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La megattera nodosa, che può raggiungere un peso di 60 tonnellate
e una lunghezza di oltre 15 metri, è munita di due ampie pinne anteriori
assai flessibili, usate per mantenere l’assetto e per la propulsione, oltre che
come braccia con le quali le coppie in amore si abbracciano con entusiasmo
e si accarezzano.
Non si sposta con il solito impeto delle altre balenottere e procede normalmente
a una comoda velocità di 5 o 6 nodi, benché possa raggiungere anche i 10 o 12
nodi. La forma ondeggiante, la velocità ridotta, la socievolezza, l’affabilità e la
preferenza per le acque, nell’entroterra, oltre al fatto che, a differenza dei
consanguinei, galleggi talvolta da morta, fecero credere ai primi balenieri che
fosse una balena franca più che una balenottera.
Sembra che i balenieri della Nuova Inghilterra salpando da New Bedford siano
stati i primi ad arrivare alla conclusione che la megattera nodosa poteva essere
sfruttata commercialmente. Già intorno al 1740, questi uomini stavano navigando
a bordo di piccole golette nelle acque di Terranova dando la caccia alle balene
franche nere, a quelle grigie, boreali e ai capodogli, ma le balene franche nere e
grigie diventavano sempre più scarse, la balena boreale non frequentava per
niente quella zona in estate e il capodoglio si trovava in quantità redditizie al
largo. Quelli della Nuova Inghilterra dovevano sentirsi frustrati, o, meglio inviperiti
per il fatto di vedersi circondati da innumerevoli balenottere dalle quali non
potevano trarre alcun profitto. Probabilmente non sapremo mai chi fu il
comandante di baleniera tanto deciso a cavarne un profitto il quale giunse alla
conclusione che almeno un esemplare della ‘qualità inferiore’ poteva costituire
un’eccezione. Fatto sta, comunque, che verso il 1750 tutta la flotta di baleniere
dava la caccia alla megattera nodosa quando non c’era di meglio.
Davano la caccia a questo cetaceo nonostante il fatto che d’estate, una volta
ucciso, andasse a fondo.
I mezzi navali di quei tempi non erano muniti di dispositivi meccanici capaci di
riportare in superficie carcasse così massiccie, né di mezzi per tenerle a galla mentre
venivano rimorchiate a riva o trattenute sulle fiancate dalla baleniera per essere fatte
a pezzi. I balenieri di New Bedford si servivano della stessa balena uccisa per tenerla
a galla a un fenomeno che chiamarono ‘gonfiaggio’.
Quando una balena di grandi dimensioni muore, la sua temperatura corporea comincia
rapidamente a salire, non a scendere come uno si spetterebbe. Ciò accade perché il calore
prodotto dalla decomposizione rimane imprigionato nel corpo isolato dal grasso, che
diventa così una specie di pentola a pressione. Dopo due o tre giorni, i tessuti interni
cominciano effettivamente a bollire e la putrefazione finisce per generare ben presto una
quantità di gas sufficiente per far galleggiare persino una balena di cento tonnellate
andata a fondo e a farla risalire come un sommergibile in emersione. Le carcasse
puzzolenti non rimangono a galla indefinitivamente. Prima o poi i tessuti si squarciano
così esplosiva da lanciare tutt’intorno pezzi di carne putrefatta come tante palle di
molli shrapnel. Ciò che rimane va di nuovo a fondo, questa volta per sempre.
I balenieri della Nuova Inghilterra affrontavano raramente la megattera nodosa con
arpioni attaccati a funi, preferendo colpire con fiocine lunghe dai tre metri ai quattro.
Talvolta, i soli colpi di fiocina bastavano per
ferire mortalmente l’animale; se questo non
bastava, le infezioni pensavano al resto.
Dopo essere sfuggita ai propri tormentatori,
la balenottera cominciava a star male e
moriva, andando a fondo, cominciava ad
andare in putrefazione, ma poi, il
‘gonfiaggio’ la faceva risalire a galla
dove restava preda, alla deriva, del vento
e della marea.
I balenieri si aspettavano di individuare le balenottere ‘gonfie’, e non importava se fossero
stati loro a ucciderle o qualche compagno.
Bastava recuperarne un numero sufficiente per ripagare dal punto di vista economico
le loro fatiche. Una megattera recuperata su ogni tre colpite dalle fiocine era considerata,
a quanto pare, un rapporto soddisfacente. Era un lavoro condizionato da sprchi incredibili,
ma rendeva. Quando le autorità inglesi vollero stabilire il potenziale di resa delle acque
dove venivano cacciate le balene intorno alla foce dello stretto di Belle Isle pochi anni
dopo l’espulsione dei francesi, scoprirono che la caccia era fiorente.
Nel 1763, stando a una relazione redatta da un ufficiale della marina, l’industria della
pesca della balena lungo la costa del Labrador teneva impegnati 117 tra shooners e
corvette della Nuova Inghilterra, ognuno provvisto di un equipaggio di una dozzina
di uomini; nel 1767, la flotta della baleniera della Nuova Inghilterra, in navigazione
nel golfo del San Lorenzo e lungo le rive del Labrador meridionale, di Terranova e
della Nuova Scozia comprendevano 300 tra corvette e schooners con più di 4000
balenieri come equipaggio. Benché questi dessero la caccia principalmente alle
balene franche nere, ai capodogli e alle balene grigie quando potevano trovarli,
si vedevano tuttavia spesso costretti a ‘pagarsi le spese del viaggio’ con l’olio
estratto dalle balenottere. Fatta eccezione per una breve pausa durante e subito
dopo la Rivoluzione americana, il massacro perpetrato dagli yankees nel Mare
delle Balene assunse proporzioni sempre più vistose fin poco dopo l’inizio dell’
Ottocento. A quell’epoca, le balene grigie, quelle franche e quelle boreali del San
Lorenzo erano praticamente tutte estinte.
(F. Mowat, Mar dei massacri)
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