicottassero gli autobus.

“Questo è il momento di muoverci” concluse Bennett.

“Non è tempo di parlare; è tempo di agire”.

(M.L. King, I have a dream)

Da http://giulianolazzari.splinder.com

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