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Altri inferi in:
Da tempo cavalchiamo tra folate di vento artico, in un deserto di lava
frantumata e di rupi basaltiche.
La lava – talvolta disseminata in punte e spezzata in lastroni, talvolta
disposta in gironi quasi danteschi – assume un colore rugginoso,
affumicato: e fa pensare al gigantesco residuo di un enorme incendio
avvenuto e consumatosi nei millenni delle prime convulsioni geologiche.
Di tanto in tanto, come un crepaccio, un rivo si apre mostrando acque
gelide, saltellanti di scalino in scalino e scintillanti di pallide iridazioni.
Spesso il rivo dilaga anche in magre lagune, che bisogna guadare
mentre gli stivaloni tuffati nell’acqua, assumono funzione di altimetri.
Siamo al 65° parallelo, cioè in una zona cinque gradi più in là del
Labrador e press’a poco all’altezza della Terra di Baffin.
Là è l’Inferno spento, spiega il mio compagno islandese addidantomi
verso Nord un tormentato e pauroso orizzonte di nere montagne.
Il gioco della prospettiva in questo eccezionale spettacolo appare
variato e moltiplicato all’infinito.
Punte frastagli creste valli crateri strapiombi moltiplicano i piani dell’
atmosfera e quindi le sue colorazioni, dando al paesaggio una variegatura
e una screziatura cromatica forse uniche al mondo.
Si scorgono in questo panorama selenitico tutti i disegni e i volumi
geometrici. Sembra di avere l’occhio all’equatoriale di un osservatorio
astronomico e di contemplare le distese sforacchiate della luna.
Basalti e lave eruttati da millenni e millenni si sono congelati condensati
cristalizzati in pinnacoli in duomi in piramidi in coni in balconate e in
chiostri.
Altre sono turrite come tetri paesaggi di un Medioevo favoloso.
Altre si toccano in istrani barocchi o si lanciano verso il cielo con mezzi
archi di gotici irreali.
Tutte le architetture sembrano essersi date convegno qui, per esservi poi
rimescolate da una mano convulsa ma onnipotente. Talvolta queste forme,
come per lo scherzo di un gigantesco coagulo si sono frammiste fuse e
combinate insieme, dando luogo a forme nuove e audacissime, spesso
assurde, dalle quali gli architetti del futuro potranno trarre ispirazione.
– Questo Inferno spento – domando al compagno che cavalca quasi al mio
fianco – sarà naturalmente disabitato.
– E’ disabitato quello che vedete all’orizzonte ma qui in questa regione,
che corre lungo il 65° parallelo, l’uomo atticchisce ancora. E ve ne dà la
prova il baer verso il quale siamo incamminati. Ma si tratta ancora di una
zona diciamo così costiea dove esistono frequenti acque calde. Un po’ eremita
e un po’ pioniere, l’uomo di questa zona vive lavora edifica ed offre il modello
di una vita familiare ormai sconosciuta nei paesi così detti civili, una vita
di cui la solitudine artica rende anche più stretti i legami.
– Esistono villaggi?
– La parola villaggio è sconosciuta in queste terre. Qui non vi sono che embrioni
di villaggi: cioè i baers. Si tratta di piccole fattorie in cui vivono una, e di
rado due famiglie. Il padrone del baer è una specie di piccolo capo.
L’uomo, qui, vive e si foggia nella solitudine, tra l’imperversare dei piovaschi
glaciali, il fioccar delle nevi e l’ululo delle raffiche…..
(C. Mortari, Islanda inferno spento)