LETTERE P H COME PAUL HARTECK

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lettere p h come paul harteck

 

 

 

Il 24 aprile 1939, il fisico-chimico di Amburgo Paul Herteck,

uno dei futuri detenuti di Farm Hall, e il suo assistente Wilh-

elm Groth scrissero una lettera a Eric Schumann, direttore del

l’ufficio berlinese per la ricerca sulle armi dell’Agezia per gli

Armamenti e forniture dell’esercito facente capo al ministero

della Guerra.

La lettera illustrava possibili applicazioni belliche della fissio-

ne nucleare, scoperta pochi mesi prima.

Harteck e Groth scivevano:

 

Ci prendiamo la libertà di portare alla Sua attenzione i più

recenti sviluppi della fisica nucleare, che riteniamo rende-

ranno possibile con ogni probabilità la produzione di un

esplosivo di gran lunga più potente di quelli convenzionali.

Il Paese che per primo ne farà uso avrà un insuperabile van-

taggio sugli altri.

 

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Harteck era nato a Vienna nel 1902, ma si era laureato all’

Università di Berlino e in seguito aveva trascorso un anno,

il 1932, a Cambridge, lavorando con Rutherford.

Aveva così partecipato, insieme a Oliphant, a quello che a

tutti gli effetti fu il primo esperimento di fusione nucleare.

La fusione è il processo per cui i nuclei leggeri vengono

combinati – fusi insieme – a generare nuclei più stabili.

Il lavoro di Harteck consisteva nel preparare bersagli con

sali di deuterio (in quanto chimico), cioè di idrogeno pe-

sante. 

 

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Dopo l’anno trascorso a Cambridge fu nominato profes-

sore di Fisica chimica ad Amburgo. Non era interessato

alla politica e non aveva mai aderito al Partito nazista.

Sua sorella, poi, aveva sposato un membro della presti-

giosa famiglia viennese dei Furth, di origine ebrea.

Si erano convertiti al luteranesimo durante il regno di

Francesco Giuseppe, ma questo particolare non fu tenu-

to in considerazione dai nazisti dopo l”Anschluss’. 

Date queste premesse, ci si potrebbe chiedere che cosa

spinse Harteck a dare l’impulso iniziale a un programma

nucleare nazista, se coronato da successo, avrebbe certa-

mente condotto alla costruzione di una bomba atomica. 

 

lettere p h come paul harteck

 

Molti anni dopo, in un’intervista, il professore affermò

che si era trattato di una semplice questione economica.

Avendo difficoltà ad ottenere finanziamenti per le sue

ricerche, e per la sua fabbrica.., decise di fare domanda

all’ente che sembrava più in grado di darne: l’Esercito.

Una motivazione non troppo diversa da quella di 

Willie Sutton, famoso per aver dichiarato di rapinare

banche perché ‘è lì che stanno i soldi’.

All’inizio Harteck non ebbe risposta dall’esercito tedesco,

ma riuscì ad ottenere una commessa per l’equivalente 

di 5.000 dollari da un meglio non identificato ente priva-

to per acquistare le attrezzature necessarie ad avviare la

ricerca nucleare vicino al porto di Amburgo….

(J. Bernstein, Il club dell’uranio di Hitler)


 

 

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L’ENIGMA SI COMPLICA

 l'enigma si complica

 

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l'enigma si complica

 

 

 

A prima vista, una procedura di codifica di ‘Enigma’ sembra

inespugnabile, ma i crittoanalisti polacchi non si persero d’

animo.

Erano pronti a esplorare qualunque via potesse rivelare una

pecca di ‘Enigma’ o del sistema a doppia chiave, giornaliera e

di messaggio. In questa battaglia, ebbe il battesimo di fuoco

una nuova generazione di crittoanalisti. Per secoli si era parti-

ti dal presupposto che le persone più adatte a volgere in chia-

ro una scrittura segreta fossero i conoscitori del linguaggio e

delle sue leggi – i linguisti e gli umanisti; ma il nuovo sistema

tedesco di protezione delle comunicazioni spinse i polacchi ad

adottare un’altra strategia di reclutamento.

 

l'enigma si complica

 

Perciò organizzarono un corso di crittografia, al quale invitaro-

no venti matematici dell’Università di Poznan. Coloro che accet-

tarono l’invito si impegnarono a mantenere il segreto.

Pur non essendo l’istituzione accademica più prestigiosa del 

Paese, l’università aveva il pregio di sorgere in una zona ex prus-

siana, appartenuta alla Germania fino al 1918. Quindi molti degli

invitati avevano una buona padronanza del tedesco. 

Tre dei matematici dimostrarono una particolare attitudine alla

decifrazione, e furono reclutati dal Biuro. 

 

l'enigma si complica

 

Il più brillante era Marian Rejewski, un timido occhialuto di 23

anni, specializzatosi in statistica nella speranza di trovare lavoro

nel campo delle assicurazioni. Quando si fu familiarizzato con la

crittografia, i superiori gli permisero di affrontare ‘Enigma’.

Grazie alle scoperte conseguite dal brillante Rejewski, le comu-

nicazioni tedesche diventarono trasparenti. La Polonia non era in

guerra con la Germania; ciò nondimeno, essa aveva ottimi moti-

vi per rallegrarsi di aver fatto breccia in ‘Enigma’.

Sapere cosa avevano in mente i generali tedeschi significava per

Varsavia avere qualche possibilità di difendersi. Il futuro della

nazione polacca era stato, in una certa misura, nelle mani di Re-

jewski, ed egli si era mostrato all’altezza di tanta responsabilità;

il suo trionfo su ‘Enigma’ è una delle imprese memorabili della

crittoanalisi.

 

l'enigma si complica

 

Il successo dei polacchi dev’essere attribuito a tre fattori: i timo-

ri legati alla situazione politica di quel periodo, l’approccio ma-

tematico e il contributo dei servizi segreti.

I polacchi utilizzarono con successo la tecnica di Rejewski per

molti anni. Herman Goring visitò Varsavia nel 1934 senza mini-

mamente sospettare che le sue comunicazioni erano intercettate

e decifrate. Quando lui e altre autorità tedesche deposero una

corona di fiori sulla tomba del Milite Ignoto vicino agli uffici

del Biuro Szyfròw, Rejewski poté osservarli dalla finestra, e

rallegrarsi di poter leggere i loro dispacci top-secret.

 

l'enigma si complica

 

Negli anni Trenta, Rejewski e i suoi colleghi ignoravano, lavo-

rando incessantemente alla scoperta della chiave giornaliera

di ‘Enigma’, che i loro sforzi in larga misura erano superflui:

il direttore del Biuro Gwido Langer, aveva già le chiavi gior-

naliere di ‘Enigma’; erano chiuse a chiave nella sua scrivania.

Tramite i francesi, Langer aveva continuato a ricevere infor-

mazioni da Scmidt. L’attività della spia tedesca, disastrosa

per la sicurezza del suo Paese, lungi dal concludersi nel

1931 con la consegna dei due documenti, proseguì duran-

te i sette anni seguenti.

 

l'enigma si complica

 

Schmidt incontrò Rex altre venti volte, spesso in isolati cha-

let di montagna che davano ottime garanzie di segretezza.

Durante ogni incontro Schmidt consegnava uno o più cifrati,

ciascuno dei quali conteneva un mese di codici giornalieri.

Si trattava dei cifrari distribuiti a tutti gli operatori di ‘Enig-

ma’, con le informazioni necessarie per generare e volgere

in chiaro i crittogrammi.

Il capo del Biuro sapeva che se la guerra fosse scoppiata, sa-

rebbe diventato impossibile organizzare gli incontri con Sch-

midt in condizioni di sicurezza, e Rejewski avrebbe dovuto

contare solo sulle sue forze. Considerando ciò che lo aspet-

tava, era meglio che il crittoanalista-matematico si abituasse

a essere autosufficiente già in tempo di pace.

Alla fine, anche le risorse intellettuali di Rejewski ebbero un

limite. Avvenne nel dicembre 1938, quando i crittografi tedes-

chi aumentarono la sicurezza di ‘Enigma’. Tutti gli operatori

del crittosistema ricevettero due nuovi scambiatori, cosicché

la loro disposizione nella macchina venne a rappresentare

una sequenza di tre elementi su cinque.

Ciò portava il numero di combinazioni da 6 a 60.

(S. Singh, Codici & Segreti)

 

 

 

l'enigma si complica

  

L’ENIGMA DELLA GUERRA

l'enigma della guerra

 

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l'enigma della guerra

 

 

 

Dopo il fallimento della sua ditta di sapone, Hans-Thilo era

stato costretto a chiedere aiuto al fratello, che gli aveva pro-

curato un impiego alla ‘Rolling Chiffrierstelle’, l’ufficio ammi-

nistrativo preposto alle comunicazioni crittate.

Era la sala comandi della rete ‘Enigma’ una struttura superse-

greta che gestiva informazioni estremamente delicate.

 

l'enigma della guerra

 

Tresferendosi a Berlino, Hans-Thilo aveva lasciato la famiglia

in Baviera, dove il costo della vita era sopportabile. Nella ca-

pitale egli conduceva un’esistenza solitaria; impoverito e spae-

sato, sentiva crescere in sé il risentimento per l’irreprensibile

fratello e per la stessa patria, che sembrava respingerlo dopo

il taglio finale.

Il risultato era prevedibile.

Offrendo agli stranieri i segreti di ‘Enigma’ egli avrebbe potu-

to tornare benestante e insieme vendicarsi, compromettendo

la sicurezza del Paese e minando l’organizzazione diretta da 

Rudolf.

 

l'enigma della guerra

 

L’8 novembre 1931 Schmidt varcò l’ingresso del Gran Hotel 

di Verviers, in Belgio, si stabilì per qualche tempo sui Pireni,

per incontrare un agente francese il cui nome in codice era

Rex.

Per 10.000 marchi Schmidt permise a Rex di fotografare due

documenti: il ‘Gebrauchsanweisung fur die Chiffriermaschine’

e lo ‘Sclusselanleitung fur die Chiffriermaschine Enigma’. 

Si trattava in sostanza di due manuali di istruzioni per l’uso

della cifratrice, ma sebbene non fornissero alcun particolare

sui circuiti degli scambiatori, la struttura di questi componen-

ti poteva essere dedotta dalle altre informazioni.

Grazie al tradimento di Schmidt, era possibile costruire una

replica fedele della versione (originale) militare di Enigma.

Tuttavia, ciò non bastava a decifrare i messaggi generati con 

essa. 

 

l'enigma della guerra

 

La forza della cifratura ‘Enigma’ non dipendeva dal tener segre-

to il dispositivo, ma dal tener segreto il suo assetto all’inizio

della cifratura (cioè la chiave). Se avesse voluto volgere in chia-

ro un crittogramma tedesco, un crittoanalista alleato oltre ad 

aver bisogno di una replica della cifratrice avrebbe dovuto

scoprire quale chiave, tra i milioni di miliardi possibili, era

stata impiegata.

Un memorandum germanico così riassumeva la situazione:

‘Si è partiti dal presupposto, nel giudicare la sicurezza del 

crittosistema, che il nemico abbia a disposizione il congegno’.

 

l'enigma della guerra

 

E’ chiaro che il servizio segreto francese funzionava, avendo

trovato un informatore come Schmidt e ottenuto il materiale

che suggeriva le caratteristiche dei circuiti ‘Enigma’.

In confronto, i crittoanalisti francesi apparivano inadeguati,

poco desiderosi e poco capaci di approfittare delle nuove

informazioni.

Tuttavia, dieci anni prima la Francia aveva firmato un accor-

do di cooperazione militare con la Polonia. I polacchi aveva-

no manifestato interesse per tutto ciò che concerneva ‘Enigma’,

 

l'enigma della guerra

 

e in conformità con quell’accordo i francesi si limitarono a 

consegnare agli alleati le riproduzioni fotografiche dei docu-

menti di Schmidt, lasciando al ‘Biuro Szyfròw’ l’impresa dispe-

rata di far breccia in ‘Enigma’.

Al ‘Biuro’ ci si rese subito conto del fatto che i documenti era-

no solo un punto di partenza, ma a differenza di quanto era

accaduto in Francia si decise di procedere, soprattutto a causa

del timore di un’invasione tedesca.

(S. Singh, Codici & Segreti)

 

 

 

l'enigma della guerra

   

NOT NOW JOHN

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not now john

 

 

 

9 Novembre

 

Mussolini mobilita dieci classi della flotta.

Ha un milione di uomini sotto le armi.

Dà inizio alla dimostrazione di primavera che stavo

aspettando.

Ah, come avremmo dovuto attaccarlo nel settembre scorso.

Chissà se gli inglesi hanno truppe sufficienti alla frontiera

abissina?

Mantiene un atteggiamento prudente nei confronti di Stalin,

ma se Hitler teme troppo il voltafaccia di Stalin, gli chiederà

aiuto ed egli darà una dimostrazione sul fronte occidentale

per favorire una rapida offensiva di Hitler in Belgio, Olanda

e Danimarca.

Quid, se Stalin entra in Svezia e in Norvegia?

 

17 settembre

 

– Sono passato un momento al Salon.

Ci sono tutti i ‘medi’, la seconda classe.

Finalmente comincia la guerra.

Dopo la piccola, risibile ‘iniziativa’ inglese – la prima, e così

debole – arriva a valanga la replica tedesca, pronta, fulminea.

Per l’Inghilterra e per gli alleati è un colpo durissimo.

Forse potranno rispondere.

Forse i distaccamenti che i tedeschi hanno mandato in Norve-

gia non sono numerosi e sarà possibile contrattaccare con

mezzi di fortuna.

Dico di fortuna perché suppongo che una manovra tedesca

di tale ampiezza non fosse prevista!

Ma la vera risposta sarebbe entrare oggi stesso in Belgio

e in Olanda.

Se non lo facciamo, siamo perduti.

Le sorti della guerra si decidono stanotte.

D’altra parte che farà la Russia?

Non si avventerà sul ferro svedese?

Allora sarà la gara tra i due amici per la spartizione. 

La Finlandia e la Svezia combatteranno per lasciare il ferro

ai tedeschi.

Oppure la Svezia muoverà guerra alla Germania e contem-

poraneamente alla Russia?

E MUSSOLINI non bombarderà Nizza e Marsiglia domani

o dopodomani?

L’America starà a guardare; un giorno lo pagherà.

Certo gli alleati hanno ancora delle carte da giocare: contrat-

tacco in Norvegia e in Olanda, vittoria sull’Italia, ingresso

sul mar Nero. 

Stalin probabilmente prenderà nuove iniziative contro la

Finlandia e la Romania, e a quel punto la Germania avrà dei

fronti lunghissimi da difendere; allora comincerà a diventare

pericoloso, ma molto tardi.

Hitler arriverà prima di lui al ferro svedese, cosa importantis-

sima, e se si muove a sud lo precederà alle bocche del Danubio. 

Il giorno in cui la Germania sarà sul mar Nero, la stella rossa

comincerà davvero a declinare.

Se Stalin avanza contro la Finlandia, gli scandinavi saranno

di nuovo in mano tedesca?

Se Mussolini avanza con Hitler, è perché Stalin non è sicuro. 

E nessuno pensa lontanamente a entrare in Olanda… 

No… non adesso….dobbiamo avanzare così…..

(Pierre Drieu la Rochelle, Diario)

 

 

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DELITTO CONTRO L’UMANITA’

 delitto contro l'umanità

 

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delitto contro l'umanità

 

 

 

L’interrogativo di Simon non si riferisce alla riconciliazione

bensì al perdono.

Ma non ci può essere perdono senza riconciliazione e non

si può avere riconciliazione senza almeno un briciolo di per-

dono. Non si tratta di un perdono destinato a chi ha ucciso o

ha orchestrato massacri e che sul letto di morte cerca di mette-

re a posto la coscienza, ma a chi si sente veramente partecipe

di una colpa collettiva commessa dai propri ‘fratelli’ etnici-

politici-religiosi nel nome di quella ‘fratellanza’.

 

delitto contro l'umanità

 

Come ha detto Simon alla madre della SS morente, anche se

un membro di una società non ha partecipato personalmente

ai delitti, deve per lo meno condivederne la vergogna.

Respingo energicamente l’idea di colpa collettiva, ma credo

fermamente che esista una responsabilità nazionale o statale

del genocidio, dell’assassinio di massa, o della creazione di

quel genocidio (o di singoli omicidi).

Non si ripeterà mai abbastanza che la punizione del colpevole

e alcune misure di giustizia sono assulutamente indispensa-

bili per poter prendere in considerazione il pericolo o la ricon-

ciliazione. 

 

delitto contro l'umanità

 

L’eventuale impunità del genocidio costituirà un precedente

per un genocidio futuro. Senza giustizia, non potrà mai esser-

ci riconciliazione né vera pace.

Ma quando si parla di delitti contro le convenzioni di Ginevra

e la Convenzione sul genocidio – gli strumenti del diritto inter-

nazionale basati sull’Olocausto e costruiti sulle ceneri di ques-

to, dobbiamo ricordare che ogni delitto commesso contro il di-

ritto internazionale è un  – delitto perpetrato contro l’umanità –

e non solo contro la persona o la società alla cui estinzione

si mira.

Questo è il punto fondamentale del diritto internazionale.

E dobbiamo anche ricordare che ogni vittima fa parte del ‘noi’

collettivo, sia che si tratti degli ebrei dell’Europa degli anni

Quaranta, o dei mussulmani dell’Europa degli anni Novanta.

Quanto al quesito originale, io stesso e gli altri lettori dovremo

rispondere individualmente.

 

delitto contro l'umanità

 

Posso dire tuttavia che si può propendere verso il perdono se 

esiste un sincero riconoscimento di colpa. Ma non posso fare

a meno di sottolineare che, invece, dimenticare è impensabile,

sia che si discuta di Olocausto che di Bosnia.

Alla fine, la riconciliazione deve essere la mèta finale per tor-

nare ad apprezzare la bellezza della vita.

Così, alla soglia del XXI secolo, che cosa abbiamo guadagnato

dalle nostre esperienze dell’inumanità dimostrata dall’uomo

nei confronti dell’uomo?

Ben poco, a quanto pare…..

(Sven Alkalaj, Primo Ambasciatore della Repubblica di

Bosnia ed Erzegovina & Simon Wiesenthal, Il girasole)

 

 

 

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SENTIERI DI MORTE

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sentieri di morte

 

 

Un terzo criminale di guerra finito in Argentina, l’alto funzio-

nario del ministero della Propaganda di Goebbels, Erich Muller,

ricevette la carta d’identità numero 111 intestata a Francesco

Noelke.

Con questi pseudonimi semilegali Mengele, Eichmann e Muller

richiesero e subito ottennero un permesso di sbarco in Argentina

a distanza di poche settimane l’uno dall’altro.

 

sentieri di morte

 

Le loro richieste furono quasi certamente inviate dall’ufficio della

DIAE di Fuldner a Genova all’Ufficio immigrazione di Buenos

Aires.

Questo flusso di richieste, comprese quelle di altri ufficiali della

SS quali Erich Priebke e Josef Schwammberger, aiutò un folto

gruppo di criminali nazisti i cui documenti argentini vennero

preparati quasi simultaneamente a metà 1948.

E’ probabile che Mengele abbia pagato molto caro il suo permes-

so di sbarco in Argentina, ma il denaro non scarseggiava certo

nella sua famiglia.

 

sentieri di morte

 

L’area di Gunzburg in Baviera ospitava la fabbrica di materiali

agricoli Mengele sin dall’inizio del secolo.

Il padre Karl era stato membro del partito nazista e nel 1932

Hitler si era recato perfino in visita nella sua fabbrica. 

Nel periodo postbellico, sebbene sottoposto a un lungo proces-

so di ‘denazificazione’ da parte degli Alleati, gli affari di Karl

Mengele prosperarono, e ben presto avrebbe avviato iniziative

imprenditoriali in vari paesi d’oltreoceano, compresa l’Argen-

tina, dove il figlio avrebbe trovato rifugio.

 

sentieri di morte

 

Il 7 settembre 1948 giunse la notizia che il permesso di sbarco

per Helmut Gregor era stato approvato a Buenos Aires.

Mengele sparì da Mangolding senza neppure salutare i suoi

datori di lavoro.

Tornato nella cittadina natia di Gunzburg, trascorse i brevi

mesi successivi nascondendosi nelle foreste circostanti, tentan-

do di convincere la moglie Irene a seguirlo in Argentina con il

figlio Rolf.

Nell’aprile 1949 Mengele lasciò la Germania da solo.

Il suo viaggio in Italia via Austria fu evidentemente organiz-

zato e pagato dal padre tramite contatti con le SS nell’area di

Gunzburg. L’operazione implicò attraversamenti di frontiera

clandestini, scambi di parole in codice e documenti di viaggio

falsi. Alla fine Mengele approdò a Vipiteno, nel Nord Italia,

la stessa località dell’Alto Adige che aveva offerto riparo

sicuro ad innumerevoli gerarchi nazisti.

 

sentieri di morte

 

Lì era stata prenotata una stanza alla pensione Croce d’oro 

al nome di Fritz Holmann. Un emissario della famiglia gli 

portò denaro e una ‘valigetta’, con nascosti nel doppio fondo

i suoi appunti e i campioni di sangue di Auschwitz.

Dopo circa un mese Mengele si trasferì a Bolzano, dove trovò

ad attenderlo un agente clandestino identificato solo come

‘Kurt’ nel suo diario di ‘viaggio’.

‘Kurt’ aveva contatti croati e nei balcani, godeva di accesso al-

la Croce Rossa e al consolato argentino, in pratica tutti gli attri-

buti tipici dei legami alla DIAE di Peron o a uno dei prelati 

che assistevano i nazisti in fuga.

 

sentieri di morte

 

Quest’uomo misterioso aveva prenotato per Mengele un posto

sulla North King, che sarebbe salpata per l’Argentina il 25 mag-

gio 1949. 

La prima tappa di Mengele, il 16 maggio, fu all’ufficio della

Croce Rossa di Genova per procurarsi un passaporto valido,

cosa che ‘Kurt’ organizzò senza alcuna difficoltà. Mengele

disponeva del suo permesso di sbarco argentino e della carta

d’identità di Termeno, lo stesso armamentario di documenti

falsi che un anno dopo avrebbe permesso a Eichmann e Muller

di ottenere il passaporto della Croce Rossa.

 

sentieri di morte

 

La tappa successiva, il giorno dopo, fu il consolato argentino

per ottenere un visto d’ingresso. Mengel giunse con un docu-

mento di vaccinazione falso procuratogli da un medico croato.

Tuttavia, i puntigliosi diplomatici argentini notarono che 

la Croce Rossa aveva erroneamente scritto la data di emissio-

ne del passaporto di Gregor sulla riga riservata alla data

di scadenza, invalidando così il documento.

Tornato con un nuovo passaporto, Mengele scoprì ora che 

avrebbe comunque dovuto sottoporsi a visita medica obbliga-

toria all’ufficio della DIAE.

La beffa maggiore a danno della storia, e le vittime del ‘dottor

morte’, assunse contorni comici con la polizia di frontiera di

Genova, la quale contrariamente a quanto possiamo immagi-

nare,  chiese in toni paternalistici ….’se fosse per caso un ebreo…’

 

sentieri di morte

 

La ‘North King’ attraccò nel porto di Buenos Aires il 22 giugno

1949, dopo quattro settimane di traversata.

I funzionari dell’immigrazione argentini, come i loro colleghi

italiani rimasero alquanto sbigottiti dalle carte e dai campioni

che Helmut Gregor stava introducendo nel paese.

‘Si trattava di appunti di biologia’ affermò – correttamente –

Mengele….

(U. Goni, Operazione Odessa)

Da: 

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L’IDEALE DI BELLEZZA DEI TEDESCHI DEVE ESSERE LA SALUTE (A. Hitler)

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l'ideale di bellezza

 

 

 

Per molti internati nei campi di sterminio nazisti, Mengele incarnò

il processo delle selezioni.

Come si espresse un medico prigioniero:

Io…penso che Mengele abbia sviluppato un’idea fissa: selezioni e ancora

selezioni.

Si tendeva a identificarlo come il capo di coloro che facevano

le selezioni.

O, come si espresse un altro medico prigioniero:

Tutto ad Auschwitz dipendeva da …Mengele…Mengele era quello che

era presente a tutti i trasporti. Di solito alla banchina c’era solo lui, e faceva

personalmente le selezioni. Quando non poteva farlo, mandava in sua vece

un altro capace…medico SS. 

La forza di quest’impressione è confermata da un testimone al Processo

di Auschwitz a Francoforte; questo testimone aveva lavorato nel ‘Kom-

mando Canada’, che aveva il compito di far scendere i prigionieri dai

convogli al loro arrivo ad Auschwitz, e ricordava soltanto il nome di

Mengele.

 

l'ideale di bellezza

 

Quando il giudice commentò:

Mengele non poteva essere presente sempre,

il testimone rispose:

Secondo me sì. Giorno e notte.

La dottoressa Olga Lengyel, parlando in termini meno specifici,

colse il sentimento complessivo degli internati nella sua descri-

zione di Mengele come:

‘di gran lunga il maggior fornitore della camera a gas e dei forni crematori’.

In realtà secondo le prove a nostra disposizione, Mengele avrebbe

fatto i suoi turni alla banchina come qualsiasi altro.

Alcuni ex internati lo descrissero come una figura elegante sulla

banchina: ben vestito, dal portamento eretto. Alcuni lo percepi-

rono erroneamente come ‘dall’ aspetto molto ariano’ o ‘alto e bion-

do’, mentre in realtà era un uomo di media statura e di capelli e

carnagione scuri.

 

l'ideale di bellezza

 

Il suo aspetto attraente celava le verità di Auschwitz:

egli ‘dava l’impressine di un uomo gentile e colto che non avesse niente a

che fare con le selezioni, col fenolo e con lo Zyklon B’.

Un sopravvisuto me lo descrisse come la ‘falsa facciata del crema-

torio’.

Mengele si comportava in modo estremamente disinvolto nella

conduzione di selezioni su grande scala:

‘uomo di bell’aspetto con un bastone in mano….guardava corpi e facce

solo un paio di secondi e diceva: a sinistra, a destra.

E un altro internato contrappose il modo deciso del dottor Franz

Lukas alla banchina ai ‘movimenti eleganti e rapidi’ di Mengele.

Alcuni identificarono una qualità giocosa nel distacco di Mengele,

nel suo camminare avanti e indietro con un’espressione gaia sul

volto…, quasi si divertisse…, il divertimento della routine…, era molto

allegro.

 

l'ideale di bellezza

 

Ma gli osservatori attenti si resero conto che stava recitando una parte;

notarono la cura con cui metteva in mostra almeno una Croce di Ferro,

e l’intensità con cui sembrava voler contrapporre la propria eleganza

allo stato appena umano dei prigionieri; e dicevano di lui che ‘sembra-

va un attore di Hollywood’, ‘come Clark Gable’ o ‘un tipo alla Rodolfo

Valentino’.

Al tempo stesso i prigionieri erano colpiti dal contrasto fra ciò che

egli sembrava e ciò che era. Un sopravvissuto, che lo descrisse come

di bell’aspetto….molto educato’, dichiarò che ‘non sembrava davvero un assas-

sino’, aggiungendo però subito dopo:

Colpì mio padre sul collo col bastone e lo mandò in una certa direzione, verso

la camera a gas. Oppure: ‘Era brutale ma in un modo distinto, depravato’.

I medici delle SS – e specialmente Mengele – furono specificatamente

implicati nell’uccisione dei 4000 internati del campo degli zingari,

eccidio avvenuto il 1° agosto 1944.

Mengele era il medico capo in quel lager e fu così attivo nel processo

di annientamento che molti prigionieri con cui ebbi modo di parlarne

pensavano che ne fosse stato personalmente responsabile e che fosse

stato lui ad aver dato l’ordine specifico.

 

giulianolazzari5.jpeg

 

Ci sono prove che in realtà egli si oppose a questo sterminio, ma,

una volta che esso fu ordinato, applicò un’energia straordinaria

alla sua attuazione.

Alcuni medici prigionieri che avevano lavorato ad Auschwitz in quel

periodo mi dissero che quel giorno Mengele sembrava essere contem-

poraneamente dappertutto, esercitando un’attiva supervisione sull’uc-

cisione degli zingari.

Mengele aveva avuto stretti rpporti con alcuni bambini zingari, ai

quali portava di solito cibo e dolci, e a volte anche piccoli giocattoli,

e che aveva anche condotto a fare brevi passeggiate fuori del Lager.

Ogni volta che appariva nel campo degli zingari, i bambini lo saluta-

vano con calore, gridando: ‘Zio Mengele!’.

Ma quel giorno i bambini erano spaventati.

Il dottor Alexander O. descrisse la scena e l’appello di uno dei bam-

bini a Mengele:

Mengele arrivò attorno alle otto o alle sette e mezzo. Era giorno fatto.

Al suo arrivo i bambini gli si fanno attorno… Una bambina zingara di undici

o dodici anni…, la primogenita di un’intera famiglia – o forse anche di tredici,

dato che con la denutrizione a volte si cresce di meno: ‘Zio Mengele, il mio fra-

tellino sta piangendo da morire. Non sappiamo dove sia nostra madre. Piange

da morire, Zio Mengele!’. Da chi andava a cercare conforto? Da Mengele: la

persona che amava e da cui sapeva di essere amata, perché Mengele li amava.

E che cosa le rispose Mengele? ‘Perché non chiudi il becco?’.

Altri riferirono che Mengele ispezionò minuziosamente i blocchi,

scovando bambini zingari che si erano nascosti, e che trasportò

personalmente in macchina un gruppo di quei bambini alla camera

a gas, contando sulla fiducia che avevano in lui e parlando loro sino

alla fine con tenerezza e in modo rassicurante.

(R.J. Lifton) 

 

 

 
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LA BANALITA’ DEL MALE (2)

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la banalità del male 2

 

 

 

..Al contrario, per lui                                                                  

ogni uomo diveniva un legislatore nel momento stesso in

cui cominciava ad agire: usando la ‘ragion pratica’ ciascuno

trova i principi che potrebbero e dovrebbero essere i principi

della legge.

Ma è anche vero che l’inconsapevole distorsione di Eichmann

era in armonia con quella che lo stesso Eichmann chiamava la

teoria di Kant ‘ad uso privato della povera gente’.

In questa versione ad uso privato, tutto ciò che restava dello

spirito kantiano era che l’uomo deve fare qualcosa di più che

obbedire alla legge deve andare al di là della semplice…

 

la banalità del male 2

 

obbedienza e identificare la propria volontà col principio

che sta dietro la legge – la fonte da cui la legge è scaturita.

Nella filosofia di Kant questa fonte era la ragion pratica;

per Eichmann era la volontà del Fuhrer.

Buona parte della spaventosa precisione con cui fu attuata la

soluzione finale (caratteristica del PERFETTO BURACRATE)

si può appunto ricondurre alla strana idea, effettivamente

molto diffusa in Germania (e non solo…), che essere ligi alla

legge non significa semplicemente obbedire, ma anche agire

come se si fosse il legislatore che ha stilato la legge a cui si

obbedisce. Da qui la convinzione che occorra fare anche di

più di ciò che impone il dovere.

Qualunque ruolo abbia avuto Kant nella formazione della

mentalità  della ‘povera gente’ in Germania, non c’è il minimo

dubbio che in una cosa Eichmann seguì realmente i precetti

kantiani: ‘una legge è una legge e non ci possono essere ecce-

zioni’.

 

la banalità del male 2

 

A Gerusalemme egli ammise di aver fatto un’eccezione in due

casi, nel periodo in cui ‘ottanta milioni di tedeschi’ avevano cias-

cuno ‘il suo bravo ebreo’: aveva aiutato una cugina mezza ebrea

e una coppia di ebrei viennesi, cedendo alle raccomandazioni di

suo ‘zio’. Questa incoerenza era ancora un ricordo spiacevole, per

lui, e così durante l’interrogatorio dichiarò, quasi per scusarsi,

di aver ‘confessato le sue colpe’ ai suoi superiori.

Agli occhi dei giudici questa ostinazione lo condannò più di tante

cose meno incomprensibili, ma ai suoi occhi era proprio questa

durezza che lo giustificava, così come un tempo era valsa a tacita-

re quel poco di coscienza che ancora poteva avere.

Niente eccezioni: questa era la prova che lui aveva sempre agito

contro le proprie ‘inclinazioni’, fossero esse ispirate dal sentimento

o dall’interesse; questa era la prova che lui aveva sempre fatto il

suo ‘DOVERE’.

IL PROBLEMA DELLA COSCIENZA di Eichmann, che è notoria-

mente complesso ma nient’affatto unico, non può essere paragona-

to a quello della coscienza dei generali tedeschi, uno dei quali,

quando a Norimberga gli chiesero: ‘Come è possibile che tutti voi

rispettabili generali abbiate seguito a servire un assassino con tanta

fedeltà?’, rispose che non toccava a un soldato ergersi a giudice

del suo comandante supremo:

‘Questo tocca alla storia, o a Dio in cielo’.

Eichmann, molto meno intelligente e per nulla istruito, capì

almeno vagamente che a trasformarli tutti in criminali non era

stato un ordine, ma una legge.

 

la banalità del male 2

 

La differenza tra ordine e ‘ordine del Fuhrer’ era che la validità del

secondo non era limitata nel tempo o nello spazio, mentre questo

limite è caratteristica precipua del primo. E questa è anche la vera

ragione per cui quando il Fuhrer ordinò la soluzione finale esperti

giuristi e consiglieri giudici, non semplici amministratori, stila-

rono una fiumana di regolamenti e direttive: quell’ordine, a dif-

ferenza degli ordini comuni, fu considerato una legge.

Inutile aggiungere che tutti questi strumenti giuridici, lungi

dall’essere semplici frutto della pignoleria o precisione tedesca,

servirono ottimamente a dare a tutta la faccenda una parvenza di

legalità.

(H. Arendt, La banalità del male) 

 
 
 
 
 
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