L’UFFICIO DI RECAPITO

Dopo 3 anni diventai fisso.

Questo voleva dire vacanze pagate (ai supplenti non toccavano) e

40 ore alla settimana con 2 giorni liberi.

A quel punto anche Stone fu costretto a impiegarmi come aiuto su 5

percorsi diversi.

Solo quello, dovevo fare…5 percorsi diversi.

Col tempo avrei imparato bene il casellario più le scorciatoie e le trappole

di ogni percorso. Sarebbe diventato sempre più facile.

Potevo cominciare a crogiolarmi nell’attesa di giorni migliori.

Ma in un certo senso non ero molto contento.

Non che volessi soffrire a tutti i costi, il lavoro era ancora abbastanza 

duro, ma mancava la suspanse di quand’ero supplente…quando non 

sapevo cosa cazzo sarebbe successo un minuto dopo.

Un po’ di postini fissi vennero a stringermi la mano.

– Congratulazioni, dissero.

– Si, dissi io.

Congratulazioni per che cosa? Non avevo fatto niente.

Adesso ero membro del club. Ero uno dei ragazzi. Avrei avuto un 

lavoro sicuro, per anni, e alla fine avrei potuto optare per un determinato

percorso. Ricevere regali di Natale dalla gente. E quando avrei telefonato

per darmi malato, avrebbero preso qualche povero bastardo di supplente

e gli avrebbero detto:- Dov’è il postino oggi? E’ in ritardo. Il postino fisso 

non è mai in ritardo.

E così eccomi postino. 

Poi misero in giro una circolare che diceva che non bisognava lasciare berretti

e altri oggetti sul casellario.

Quasi tutti i ragazzi ci mettevano il berretto. 

Non facevano male a nessuno e risparmiavano la strada fino allo 

spogliatoio.

E adesso dopo 3 anni che mettevo il berretto sul casellario mi ordinavano 

di non farlo più.

(C. Bukowski, Post Office, Guanda)

 

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UNA LETTERA

Da paginedistoria.myblog.it

 

Io, non meno per il mio senso morale, che per l’accordo pattuito, finché

questo si conservò, ho sempre mantenuto fede al mio proponimento in

una costante coerenza di pensieri, come è risultato chiarissimo da molti

fatti.

Fin da quando mi hai nominato Cesare e mi hai gettato nell’orrendo fragore

delle battaglie, soddisfatto del potere conferitomi, io, come un subalterno

fedele, ho profuso alle tue orecchie annunci frequenti di successi corrispondenti

alla mia morale, senza ascrivermi alcuna gloria nei pericoli, sebbene da numerose

prove risulti che, la tua corte è un crogiolo di corruzione, mentre i Germani alla

rinfusa si erano sparsi largamente nel territorio, io sono sempre stato primo nell’

affrontare le fatiche, ultimo a prendermi un poco di sollievo.

Ma, lascia che io lo dica con tua buona venia, se ora, come tu pensi, si sono fatte

delle novità, il motivo è che i soldati, logorando senza risultato la loro vita in

numerose ed aspre guerre, hanno attuato quello che avevano deliberato già

da un pezzo, irritati ed intolleranti di un capo di secondo grado (ed incapace),

prevedendo di non poter ottenere da un semplice Cesare alcuna ricompensa

in cambio delle continue fatiche e poi ‘comunque’ delle ripetute vittorie.

(Giuliano a Costanzo, L’epistolario di Giuliano Imperatore)

 

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LA MUMMIA

Da  http://pietroautier.myblog.it

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      lazzari.myblog.it

 

Il sangue mi dice, bisogna che io ascolti il mio sangue, usa dire questo

lottatore pur così lucido.

“E’ inutile, io sono come le bestie: sento il tempo che viene.

Se dò retta al mio istinto, non sbaglio mai”.

Più tardi, un maestro di altro calibro, Vilfredo Pareto, dalla cattedra

dell’Università di Losanna gli confermò il valore ” della somma degli

imponderabili” anche quando si tratta di discipline scientifiche, basate

sugli uomini, attingono la bestia e sfiorano Iddio.

Difatti, agli imponderabili egli fa la parte larga, nel prevedere gli

avvenimenti; e forse per questo sbaglia di rado, la sola logica non basta

a tanto, la fantasia devia e travia, occorre la immaginazione creatrice,

propria degli artisti.

L’uomo che prepara e prevede l’azione per via di ragionamenti

serrati, e al momento di oltrepassarne la soglia chiude gli occhi e si

abbandona dai fondi oscuri, non è solo un tattico ma uno stratega,

è un uomo di Stato singolarmente vigile, singolarmente intuitivo.

Una notte, nella quiete della sua alta casa dove i rumori di Roma

giungono come confusa marea, il Presidente si divorava le sue

consuete dozzine di giornali di ogni paese.

Il Times, e le altre gazzette di giornali di ogni paese.

Il Times e le altre gazzette d’Inghilterra e d’America riboccavano

allora di fotografie e notizie su re Tutankhamen e la vana lotta di

Lord Carnarvon contro le esoteriche maledizioni egiziane.

A un tratto, il condottiero balzò al telefono chiamò, tempestò una fila

d’ordini secchi e concitati.

La mummia, fresca, scavata dalla tomba mille e donatagli poche

settimane prima, gli grandeggiava innanzi, nelle sottili bende e nelle

dipinte casse che la ospitavano, laggiù in un angolo del salone della

Vittoria, fra gli arazzi di Palazzo Chigi, accanto al suo monumentale

tavolo di lavoro.

Telefonò al tocco, ritelefonò alle due, di dieci in dieci minuti, per

assicurarsi che venissero subito eseguiti gli ordini.

Gran trambusto, nel placido mondo burocratico degli uscieri e

custodi dei ministri di Roma impassibile, dove il tempo ha un valore

orientale e storico: chi se ne incarica? Ma l’ombra di Benito era terrorizzante,

specie in quei primi mesi del 923, per molte leggende e una parte di storia.

Non era stato lui a inaugurar l’uso del registro, che alle 8,30 viene

ritirato con le firme dei presenti all’ufficio, per cominciar a distinguere

gli “IMBECILLI” che si sacrificano a mandar avanti la macchina burocratica,

dai furbi che la sfruttano?

E un mattino alle 10, si narrava, dopo una firma di presenza, il commendatore

X, scendendo le scale del suo ministero, lucido di pancetta e di soddisfazione,

aveva incontrato un giovane che saliva.

– Lei che fa, ad andarsene dall’ufficio appena venuto?

– E lei che centra? Pensi agli affari suoi.

– Centro proprio, e son Mussolini (in bianco camice) non si vede? Fili al mio 

gabinetto a spiegarsi; e si vergogni!

Perciò ai ministeri si rassegnarono a ubbidire.

E alle 3 di quella notte, sacra ai faraonici mani, il furgonr, requisito in

fretta ai depositi del ministero della Guerra, si fermava alla porta di

uno dei musei etnografici di Roma. 

Come in un cattivo romanzo d’appandice, tinnivano campanelli,

accorrevano guardiani, si svegliavano custodi e ispettori.

– Ordine di ricoverare questa mummia, di urgenza, al sicuro e subito.

Gli egizii tenevano il teschio al banchetto, come mònito all’alacre gioia,

contro la vana tristezza, e contro l’orgia bestiale, simili entrambe

alla morte.

Ma chi, non gaudente né asceta, non scettico né trappista, opera nello

spazio pel tempo, non può venir turbato da sottili, maligne influenze

dall’al di là; né dal macabro simbolo della breve vita e della fatica inutile.

E dall’inutil strombazzar di un imbecille…e la sua mummia!

(Margherita Sarfatti)

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UN REO DE MUERTE 2

Da http://giulianolazzari.myblog.it

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    paginedistoria.myblog.it

 

Un re sulla scena, quando va a letto, depone lo scettro e la

corona, mentre nel mondo chi la possiede ci dorme, e un’infinità

di quelli che non la posseggono la sognano.

Sulle tavole del palcoscenico si può fischiare il tiranno; nel mondo 

bisogna sopportarlo.

Lì lo si va a vedere come una cosa insolita, come una belva che 

viene mostrata per denaro; nella società ogni preoccupazione è

un re, ogni uomo un tiranno, e della sua catena non ci si può 

liberare. 

Ogni individuo si tramuta in un suo anello; ciascuno degli uomini

è una catena per l’altro.

Da questi due teatri, l’uno peggiore dell’altro, tuttavia, venne a 

sloggiarmi una farsa che invase tutto: la politica.

Chi avrebbe ancora letto un lieve schizzo dei nostri costumi,

tracciato forse in maniera tenue e maldestra, quando si stavano 

delineando sulla grande tela della politica scene, se non migliori,

di interesse certamente più immediato e concreto?

Risuonò il primo archibugio della fazione, e tutti volgemmo la testa

da dove veniva. 

In questa nuova rappresentazione, simile fantasmagoria di Mantilla,

dove si comincia col vedere una strega, dalla quale ne nasce un’altra

e un’altra ancora, ‘fino a moltiplicarsi all’infinito’, vedemmo prima un 

fazioso, e poi ‘un altro fazioso’, e poi dietro di lui l’affollarsi di faziosi

sul palcoscenico.

Lanciatomi sul mio nuovo terreno, impugnai la penna contro le pallottole

e, rivolgendomi all’una e all’altra parte fronteggiai due nemici: il fazioso

esterno e il ‘giusto mezzo’, l’intera meschinità.

Sforzi ben deboli!

Il mostro della politica era gravido e partorì ciò che aveva mal concepito;

ma di seguito dovevano venire i suoi fratelli minori, e uno di quelli,

novello Giove, era destinato a soppiantare suo padre.

( Mariano José De Larra, Un condannato a morte, Colonnese ed.)    

    

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UN REO DE MUERTE

Quando un incomprensibile impulso a scrivere mi mise per la

prima volta la penna in mano per imbastire in forma di discorso

le mie idee, il teatro mi si presentò come primo bersaglio per quella

che molti hanno qualificato come la mia mordace maldicenza.

Non so se a un’attenta considerazione l’umanità abbia diritto a

lamentarsi di ogni tipo di critiche, né se di essa si possa dire tutto

il male che merita, ma poiché ci sono migliaia di pseudo-filantropi

che difendendo l’umanità pare che vogliano indennizzarla del fatto

di esserne componenti, non insisterò in questa riflessione.

Dal cosiddetto teatro per antonomasia mi lasciai scivolare dolcemente

verso il vero teatro: quella moltitudine in costante movimento, quella

società dove senza prove né previo avviso di cartelloni, e a volte in

modo gratuito quanto vano, si rappresentano tanti ruoli fra loro così

diversi.

Vi feci la mia discesa, e posso assicurare che comparando questo teatro

 al primo non poté che venirmi l’idea che quello era più consolante di

questo.

Perché, a essere sinceri, è triste contemplare sulla scena la civettuola,

l’avaro, l’ambizioso, la gelosa, la virtù decaduta e vilipendiata, gli 

incessanti intrighi, il crimine regnante e talvolta trionfante; ma uscendo

da una tragedia per rientrare nella società si può almeno esclamare

‘tutto ciò è falso, è pura invenzione, è un evento forgiato per divertirci’.

Nel mondo è tutto il contrario : l’immaginazione più accesa non riuscirà

mai ad abbracciare tutta l’orribile realtà.

(Mariano José De Larra, Un condannato a morte, Colonnese ed.)

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CONTRO IL DIALOGO 2

(Circa 13 secoli dopo, uno dei tanti dialoghi)

Da  http://pietroautier.myblog.it  &

       paginedistoria.myblog.it

 

Diciamo, pronuntiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto,

per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra,

ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d’heresia,

cioè d’haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre

e divine Scritture, ch’il sole sia centro della terra e che non si muova

da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del 

mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un’opinione 

dopo esser stata dichiarata diffinita per contraria alla Sacra Scrittura;

e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri 

canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili

delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siano contenti sii

assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti

di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et

qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed

Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data.

Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione

non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell’avvenire et assempio

all’altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico

editto sia prohibito il libro de’ Dialoghi….

Ti condanniamo al carcere formale in questo S.o Off.o ad arbitrio nostro;

e per penitenze t’imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la

settimana li sette Salmi penitentiali : riservando a noi facoltà di moderare,

mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze.

Ad nostro piacimento come meglio si aggrata alla nostra Sant.ma

inquisitione.

Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiaramo, ordiniamo e

reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione

potemo e dovemo, in codesto Italico paese.

(Documenti del processo)

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GIUGNO 362 una mattina

Da  http://giulianolazzari.myblog.it

      http://pietroautier.myblog.it

      paginedistoria.myblog.it

 

Un vescovo anziano si alzò in piedi.

Indossava l’umile tunica di un sant’uomo, e non le ricche

vesti di un principe.

– Esiste un solo Dio. Uno solo, dall’inizio dei tempi.

– Sono daccordo. E può assumere tutte le forme che vuole,

perché è onnipotente.

– L’unico Dio ha una sola forma. La voce del vecchio, per quanto

esile era ferma.

– E quest’unico Dio non si è forse rivelato nel libro sacro degli ebrei?

– Sì, Augusto. Ed è sempre Dio.

– E Mosè non ha forse detto, nel libro che si chiama Deuteronomio:

– Nulla aggiungerai alla mia parola, e nulla toglierai?

E non ha maledetto chi trasgredisce la legge che Dio gli ha dato?

Ci fu una pausa. I vescovi erano scaltri e capivano bene che gli

stavo tendendo una trappola: ma erano costretti a seguire il

libro sacro, perchè non c’è nulla di ambiguo, in quel passo.

– Tutto ciò che ha detto Mosè, come tu stesso affermi, non solo

è vero, ma eterno.

– Allora, dissi facendo scattare la trappola, perché modificate

la legge a vostro piacimento?

– Avete tradito in mille modi non solo Mosè, ma anche il Nazzareno,

dal giorno in cui l’eretico Paolo di Tarso ha detto:- Cristo è la fine

della legge!

Voi non siete né ebrei, né galilei, ma semplici opportunisti.

A quel punto scoppiò l’uragano.

I vescovi balzarono in piedi gridando frasi dei testi sacri, insulti,

minacce. Per un momento pensai che avessero intenzione di

aggredirmi lì sul trono, ma per quanto furibondi, si mantennero

nei limiti.

Mi alzai e mi diressi verso la porta in fondo alla sala, ignorato dai

vescovi, che adesso si insultavano a vicenda, oltre a insultare me.

Stavo per uscire dalla sala, quando l’anziano vescovo che mi aveva

sfidato d’improvviso mi sbarrò il passo.

Era Maris di Calcedonia. Non ho mai visto tanto rancore sul viso di

un uomo.

– Sei maledetto!

Per poco non mi sputò in faccia. Il tribuno delle guardie scolari sguainò

la spada, ma io feci cenno di tenersi lontano.

– Forse da te, ma non da Dio. Risposi in tono mansueto, quasi come un

galileo.

– APOSTATA !, mi gridò in faccia.

Sorrisi.

– Non io. Tu. Io adoro gli stessi dèi che gli uomini hanno adorato fin

dall’inizio del mondo.

Sei tu che hai abbandonato non solo la filosofia, ma Dio stesso.

– Brucerai all’inferno!

– Attento, vecchio, sei tu quello in pericolo. E tutti voi.

Non pensare che tutte le generazioni che si sono succedute dalla

morte del Nazareno contino più di un istante, nell’eternità.

Il passato non cessa di esistere solo perché voi vi ostinate a

ignorarlo.

Quello che tu adori è il male. Hai scelto la divisione, la crudeltà, 

la superstizione.

Ebbene, o intenzione di fermare questa malattia, di recidere

il tumore, di rafforzare lo Stato….

Ora fatti da parte, amico, e lasciami passare.

(G. Vidal, Giuliano, Fazi)

                                          

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I NUMERI

 

Ignoriamo il numero degli armeni deportati.

Secondo la misione militare in Armenia, guidata dal Generale

di divisione James Harbord, i rapporti ufficiali turchi indicano

i deportati in 1.100.000, ma il documento, redatto nel 920, non

chiarisce che cosa effettivamente fossero questi rapporti ufficiali,

peraltro mai ritrovati.

Una nota britannica relativa alla necessità assistenziale , datata 30

ottobre 918, parla di oltre 1.000.000 di armeni deportati.

Lo storico turco Salahi Sonyel fornisce il dato di 800.000 deportati;

Raymond Kevorkian ragiona a partire da un dato di 870.000

deportati in Siria, Borghos Nubar, capo della delegazione armena

alla Conferenza di pace di Parigi, affermò, nel 918, che il numero dei

deportati oscillava tra i 600.000 e i 700.000.

Nessuno di costoro basa i propri dati su fonti autorevoli.

In una pubblicazione recente, lo storico turco Yusuf Halacoglu si 

richiama a documenti ottomani a sostegno del dato di 438.758..

trasferiti, ma ci sono buone ragioni per interrogarsi sull’attendibilità

di questo dato.

(G. Lewy, Il massacro degli armeni, Einaudi)

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LA FUGA 3

Dovevamo essere nell’ultima settimana di gennaio del

941, dopo circa 40 giorni di marcia, allorché giunse impetuosa

e furibonda dal nord la terza tormenta, che fece finalmente

bloccare nella neve gli automezzi.

Il convoglio aveva ormai percorso oltre 1000 chilometri da     

quando aveva lasciato Irkutsk; e avevamo attraversato due

grandi fiumi: il Vitim e, pochi giorni avanti, la possente Lena,

entrambi coperti di lastroni di ghiaccio, simili a larghe , lisce

strade che si snodassero per il loro lungo corso attraverso

l’immensità della Siberia.

Ci pareva dunque incredibile che gli automezzi potessero mai

cessare di procedere lentamente verso nord.

Con i volti frustati dall’asciutta neve farinosa che il vento faceva

mulinare, soldati e prigionieri lavorarono all’unisono per

disincagliare il primo autocarro; giunse tuttavia il giorno in cui

nessuno sforzo umano servì : la lunga fila di veicoli e di esseri

umani si arrestò disordinatamente.

Durante tutto il viaggio era stato seguito il sistema di affidare

a turno a ogni automezzo il duro compito di guidare la

colonna.

(Slavomir Rawicz, La lunga marcia, Rizzoli)

             

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