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Libri, ricordi…dialoghi…
…Un sito….
Questa incertezza l’inquieta, le fa scappare la pazienza.
La povera fanciulla non risponde alle domande, si acciglia,
è pronta a piangere.
‘Non dovremmo andare a casa?’ domando io.
‘Ma a me…a me piace scivolare’, ella dice, arrossendo.
‘Se si facesse ancora una corsa?’
‘Le ‘piace’ questo scivolare, ma intanto, salendo nella slitta, è
pallida come le altre volte, a malapena respira dalla paura,
trema.
Scendiamo giù per la terza volta, e io vedo com’ella mi guarda
in viso, sorveglia le mia labbra. Ma io porto alle labbra il fazzo-
letto, tossicchio e, quando raggiungiamo la metà del poggio,
faccio in tempo a pronunciare: ‘Io vi amo, Nadja!’
E l’enigma resta enigma!
Nadèn’ka tace, pensa a qualcosa….
Io l’accompagno dallo sdrucciolo a casa, lei cerca di andare più
adagio, rallenta i passi e aspetta sempre che io le dica quelle
parole. E io vedo come soffre la sua anima, quanti sforzi ella fa
su se stessa per non dire: ‘Non è mica possibile che le abbia det-
te il vento! E io non voglio che le abbia dette il vento!’.
La mattina del giorno dopo ricevo un bigliettino: ‘Se oggi andre-
te allo sdrucciolo, passate da me, N.’.
E da quel giorno comincio ad andare con Nadèn’ka quotidiana-
mente allo sdrucciolo e, volando giù in slitta, pronuncio ogni
volta sottovoce quelle stesse parole: ‘Io vi amo, Nadja!’
Ben presto Nadèn’ka si abitua a questa frase, come al vino o
alla morfina.
Viver senza di essa non può.
Veramente, volar giù dal poggio è pauroso come prima, ma or-
mai la paura e il pericolo conferiscono un particolare incanto alle
parole d’amore, parole che come prima costituiscono un enigma
e fanno languir l’anima.
Sospettati di pronunciarle siamo sempre noi due: io e il vento…
Chi dei due le dichiari il suo amore ella non sa, ma ormai, a
quanto pare, le è indifferente: da qualunque vaso si beva è tutt’
uno, purché si sia ebbri.
Una volta, a mezzogiorno, mi avviai allo sdrucciolo solo; mesco-
landomi alla folla, vedo che al poggio si avvicina Nadèn’ka e mi
cerca con gli occhi… Poi sale timidamente la scaletta… Fa paura
andar sola, oh, come fa paura! E’ pallida come la neve, trema,
par che vada al supplizio, ma non va, va senza guardarsi indie-
tro, risoluta.
Evidentemente, ha stabilito di provare: si potranno udire quelle
stupefacenti dolci parole, quand’io non ci sono?
Vedo com’ella, pallida, con la bocca aperta dallo sgomento, sale
nella slitta, chiude gli occhi e, detto addio per sempre alla terra,
si muove dal posto…. ‘Zzzz’ ronzano gli strisci. Se Nadèn’ka
senta quelle parole, non so… Vedo solamente com’ella si alza
dalla slitta debole, esausta. E, lo si scorge dal suo viso, ella stes-
sa non sa se abbia udito qualcosa o no. La paura, mentre scivo-
liamova giù, le ha tolto la capacità di udire, di distinguere i
suoni, di capire….
Ma ecco che giunge un primaverile mese di marzo…
Il sole si fa più carezzevole. Il nostro monte di ghiaccio scurisce,
perde il suo splendore e si scioglie, infine. Smettiamo di scivola-
re. La povera Nadèn’ka non può più udire in nessun luogo quel
le parole, né c’è alcuno per pronunciarle, poiché il vento non se
ne sente, e io mi accingo ad andare a Pietroburgo: per molto tem-
po, probabilmente per sempre.
Una volta, prima della partenza, un paio di giorni avanti, son se-
duto al crepuscolo nel giardinetto, e dal cortile in cui abita Nadèn’-
ka questo giardinetto è diviso da un alto steccato fissato con chio-
di….Fa ancora piuttosto freddo, sotto il concime c’è ancora la neve,
gli alberi son morti, ma già odora di primavera e, preparandosi al
riposo notturno, gridano, rumorosamente le gracchie.
Io m’avvicino allo stecconato e guardo a lungo la fessura.
Vedo come Nadèn’ka esce sul terrazzino e fissa un triste, angosciato
sguardo nel cielo…. Il vento primaverile le soffia sul pallido volto
abbattuto…. Le ricorda quel vento che ci urlava allora sul poggio,
quand’ella udiva quelle quattro parole, e il suo viso si fa mesto,
per la guancia le scivola una lacrima…. E la povera fanciulla tende
tutt’e due le mani, come pregando questo vento di recarle ancora
una volta quelle parole.
E io, dopo aver atteso che soffi il vento, dico a mezza voce:
‘Io vi amo, Nadja!’
Dio mio, che cosa avviene di Nadèn’ka! Ella manda un grido, sorri-
de con tutto il volto, e tende incontro al vento le mani, gioiosa, feli-
ce, così bella!
E io vado a far le valigie….
Questo è stato ormai da un pezzo.
Adesso Nadèn’ka è già maritata; l’hanno sposata, o s’è sposata, fa
lo stesso, al segretario del consiglio nobiliare di tutela, e ora ha già
tre bambini. Come noi un tempo andavamo insieme allo sdrucciolo
e come il vento portava a lei le parole…’Io vi amo Nadèn’ka’, ella
non l’ha dimenticato; per lei adesso è questo il più felice, il più
commovente e bel ricordo della vita….
E a me, ora che mi son fatto più vecchio, riesce ormai incomprensi-
bile perché dicessi quelle parole, a che scopo scherzassi….
(Anton Cechov, Racconti)