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Il processo della disciplina e della civiltà non ha arginato la
violenza, al contrario, l’ha moltiplicata.
La guerra tecnica ed i genocidi lasciano dietro di sé un pro-
fondo disorientamento.
L’anonima morte di massa ha fatto saltare la fiducia nella so-
pravvivenza pacifica della società. La fede nel progresso è
svanita a partire dalle battaglie materiali della prima guerra
mondiale. Le utopie della pace e gli ideali di comprensione
reciproca sembrano particolarmente inutili, completamente
al di fuori della realtà, al limite consolatori.
E anche le reazioni spontanee di rabbia o di dolore, di colpa
o di vergogna non rappresentano la realtà della violenza.
Le catastrofi di questo secolo non sono vinte né con sentimen-
ti di sdegno, né con teoremi morali o appelli pedagogici.
Di solito la soluzione al disorientamento è la distanza, il dis-
tacco analitico, la chiarezza concettuale. L’atteggiamento me-
todico della diagnosi sociologica offre una buona premessa.
Aiuta a mettere da parte la paura. E’ comunque naturale che
ci siano giudizi di valore. Questo freddo riserbo potrebbe es-
sere considerato scandaloso.
Ma non si dovrebbe scambiare per insensibilità.
Quanto più la portata e l’intensità della violenza ci sconvol-
gono e suscitano resistenze interne, tanto più l’accuratezza
analitica è indispensabile, se si vuol arrivare a capire.
(W. Sofsky, Il paradiso della crudeltà)