IL SOLDATO MORTO COME SPOSO (fra delirio e farsa)

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L’unione POST MORTEM riconosce di fatto, in un numero di casi sempre maggiore,

la reale natura della ‘distanza’ che separa gli sposi.

Quando la fidanzata pronuncia, solitaria, il suo consenso davanti all’elmetto d’acciaio,

agli occhi dell’amministrazione non importa granché che la donna sappia se il suo

promesso sposo faccia ancora parte dei vivi.

L’unica cosa che importa è che la dichiarazione d’intenti dello sposo sia stata compilata

entro i tempi regolamentari, cioè entro i 9 mesi che precedono la data del matrimonio.

Agli occhi dei contemporanei, l’innovazione introdotta dal decreto del FUHRER, che

consiste nel rendere superflua la dichiarazione del fidanzato, appare minima, mentre

invece essa è di portata notevolissima, dal momento che il defunto, prima di raggiungere

gli EROI che lo hanno preceduto, non ha consegnato la sua volontà rispettando la forma

dovuta.

Ormai tocca alla donna, e solo a lei, convincere l’amministrazione della volontà del fidanzato

disperso o morto di prenderla in moglie.

Temendo gli abusi cui potrebbe dar luogo una situazione siffatta, il segretario di stato alla

Giustizia Schegelberger esprime alcune riserve sulle ‘NOZZE DEL CADAVERE’.

Uomo di legge fino al midollo, e offeso per non essere stato consultato, Schegelberger

disapprova la SURRETTIZIA ‘MODIFICA MATERIALE E FORMALE DEL DIRITTO

MATRIMONIALE’.

Come premunirsi contro una ‘captazione’ della procedura a fini illeciti o inammissibili?

Che cosa succede se un soldato compassionevole manda a una qualsiasi SGUALDRINA,

prima di ripartire per il fronte, una lettera in cui si trova espressa la sua pretesa volontà

di matrimonio?

E cosa fare nel caso in cui la fidanzata, mentre il promesso sposo si trova al fronte, ha

rapporti sessuali con altri uomini e il bambino concepito per opera di uno di questi e

nato dopo la morte del suo promesso diventa, come lo autorizzerebbe la situazione

giuridica, ora istituita, figlio del soldato caduto?

Anche altri funzionari manifestano apertamente il loro sconcerto.

Al ministero degli Interni del WURTTENBERG ci si chiede se sia possibile sposare, oltre

che i morti della guerra in corso, uomini caduti nel conflitto del 1914-18.

Il dubbio persiste, dal momento che la risposta di Berlino non ha nulla di redibitorio:

si ‘TENDEREBBE A CREDERE’ che il decreto del FUHRER si riferisca soltanto ai soldati

morti nel corso del presente conflitto.

NON E’ RETROATTIVO!!

(Conte/Essner, Culti di sangue antropologia del nazismo)

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SONO MORTO! MAMMA MIA! (3)

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Faccio, quindi, aprire di nuovo il fuoco con le mitragliatrici.

Il terreno davanti a noi viene battuto metro per metro.

Il sudore stilla da tutti i miei pori, i denti battano come se avessi una febbre

da cavallo.

Ci vuole del tempo prima che riesca a trovare la forza di risalire nell’osservatorio.

La nebbia si dirada a poco a poco.

Sul pendio davanti al forte si aggira un cappellano militare.

Egli va da un caduto all’altro.

Dalla foresta escono soldati della Sanità con le barelle.

Anche i nostri vanno a raccogliere i feriti e dopo lunghe ricerche trovano l’uomo

la cui voce io udrò fino all’ultimo giorno della vita.

Egli giace in una buca, mezzo sepolto sotto un mucchio di terra, di fili di ferro e

di paletti.

La pallottola di shrapnel gli è entrata nel cranio, la sua mano destra è ridotta a 

brandelli.

Sull’orrenda ferita al capo il sangue coagulato forma una enorme macchia nera.

I suoi occhi sono semispenti e dalle labbra esce un rantolo fioco.

Quattro uomini riescono a stento a trasportare l’italiano nel fortino.

Il primo assalto è stato respinto.

Esso fu sferrato quasi esclusivamente dagli alpini del battaglione Bassano ed era

diretto contro il settore compreso tra il forte di Cima Vezzena e Verle.

Lungo il pendio, gl’italiani riuscirono a penetrare in uno dei punti di appoggio non

occupati da noi.

Ne vennero però ricacciati poco dopo.

Più tardi, vi trovammo abbandonati numerosi strumenti musicali: gli alpini erano

venuti all’attacco al suono di una delle loro canzoni……

Santo Dio sono musicisti…..!

(Fritz Weber, Tappe della disfatta in 1915/18 La guerra sugli Alti-piani)

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SONO MORTO! MAMMA MIA! (2)

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Un attendente mi porta del caffè, che bevo con voluttà.

Il liquido ci scuote e ci scalda, poiché anche se i nostri corpi sono 

madidi di sudore, abbiamo freddo.

L’entusiasmo è svanito e rimane solo un senso di raccapriccio.

Rimarrà sempre.

Albeggia e, di nuovo, squilla l’allarme. Sleghiamo le membra dal sonno e saliamo

di corsa su per le scalette di ferro, avvicinandoci alle feritoie. 

Una fitta cortina di nebbia nasconde quasi tutta la linea degli sbarramenti, ma gli

spari si susseguono senza interruzione.

Gl’italiani sono di nuovo sotto i reticolati.

Una mitragliatrice entra in azione, seguita subito da una seconda.

Delle urla fanno loro eco, ma non è possibile vedere nulla.

Il nemico si trova nella zona esterna e lavora con le tenaglie a tagliare i fili dei reticolati.

Alcuni ‘Kaiserschutzen’ sopraggiungono dal fortino, dopo avere attraversato l’antifosso.

Trasportano mazzi di bombe a mano.

Ognuno ne prende un paio e incominciamo il lancio.

Adesso, i primi italiani emergono dalla nebbia.

Sono alpini.

Si fermano incerti nella zona battuta, quando li coglie una nuova valanga di piombo

e ferro. 

Qualcuno grida non so che cosa, fa dei gesti, cade a terra colpito. 

Un’altro si piega in due e cade sui reticolati, tenendo sempre in mano il fucile.

Un’intera fila è falciata dalle mitragliatrici.

Stramazzano, tenendo ancora strette in pugno le lunghe tenaglie.

– SONO MORTO….SONO MOORTO, MAMMA MIA.

Non c’è dubbio: è la stessa voce di questa notte.

Anche il secondo uragano di fuoco non è riusciuto a soffocarla.

Con una energia sovrumana essa urla il suo strazio, come se esprimesse quello di

milioni di anime.

Questo sorpassa, però, quello che un principiante può sopportare.

(Fritz Weber, Tappe della disfatta, in 1915/18 La guerra sugli Alti-piani)

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SONO MORTO! MAMMA MIA!

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Il fuoco cessa a poco a poco.

Ed ecco una voce, due voci, tre, cento, lacerare l’oscurità.

Voci di dolore, voci terrorizzate, voci strazianti.

Alcuni shrapnels spengono rapidamente l’agonia dei moribondi.

Una voce sola non si spegne. Essa proviene dai nostri reticolati.

Le mine devono aver fatto compiere allo sciagurato un volo di una ventina di metri.

– Sono morto, grida un ferito.

– Mamma mia!

Uno sharapnel copre per un attimo, col suo scoppio, le parole dolorose.

La voce tace, l’infelice è stato certo colpito e quel po’ di vita che gli rimaneva

se n’è andato.

Una liberazione.

Ormai attaccato ai reticolati, c’è soltanto un cadavere.

Il cielo sia ringraziato!

Ma la voce si leva di nuovo, più forte, più straziante di prima:

– SONO MORTO! MAMMA MIA!

– Scovatelo, scovatelo, per Dio! Non si può resistere.

– Cercatelo tra i paletti di ferro o in quella buca, laggiù.

Due uomini avanzano nell’antifosso. Ci domandano dove possa essere l’italiano.

Sono tirolesi

– Deve trovarsi a sinistra, più a sinistra! rispondiamo.

Sotto la luce dei razzi, i due soldati si gettano a terra e cercano di giungere, carponi,

sotto i reticolati. Ma dopo pochi minuti, ci gridano qualcosa che non riusciamo a

comprendere e tornano indietro.

Adesso il poveretto tace.

Questa volta non vi è più dubbio che sia morto.

Rimango, tuttavia, ancora in ascolto per un certo tempo, mentre il fuoco si smorza

quasi del tutto. Quindi rientro nel forte.

(M.R. Stern, 1915-18 La guerra sugli Alti-piani)

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LA PACE E IL BENESSERE

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Le fortune cattive e buone servono a scopi                         giamblico.jpg

opposti: la buona fortuna, infatti, non è al

sicuro nell’anomia, ma è insidiata, e la

cattiva fortuna non è eliminata, anzi si rafforza

grazie alla sfiducia e all’assenza di rapporti.

La guerra dall’esterno e la discordia civile incalzano per la stessa

causa, e se non sono nate in precedenza, è allora che si producono;

nelle faccende pubbliche questa condizione viene sempre a crearsi

per le insidie degli uni contro gli altri, a causa delle quali si sta

costantemente in guardia e si tendono a propria volta insidie.

E non si hanno graditi pensieri da svegli, né un dolce riparo quando ci si

abbandona al sonno, che è anzi pieno di paure, mentre il risveglio, pieno

di spavento e di angoscia, suscita nell’uomo l’improvviso ricordo di mali:

questi mali, e tutti gli altri ricordati prima, derivano da una condizione di

illegalità.

Anche la tirranide, quel male così grande, non nasce da null’altro che dall’

anomia.

Alcuni uomini – quanti non danno una interpretazione corretta- credono che

un tiranno sia conseguenza di qualche altra cosa, e che gli uomini vengono

privati della libertà senza propria colpa, ma perché costretti dal tiranno che

ha preso il potere: questo ragionamento non è corretto.

Chi ritiene, infatti, che un re o un tiranno nasca da qualcosa di diverso dall’

anomia e dalla prevaricazione, E’ UN PAZZO.

Ciò infatti accade proprio quando tutti si volgono al vizio, giacché non è

possibile che gli uomini vivano senza leggi e senza giustizia.

Quando dunque scompaiono dalla gente due cose, la legge e la giustizia,

allora subito la loro tutela e cura passano a uno solo: in quale altro modo,

infatti, potrebbe il potere monarchico passare nelle mani di un solo uomo,

se non dopo che è stata esautorata la legge, che è vantaggiosa per la gran

massa?

Quest’uomo che abbatterà la giustizia e spazzerà via la legge comune e

vantaggiosa per tutti, infatti, dovrà essere d’acciaio, se intende, solo contro

molti, spogliare di queste cose la gran massa;

essendo fatto di carne come tutti gli altri non può farlo, mentre ricreando la

condizione opposta, che era venuta meno, può prendere il potere assoluto:

perciò questo avviene all’insaputa di alcuni tra gli uomini.

(Anonimo di Giamblico, La Pace e il Benessere, 9/16)

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11 LUGLIO 2010 GIORNO DELLA MEMORIA

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L’11 Luglio 1995, il generale serbo Ratko Mladic  svuotò la cittadina della Bosnia

orientale dai suoi  40.000 abitanti, mussulmani bosniaci; 30.000 tra donne e bambini

furono deportati e in pochi giorni 8000 (cifra ufficiale, 12.000 secondo i parenti delle

vittime) uomini e ragazzi vennero uccisi.

In quel momento Srebrenica, sotto assedio dei Serbo-bosniaci comandati dal generale

Ratko Mladic dalla primavera del 1992 fino a luglio 1995, era zona protetta dall’ONU.

Molti Bosniaci erano arrivati a cercare rifugio in questo straccio di territorio ancora

libero nella Bosnia orientale, portando                                             Bosnia_02_672-458_resize.jpg

a 40.000 gli abitanti della città che prima

della guerra era abitata da 12.000 persone.

L’ex presidente dei Serbo-bosniaci, Radovan

Karadzic all’epoca firmò l’ordine ai suoi militari:

“creare a Srebrenica una situazione di totale

insicurezza  e disperazione”.

Il suo ordine venne eseguito.

I Serbo-bosniaci di Ratko Mladic e Radovan Karadzic, passarono sotto le armi

uomini e ragazzi ( Corriere della sera 11 luglio 2010).

Radovan Karadzic, psichiatra bosniaco il 13 maggio 1992 divenne presidente

della Repubblica Serba.

Dal 1996 Karadzic era ricercato per crimini di guerra dal Tribunale Penale Internazionale

per i Crimini nella ex-Jugoslavia.

CAPI DI ACCUSA:

2 capi di accusa per genocidio.

5 capi di accusa per crimini contro l’umanità.

3 capi di accusa per violazione delle norme e delle convenzioni di guerra.

1 capo di accusa per violazione delle Convenzioni di Ginevra.

RECENTEMENTE, IN UNA INTERVISTA AL CORRIERE DELLA SERA, IL NIPOTE

DRAGAN RIVELO’ CHE, DURANTE LA LATITANZA, SUO ZIO RADOVAN VENNE

SPESSO IN ITALIA A VISITARE VENEZIA (COME UNA PRIMA MOGLIE PER LUI).

NONCHE’ L’AUSTRIA PER I SUOI CONVEGNI.

IL ‘PAZZO’ PSICHIATRA HA GODUTO TACITA PROTEZIONE DAL GOVERNO DEGLI

STATI UNITI D’AMERICA PER TUTTA LA LATITANZA.

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WOUNDED KNEE

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Non vi è nessuna speranza sulla terra, e Dio sembra averci dimenticato.

Alcuni dissero di aver visto il Figlio di Dio; altri di non averLo visto.

Se Egli fosse venuto, Egli avrebbe fatto alcune grandi cose come aveva fatto prima.

Noi dubitavamo perché non avevamo visto né Lui ne le Sue opere.

Gli altri indiani non sapevano, non si preoccupavano.

Si aggrappavano alla speranza.

Come pazzi gridavano implorando pietà da Lui.

Cercavano di ottenere la promessa che essi avevano sentito che Egli aveva fatto.

Gli uomini bianchi erano spaventati e chiamarono i soldati.

Noi avevamo chiesto la vita e gli uomini bianchi pensavano che volessimo la loro.

Venimmo a sapere che i soldati stavano arrivando.

Non avevamo paura.

Speravamo di poter spiegare loro i nostri guai e di ricevere aiuto.

Un uomo bianco disse che i soldati intendevano ucciderci.

Noi non gli credemmo, ma alcuni erano spaventati e fuggirono via nelle Badlands.

Nuvola Rossa

(Dee Brown, Seppelite il mio cuore a Wounded Knee)

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1915 CRONACA DI UN GENOCIDIO 2

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Sono essi che padroneggiano nella vita intellettuale, essi che a Costantinopoli

e nelle città maggiori del’Impero godono la maggiore considerazione come

finanzieri, medici, avvocati, professori, architetti.

E nelle campagne eccellono nei sistemi di coltivazione suscitando le più vive

gelosie dei feroci Kurdi.

Della gelosia di costoro scaltramente si servono i Turchi per mantenerli in lotta

e incitarli a saccheggi e massacri in danno degli armeni. In tal modo mentre i

Turchi impediscono che i Kurdi e armeni si stringano in una pericolosa alleanza

sfruttano le gelosie dei primi per evitare il pericolo dei secondi, e propiziarsi di

questi l’appoggio nelle lezioni o nelle guerre.

Gli armeni hanno molti punti di rassomiglianza con gli ebrei: come questi ultimi

durante il medio evo e fino a ieri in qualche nazione, essi sono la razza disprezzata

ed oppressa; come gli ebrei sono pazienti, ma al tempo stesso tenaci nel miraggio

del loro costante progresso.

Tuttavia la loro visione non è audace; e il pensiero di autonomia non esiste che assai

tepidamente nel loro spirito: più che altro preoccupati di mantenere le loro caratteristiche

di razza, i loro usi, la loro lingua.

Però essendo al tempo stesso proclivi alle ideologie, le teorie socialistiche ed anarchiche

trovano fra loro numerosi seguaci, e dei disordini che l’applicazione di tali idee non 

mancano di provocare, approfittano destramente turchi e Kurdi per compiere i massacri

coi quali essi sperano di potere riuscire ad estirpare dal territorio il seme di questa razza.

Ma la sua miracolosa prolificità e costanza la salva.

Nel caso speciale della guerra nella quale la Turchia si trova impegnata, va notato che 

essa si combatte nel Caucaso, cioè proprio nella terra confinante con l’Armenia.

Allo scoppio di essa, un vivo malcontento regnava fra i Kurdi contro i giovani turchi

governanti l’Impero.

E il malcontento era così vivo che, avendo il Governo deciso la formazione di bande

Kurde da lanciare contro i russi, le bande non si formarono o si ribellarono contro i

turchi stessi.

Nel frattempo gli armeni, seguendo la loro inclinazione pei russi, cercavano di favorire

la loro avanzata in territorio turco, ed è stata questa circostanza che è servita al Governo

ottomano per risvegliare l’odio sopito dei Kurdi dentro gli armeni e incitarli a nuovi

massacri.

Tutti i mezzi sono stati adoperati o favoriti dai turchi a tale fine, e sovente sotto il velo

di un apparente legalità.

Infatti non solo si sono eccitati i massacri col pretesto di una difesa interna contro le 

insidie russofile degli armeni, ma si sono sottoposte le popolazioni civili di Armenia

alle più dure corvees per ucciderle in stenti, di fame e di fatiche; si sono accusate molte

persone di tradimento e di appartenere a società segrete soltanto perché trovate in 

possesso di un’arma.

(27 Dicembre L’Ora, E. Aliprandi, 1915 Cronaca di un genocidio)

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7-8-9 luglio

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Giornate che si assomigliano.

Tentiamo di sfondare ma non ci riusciamo.

Sono troppo fortificati in posizioni dominanti.

L’artiglieria ci dà poco aiuto.

Loro con pochi uomini e molte mitragliatrici ci tengono fermi e se ci

scopriamo dal folto del bosco, ci fulminano.

Il valore e il sacrificio non servono a nulla.

Questa notte anche un reparto del terzo bersaglieri ha tentato l’assalto alla

valletta tra il Col di Lana e il Settsass, ma non è riusciuto.

E’ rientrato con parecchi morti!

Di notte dormiamo sotto gli alberi: neanche la tenda si può piantare, tanto il

bosco è fitto e accidentato.

Sopportiamo allo scoperto l’acqua che ci manda il buon Dio e gli strapnel che

ci invia l’Austria.

(Enrico Costantini, Dalle Dolomiti a Bligny, diario di guerra di un fante 1915/19)

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4 AGOSTO 1915

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Al battaglione c’è un capitano così rotondo che potrebbe risparmiarsi la

fatica di camminare: basterebbe che rotolasse.

Il capitano il grosso strato di adipe ha l’anima di Tartarin.

Oggi, in piazza d’armi, egli ha sguainata la sciabola, che nessuno porta più,

perché è diventato un arnese inutile e decorativo per le retrovie.

Tartarin ha dato un formidabile ‘attenti’, poi ci ha annunciato le sue teorie

tattiche con VENETA dolcezza:

– Adesso vi darò alcuni schiarimenti sula manovra di ogi, in ordine sparso….

– Dunque noi siamo il partito bianco e dobiamo puntare su quela colineta

dove si sa che deve arivare il partito nero…

– Fare atensione!

– Quando io suonerò il fischieto voi vi meterete in ordine sparso, avanzando

per uno di fronte…..

– Camminate curvi per evitare di scoprirsi….

– Dunque, atenti al fischio e caminare adagio, perché io devo sempre precedere

la trupa….

– Quando sentirete due fischi fermarsi e butarsi per tera e aprire il fuoco!

– Siamo pronti?

– Alora, avanti!

– Caminare curvi, o detto, se no il nemico ci fulminatuti!

– Frrrrrit!  Frrrrrrit! Alt!

– Piombare a tera!

– Also, seicento metri!

– Puntare bene!

– Nel combattimento non si devono sprecare cartucce!

– Ogni colpo deve essere un uomo morto!

 Adeso, fare atensione: faremo un piccolo asalto alla baionetta!

– Andare adagio perché io devo sempre precedere la trupa!

– Piombare sul nemico colla baionetta, che è l’arma italiana, senza dargli

quartiere!

– Baionet-cann! Fate atensione! dico a quei mamalucchi là in fondo!

– Baionet-cann! vuol dire inestare la baionete….

– Pronti per l’assalto….

Al mio grido di: ala baioneta! rispondere con un forte urlo:

SAVOIA!

– Pronti?

– Mi raccomando di procedere adagio, perché io devo essere sempre in testa a tuti!

– A LA BAIONETA!

– A LA BAIONETA!

(M.R. Stern, 1915-1918 La guerra sugli Alti-piani)

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