AL SAVOY (breakfast dance)

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al savoy


 

…Al Savoy, quasi tutti i clienti erano negri, ma i bianchi non mancavano.

Ne venivano parecchi soprattutto in occasione delle ‘battaglie di orchestre’

che vedevano la formazione di Webb a confronto con altre ugualmente

popolari, non esluse quelle bianche.

 

al savoy

‘Le battaglie al Savoy erano delle cose molto importanti – ha ricordato

Sandy Williams, uno dei trombettisti di Webb – Noi entravamo in allenamento

come per un incontro di boxe. Gli ottoni provavano al piano di sotto, i

sassofoni al piano di sopra e la sezione ritmica in qualche altro posto.

Noi avevamo la reputazione di spazzar via ogni orchestra che venisse

al Savoy; ma non quella di Duke.

 

al savoy

Il posto era gremito la sera che venne lui, e quando incominciammo a

suonare noi facemmo venire giù la sala.

Poi attaccò lui, e suonò un pezzo dopo l’altro.

Tutti dondolavano in ritmo assieme a lui. A un certo punto vidi Chick

che sgattaiolava via, diretto verso l’ufficio.

Non posso sopportarlo,

mi disse,

Questa è la prima volta che siamo stati veramente fatti fuori.

Lo stesso Williams dovette però riconoscere che ci furono altre serate in

cui l’orchestra del piccolo re del Savoy fu messa in difficoltà: la volta che

venne Goodman, con Krupa, Lionel Hampton, Teddy Wilson e Harry

James, per esempio, quando dovettero essere respinte ben 20.000 persone

 

al savoy

che avrebbero voluto entrare nel locale, o quell’altra in cui arrivò Count

Basie, o quella in cui gli uomini di Webb si scontrarono con quelli dell’

orchestra Casa Loma.

Una serata al Savoy – una qualsiasi, ma in special modo quelle del sabato,

che poi erano delle nottate perché finivano alle otto del mattino, con

‘breakfast dance’, il ‘ballo della prima colazione’ – costituiva un’eccitante

esperienza anche per il bianco, soprattutto se era di quelli che amavano

 

al savoy

il jazz. Come Otis Ferguson, uno dei primi appassionati cronisti della

musica afro-americana, che, su ‘The New Republic’, pubblicò una vivace

descrizione di una di quelle nottate.

‘Centinaia di persone (anche 1600) – si legge tra l’altro in quell’articolo,

scritto nel 1936 – sono sulla pista o sedute ai tavoli, o dinnazi al bar; lontano,

in un angolo, c’è una fila di taxi girls, due monetine per tre balli; dal soffitto

piombavano delle luci rosate e dovunque succede qualcosa. Ma il centro

 

al savoy

vitale della sala è qui sopra, sul podio, dove stanno, allineati su due file,

i ragazzi dell’orchestra, che battono i piedi ritmicamente e sudano sui loro

strumenti, facendo sussultare il pavimento; qui, dove la campana del

sousaphone sembra una luna piena che manda i suoi bagliori sui ballerini

e dove la pulsante sezione ritmica – chitarra, piano e contrabbasso –

imbriglia tutta questa straripante energia costringendola a seguire il tempo.

E quando gli uomini di Teddy Hill cominciano a suonare l’ultimo ritornello

di un loro cavallo di battaglia intitolato ‘Christopher Columbus’ con quelle

trascinanti figure disegnate dagli ottoni e coi sassofoni a dargli corpo, i

 

al savoy

ballerini si scordano di ballare e si affollano attorno al podio, e lì registrano

il ritmo soltanto nei muscoli e nelle ossa, restando fermi e lasciandoselo

rovesciare sulle facce rivolte all’insù, come se fosse acqua.

Il pavimento sussulta, e il locale sembra una dinamo, e l’aria fumosa si

innalza a onde….E’ una musica che anche i sordi riuscirebbero a sentire’.

(A. Polillo, Jazz)

 

 

al savoy


MALCOM E IL JAZZ

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Uomini in fuga in:

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malcom e il jazz


Da Small’s presi un taxi e andai al Teatro Apollo.

Ricordo benissimo che suonava l’orchestra di Jay McShann perché il

loro cantante, Walter Brown, quello che cantava sempre Hooty Hooty

Blues, diventò più tardi mio ottimo amico.

 

malcom e il jazz

Di lì, sul lato opposto della 125esima Strada, all’angolo con la Settima

Avenue, vidi il grande edificio grigio dell’Hotel Theresa, che allora era

il migliore albergo di New York City dove potevano stare i negri, parecchi

anni prima che gli alberghi giù in città li accettassero.

 

malcom e il jazz

Proprio nella 126esima Strada, vicino all’entrata del palcoscenico Apollo,

c’era l’Hotel Braddock. Sapevo che il suo bar era famoso come posto di

ritrovo delle celebrità negre e quando entrai vidi, allineati lungo l’

affollattissimo banco, personalità famose come Dizzy Gillespie, Billy

Eckstine, Billie Holiday, Ella Fitzgerald e Dinah Washington.

 

malcom e il jazz

Mentre Dinah Washington stava andandosene in compagnia di alcuni

amici, sentii che qualcuno diceva che la cantante era diretta al Savoy

Ballroom dove quella sera si sarebbe esibito Lionel Hampton.

 

malcom e il jazz

Lei era la cantante della sua orchestra.

Quella sala da ballo, paragonata con il Roseland di Boston, la faceva

apparire piccola e di modesta categoria.

Il modo di ballare era deguato all’eleganza e alla vastità del luogo.

L’orchestra di Hampton, così preparata e aggressiva, era all’altezza

di grandi come Arnett Cobb, Illinois Jacquet, Dexter Gordon, Alvin

Hayse, Joe Newman e George Jankins. Io feci un paio di balli con

ragazze che stavano fra il pubblico.

 

malcom e il jazz

Forse un terzo dei tavolini che erano disposti intorno alla pista erano

occupati da bianchi che erano lì soprattutto per assistere ai balli dei

negri: alcuni ballavano insieme e, come a Boston, un certo numero di

donne bianche stavano in compagnia di negri.

Tutti gridavano invitando Hamp a suonare Flyin’ Home e alla fine

egli la eseguì.  Non avevo mai visto in vita mia in modo di ballare così

frenetico. Dopo che un paio di numeri lenti ebbero in certo modo

raffredato l’atmosfera, apparve Dinah Washington.

 

malcom e il jazz

Quando cantò Salty Papa Blues, i presenti si abbandonarono a un tale

entusiasmo che sembrava dovesse venir giù il tetto del Savoy.

(Malcom X & Alex Haley, Autobiografia)

 

 

malcom e il jazz




CORRI UOMO CORRI (2)

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Altri fuggitivi….

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Walker sparò con un attimo di ritardo, e la pallottola trapassò

il secchio metallico che già volava a mezz’aria, per poi colpire

Jimmy al torace, appena sopra il cuore.

Il secchio ne aveva rallentato la corsa a tal punto da impedire di

uccidere, lasciondole però la capacità d’impatto di un violentissimo

cazzotto. Jimmy non aveva ancora recuperato l’equilibrio, dopo la

pedata al secchio, e se ne volò a gambe all’aria.

 

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Secchio che, tuttavia prese Walker in pieno petto e lo fece cadere a

sua volta.

Jimmy si mise in tutta fretta a quattro zampe, e non si era ancora

rimesso in piedi che già correva. Sentiva il sangue sgorgargli dal petto.

Ignorava la gravità della ferita, ma sapeva di doversi sbrigare. Si era

accorto che il secchio aveva buttato giù Walker, ma aveva capito che

era il caso di tagliare la corda prima che lo sbirro riuscisse a tirarsi su

e riprendere la mira. Con l’angolo dell’occhio scorse la pila di bidoni

(fece anche in tempo a buttarci una vecchia fattura…falsa della …

premiata Compagnia) della spazzatura, appena lavati. Ruotando su

se stesso, senza smettere di correre, ne fece saltar via due e se li

scagliò alle spalle in direzione di Walker, che stava annaspando per

tornare sulle gambe.

 

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I bidoni lo fecero volare di nuovo per aria e Jimmy, ruotando ancora

una volta su se stesso, gliene lanciò addosso altri due. Il frastuono dei

bidoni sul cemento fu tale da destare i morti, e Jimmy non riusciva a

capire se Walker avesse ripreso a sparare o no. La semioscurità di quella

stanza già era terrificante di suo, anche senza quel rumore che gli impediva

di udire gli spari.

Ma Walker non era ancora riuscito a sparare di nuovo. Stava cercando, a

forza di braccia e gomiti di respingere i bidoni, il volto livido di rabbia.

-Levatevi dalle palle, perdio!

gridava, blaterando imprecazioni incomprensibili, come se quei bidoni

godessero vita propria e la capacità di udire le sue parole.

(Chester Himes, Corri uomo corri)

 

 

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CORRI UOMO CORRI

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Fuori nel…bosco:

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…Si ficcò in bocca tre fette di prosciutto cotto e raggiunse l’estremità del

corridoio per imboccare le scale, passando davanti alle caldaie.

A metà strada c’era un pianerottolo, e la rampa di scale girava a destra.

Fu allora – stava guardando verso l’alto che vide il detective per la prima

volta.

Walker aveva appena chiuso la porta della cella frigorifero, dopo aver sparato

a Luke in mezzo agli occhi, e stava giusto scendendo nel seminterrato per

sistemare anche il terzo inserviente. Ma l’assassinio di Luke l’aveva sconvolto

a tal punto da costringerlo a fermarsi un istante per recuperare un po’ di fiato

e ricaricare la pistola. Se ne stava fermo in cima alle scale, il fianco sinistro rivolto

verso Jimmy e il revolver con silenziatore che gli ciondolava dalla mano destra.

– Come spegnere la luce, borbottava a se stesso.

Avvertì la presenza di Jimmy e fece un salto per vedere chi fosse.

Il primo pensiero che passò per la testa a Jimmy, alla vista del volto teso, scheletrico

e paonazzo di Walker, fu di trovarsi davanti al Fantasma dell’Opera.

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Walker sembrava dotato di poteri sovrumani, e alto tre metri. Il soprabito aperto

gli pendeva di dosso come un cencioso mantello ottocentesco, e gli occhi di rosso,

un vero sguardo da pazzo – erano semicoperti da un ciuffo di capelli biondi.

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Cazzo se è sbronzo questo figlio di puttana, pensò Jimmy. Fat Sam non doveva

averlo calmato neanche un po’.

Sentì una fitta al basso ventre, ma non si fermò.

Non voleva certo far credere a quel FIGLIO DI TROIA che aveva paura di lui. 

In fin dei conti, pensò, sua madre è SOLO UNA TROIA BIONDA. 

Walker scoprì i denti come un cane mordace e sollevò la pistola ad altezza di 

tiro, senza dire una parola. D’istinto Jimmy si abbassò un istante prima che 

partisse il colpo. Il proiettile gli passò di striscio sulla parte sinistra del torace.

Jimmy si sentì esplodere il cranio dalla rabbia, come se tutte le sue emozioni,

tutte le sue sensazioni avessero raggiunto la massima pressione per poi scoppiare.

Per un breve momento si sentì dotato di una sensibilità soprannaturale, quasi

come in punto di morte. Il viso di Walker gli parve cento volte più grande; ne

vide il sudore sgorgare da pori larghi come il fondo di un bicchiere di whisky;

scorse una barbetta biondiccia spuntare da una mascella bianca e squadrata,

peli simili a festuche in un campo ammantato di neve; vide il netto contorno

delle otturazioni nell’irregolare dentatura giallastra del detective. 

Un’istantanea che bruciò, nel suo ricordo, all’acida fiamma della collera.

Durò solo un’attimo, senza che il corpo di Jimmy interrompesse la sua secca

traiettoria istintiva.

Saltagli addosso, A QUEL FIGLIO DI PUTTANA! lo incalzava una parte del suo

cervello.

Strappagli la pistola e fanne polpette, DI QUELLA TESTA DI CAZZO!

Ma l’altra parte urlava una cosa sola.

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CORRI, UOMO, CORRI!

I muscoli frustati dal panico, gli si tendevano in un’incredibile frenesia, come uno

stallone selvaggio, in una morsa di terrore cieco. Prima che Walker potesse sparare

di nuovo, Jimmy si era già voltato e, in un grottesco passo di danza, aveva iniziato

a ridiscendere le scale.

Il secondo colpo gli scalfì la parte posteriore del collo e gli penetrò nella rabbia come

un ferro rovente, facendogli saltare – furibondo com’era – il relé che teneva sotto

controllo, la paura. Era in una posizione assai scomoda, la gamba sinistra accavallata

sulla destra, il braccio sinistro alzato a proteggersi, il destro che brancolava in avanti

e il tronco piegato in due verso il basso, come un’acrobata all’inizio di un salto 

mortale. Ma i suoi muscoli incordati furono capaci di muoversi con la velocità di

un serpente che attacca. Le gambe si tennerro con estrema volenza per spingerlo 

dalla parte opposta del pianerottolo. Sbatté nel muro col fianco destro, ammaccandoselo

tutto fin dalla spalla.

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– FIGLIO DI PUTTANA!

Imprecò annaspando a denti stretti.

Si staccò dal muro girando su se stesso e fece allo stesso tempo forza su gamba, braccio

e fianco destro, ruotando come un derviscio. Fu così rapido da riuscire a voltare l’angolo

e portarsi fuori tiro prima che il terzo colpo di Walker s’infilasse nell’intonaco della

parete nel punto esatto in cui, un’istante prima, si proiettava l’ombra della sua testa.

Con una capriola arrivò in fondo alle scale.

Ormai era lanciato, e non c’era più modo di fermarsi, come quando si inizia un esercizio

in palestra; quindi si rassegnò a sbattere sul terzo gradino con le palme delle mani e 

ruotare in aria, atterrando accovacciato sul cemento del corridoio senza aver ancora

esaurito la spinta.

Walker partì alla carica giù per le scale brancolando alla semicieca. Mancò l’ultimo

gradino prima del pianerottolo e andò a finire contro il muro, battendo dapprima 

col fianco per poi ritrovarsi a quattro zampe sul pavimento.

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– ASPETTA UN ATTIMO, NEGRO DI MERDA!

Urlò d’istinto.

Jimmy lo udì e si trasse con forza immane dalla sua posizione accucciata.

La mente di entrambi era ottenebrata dal loro massimo e momentaneo desiderio: per

l’uno, uccidere, e per l’altro sopravvivere.

Fu così che il lato grottesco della faccenda andò perduto, ovvero Walker che ordinava

a Jimmy di fermarsi e farsi ammazzare.

Voltato l’angolo, Jimmy s’infilò nella stanza dell’immondizia, con la vaga idea di filarsela

dal montacarichi. Con le suole di gomma scivolò sul cemento, su una macchia d’unto, 

e finì a sbattere in corsa contro lo stipite della porta, ammaccandosi la gamba sinistra

dalla caviglia al fianco. Riuscì a portarsi fuori tiro prima che Walker potesse prendere

di nuovo la mira, ma lo sentì precipitarsi giù per le scale in una scarica di passi.

Poi si rese conto che quando il montacarichi non era in funzione era impossibile sollevarne

le massicce ante. Nell’andarsene, prima, aveva spento tutte le luci, e adesso pensò

di prendere lo sbirro in trappola col favore delle tenebre. Ma dal corridoio, attraverso

la porta aperta, filtrava fin troppo chiarore, e per chiuderla sarebbe stato costretto a 

un salto all’indietro. Si fermò, sbandando, e ruotò su se stesso, ma era ormai andato

troppo oltre. 

Walker stava già varcando la soglia, di corsa ma attento, con il revolver proteso in

avanti e pronto ad aprire il fuoco.

L’ultima manovra aveva fatto perdere a Jimmy qualche secondo prezioso, lasciandolo

in brache di tela. 

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Non sapeva dove nascondersi, non aveva tempo per rimpiattarsi, né qualcosa da tirargli

addosso. Il secchio metallico da dieci litri che conteneva gli stracci la spugna e il detergente 

che Jimmy usava per lucidare l’acciaio era sul pavimento alla sua destra. Con riflesso 

puramente istintivo, il gesto cieco e irrazionale di chi cerca di salvare la pelle, gli mollò

un calcio neanche fosse un pallone da spedire in porta, lasciandolo dritto contro la

pistola spianata, come l’edicolante giù all’angolo della sesta, informatore del distretto,

dentro il suo scatolone di cartone.

(Chester Himes, Corri uomo corri)


      

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BLUES DA CUCINA: PIATTI POVERI, LA LENTICCHIA

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Eretici ed inquisitori in:

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Come le fave,                                            a111lastrega.jpg

così le lenticchie

hanno ispirato simboli,

usanze e proverbi diversi,

se non addirittura opposti.

Il simbolismo più popolare è

quello del ‘piatto di lenticchie’,

ispirato alla Genesi dove si narra

che una volta Giacobbe aveva

cotto una minestra di questi

legumi. Proprio in quel momento

arrivò il fratello Esaù esausto

dopo la lunga giornata di lavoro

in campagna. Vedendo quel

bendidio chiese a giacobbe:

‘Lasciami mangiare un po’

di questa minestra rossa

perché io sono sfinito’.

– Vendimi la tua                                                                Ceruti_TheLaundress.jpg

primogenitura,

propose Giacobbe.

– Che mi serve la

primogenitura se

sto morendo di fame?

Allora Giacobbe

disse:’Giuramelo

subito.

Esaù giurò cedendo

la primogenitura che

gli diede il piatto di

lenticchie.

– A tal punto Esaù

aveva disprezzato la

primogenitura,

commenta la Genesi.

Progenitura che non                                                1.jpg

era soltanto carnale,

poiché si trattava della discendenza

spirituale di Abramo: respingere

quel privilegio significava infatti

rinunciare ai doni soprannaturali che

vi erano uniti, era una specie di rinnegato.

Sicché ‘per un piatto di lenticchie’

è diventato un modo proverbiale per

indicare un corrispettivo inadeguato

rispetto al valore di ciò che si dà in

cambio, specie quando lo svantaggioso,

baratto consiste nella rinuncia a un bene

reale per ottenere un’effimera soddisfazione

materiale. Anticamente gli Ebrei le                                                   7867yu7.jpg

mangiavano quando erano in lutto, in

ricordo così dicevano – di Esaù’ che

aveva perso ciò che aveva di più

prezioso. Ma quel rapporto con la

morte si ispirava in realtà al fatto

che in tutto il Mediterraneo le

lenticchie, come le fave, erano

simbololicamente collegate al

ciclo di morte-vita della natura.

E addirittura, come spiega Artemidoro, in sogno preannunciavano lutti.

Molti secoli dopo nella Toscana rinascimentale ‘cogliere lenticchie’ era una metafora

della morte e della sepoltura, come spiega un canto popolare che allude alla sconfitta

di Piero Strozzi a Scannogallo,                                      po-monkeys-juke-joint.jpg

nel 1555:

O Piero Strozzi,

‘ndu sono i tuoi bravoni’

Al poggio delle Donne,

in quei burroni.

O Piero Strozzi,

‘ndu sono i tuoi soldati?

Al poggio delle Donne,

in que’ fossati.

O Piero Strozzi,

‘ndu sono le tue genti?

Al poggio delle Donne,

a cor le lenti.

(Miti, leggende e simboli di fiori e piante)

Da http://lazzari.myblog.it

http://giulianolazzari.myblog.it

http://storiadiuneretico.myblog.it

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