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16 aprile 1925
Carissima zia Edvige,
come ho altre volte detto: io confido e sono quasi sicuro che Luigina vi dia
mie notizie e vi faccia leggere le mie lettere dirette a lei, in cui io ti ricordo
e ti saluto sempre, come pure ricordo e saluto la zia Maddalena, i parenti
tutti e gli amici. Però siccome ora ho il tempo e il necessario, mi accingo a
scriverti ciò che da lungo tempo desidero e che avrei di già dovuto fare.
Gli ignari (beati loro) credono che un prigioniero non abbia accupazione
e lavoro.
Io invece sono sempre occupato.
In prigione lavoravo otto ore al giorno; andavo a scuola tre sere la settimana,
leggevo libri e giornali; ricevevo e tenevo una discreta corrispondenza.
Qui non si lavora – stiamo per circa tre ore al giorno – parte al mattino e
parte al pomeriggio – nel cortile; si gioca, si conversa e si passeggia.
Passo le altre ore del giorno leggendo, cantando, o scrivendo. La prigione
si trova in una bassa località, accanto a un deposito ferroviario, nel mezzo
di un centro industriale, ed è stata costruita da molto tempo; perciò lascia,
igenicamente parlando, molto a desiderare.
Questo sanatorio è invece situato in una aperta valle, circondato da foreste
e da boscosi colli. L’aria è pura e libera e il sole ha buon gioco qui, essendo
la costruzione molto ariosa. Oltre a ciò, la vista della campagna rallegra e
abbiamo della buonissima acqua sorgiva.
Dato che qui le visite – come regola – sono date quotidianamente dacché
sono qui ho riveduti molti amici che non vedevo da anni. Ho visto più
volte Francesco Caldera, sua moglie Paolina e i loro due figli, come ho
visto Felice Milone e la sua bambina e Luigi Milone e sua moglie.
Molti amici di Plymouth mi vennero a vedere: tutti mi portarono della
frutta, dei sigari e dei cibi. Quelli del Comitato di difesa vengono non
meno di tre volte al mese. Amici lontani mi scrivono sovente, alcuni
chiedendomi ciò che necessito, o mandandomi libri, giornali e riviste,
o soldi.
Da quanto ho detto arguirai facilmente che io sto meglio dacché sono
qui e che la mia prigionia è raddolcita dall’immenso conforto della
stima e dell’amore di tanta gente. Qui hanno molta paura di me e
sono ostili ai miei principi e ai miei compagni. Però non osano o non
vogliono abusare – sarebbe, del resto, molto arduo perché io mi
impongo e mi ribello. Alla prigione ero invece molto ben voluto.
Due settimane fa, ho visto l’avvocato che è un pezzo grosso.
Egli ride rumorosamente e si mostra ottimista – non garantisce né
specifica alcunché – ma parla di deportazione. Non ho mai confidato
nella giustizia costituita – e tanto meno confido ora, dopo la
tragica esperienza avuta con quella meretrice. Ma il fatto sta che:
l’avvocato è un uomo di grande influenza; lo Stato è stanco della
nostra causa; gli uomini che ci processano sono attualmente fuori
d’ufficio; la gente è sempre più in nostro favore; coloro che lo devono
sapere sanno che non impunemente possono detenerci, e che è ora di
farla finita.
Tutte queste cose assieme giustificano la confidenza nella finale
vittoria – in un non lontano futuro. E io sono sempre forte e….bazza a
chi tocca – non mi hanno vinto ancora, non mi vinceranno mai.
Coraggio quindi, cara zia Edvige, e cerca di stare di buon animo e
di conservarti in buona salute. E abbiti i miei più affettuosi baci e saluti.
Tuo nipote
Bartolomeo Vanzetti
P.S. C’è un demente esaltato, fazioso ed ipocrita della prestigiosa galera,
che ci vorrebbe adoperare tutti quanti per la sua grande mala-fede….