PERCHE’ CHI ASCOLTA IL MIO SUONO E’ POVERO E SOLO (forse anche negro…non certo su un trono da papa vestito…)

 perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

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perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

 

 

 

Copiai i testi di Johnson su foglietti di carta per poter esaminare

meglio i versi e le strutture, la costruzione dei versi che sembra-

vano più vecchio stile e le associazioni libere che usava, le alle-

gorie che sprizzavano scintille, gran verità bastarde avvolte nel-

la dura conchiglia dell’astrazione senza senso, temi che passava-

no al volo con la più grande agilità.

Quei sogni o pensieri non erano i miei, ma stavo per averli anch’

io. Pensavo molto a Johnson, chiedendomi che pubblico avesse 

 

perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

mai potuto avere. E’ difficile immaginare mezzadri o braccianti

di piantagione, pigiati sulla baracca dove si andava a ballare, a

prestare attenzione a canzoni come quelle.

Viene da chiedersi se Johnson non stesse suonando per un pub-

blico che solo lui poteva vedere, lontano nel futuro (e forse an-

che nel presente e passato..). 

Quando il disco venne pubblicato colpì gli appassionati di

blues come un’esplosione. Alcuni ricercatori ne rimasero così

ossessionati che andarono a fare indagini sul suo passato, qua-

lunque brandello ne fosse rimasto, e lo ritrovarono.

Johnson aveva registrato negli anni trenta, e nei sessanta c’era

ancora che nella zona del Delta sapeva qualcosa di lui. 

Alcuni l’avevano perfino riconosciuto.

 

perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

Secondo una storia che era circolata rapidamente, Johnson ave-

va venduto la sua anima al diavolo a mezzanotte a un incrocio

di campagna ed era così che era diventato tanto bravo. 

Di questo io non sono niente.

Quelli che l’avevano conosciuto raccontavano una storia diversa,

e cioè che aveva passato molto tempo in compagnia di alcuni vec-

chi suonatori di blues nelle zone rurali del Mississippi suonando

l’armonica, era stato cacciato via perché causava guai, se n’era an-

dato e aveva imparato a suonare la chitarra da un bracciante di

nome Ike Zinnerman, un misterioso personaggio che non compa-

riva in nessuna ricostruzione storica, forse perché non aveva inci-

so dischi.

Doveva essere stato un insegnate incredibile.

 

perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

Quelli che sapevano, dicevano che Ike aveva fatto vedere a Robert

i rudimenti di una tecnica che l’avrebbe fatto suonare come nessu-

no e che Johnson aveva fatto tutto il resto da solo, che soprattutto

aveva ascoltato dischi e aveva perfezionato il suo approccio grazie

a quei dischi.

Si possono sentire i dischi originali, le canzoni che sono state il pro-

totipo per tutte quelle di Johnson. Così la storia ha più senso.

Più di trent’anni dopo avrei visto Johnson per otto secondi, in un

film a otto millimetri girato da alcuni tedeschi a Ruleville, nel Mis-

sissippi, su una strada in un pomeriggio di sole alla fine degli 

anni trenta.

 

 

perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

 

 

Non tutti erano sicuri che fosse veramente lui, ma rallentando gli

otto secondi fin quasi a ottanta…si vede che è proprio Johnson, de-

ve essere lui, non può che essere lui. 

Suona con le mani grandi, a forma di ragno, che si muovono come

per magia sulle corde della chitarra. Intorno al collo ha un portar-

monica con l’armonica infilata. Non sembra affatto un uomo di

pietra, e nemmeno un personaggio dal carattere impossibile.

Rivela piuttosto un aspetto infantile, una natura angelica, che più

innocente non si può. Indossa una blusa di lino bianco, una tu-

ta da lavoro e uno strano berretto da marinaretto ornato di fili

dorati come un piccolo Lord Fauntleroy.

Non ha l’aria di un uomo che ha alle calcagna i cani dell’inferno.

Sembra immune alle umane paure, e si rimane increduli a fissa-

re la sua immagine.

(Bob Dylan, Chronicles)


 

 

 

perché chi ascolta il mio suono è povero e solo

   

PERCHE’ IO SON FESSO E TU UN VERO DRITTO (sotto lo stesso cielo e lo stesso tetto)

 perché io son fesso e tu un vero dritto

 

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perché io son fesso e tu un vero dritto

 

 

 

 

Me ne vado su questa vecchia strada piena di polvere

Me ne vado su questa vecchia strada piena di polvere

me ne vado su questa vecchia strada piena di polvere,

                                                                              o Signore

E non voglio più essere trattato in questo modo.

 

Me ne vado dove l’acqua ha il sapore del vino

Me ne vado dove l’acqua ha il sapore del vino

me ne vado dove l’acqua ha il sapore del vino,

                                                                o Signore

E non voglio  più essere trattato in questo modo.

 

Me ne vado dove le tempeste di polvere non soffiano

                                                                                        mai

Me ne vado dove le tempeste di polvere non soffiano

                                                                                        mai

Me ne vado dove le tempeste di polvere non soffiano

                                                                                        mai

E non voglio più essere trattato in questo modo. 

perché io son fesso e tu un vero dritto

Dicono che sono un profugo delle tempeste di polvere

Proprio così, dicono che sono un profugo delle

                                                              tempeste di polvere

Dicono che sono un profugo delle tempeste di

                                                                 polvere, o Signore

E non voglio più essere trattato in questo modo.

 

Cerco un lavoro e una paga onesta

Cerco un lavoro e una paga onesta

Cerco un lavoro e una paga onesta,

                                            o Signore

E non voglio più essere trattato in questo modo.

 

I miei figli hanno bisogno di tre bei pasti al giorno

I miei figli hanno bisogno di tre bei pasti al giorno

I miei figli hanno bisogno di tre bei pasti al giorno

                                                                        o Signore

E non voglio più essere trattato in questo modo.

 

Ci vogliono scarpe da dieci dollari per i miei piedi

Ci vogliono scarpe da dieci dollari per i miei piedi

Ci vogliono scarpe da dieci dollari per i miei piedi,

                                                                          o Signore

E non voglio più essere trattato in questo modo.

(Woody Guthrie, Goin’ Down This Road Feeling Bad)

 

 

perché io son fesso e tu un vero dritto

 

 

Questo treno va dritto verso la gloria, questo treno

Questo treno va dritto verso la gloria, questo treno

Questo treno va dritto verso la gloria

Trasporta soltanto i giusti e i devoti

Questo treno va dritto verso la gloria, questo treno.

 

Questo treno non trasporta speculatori, questo treno

Questo treno non trasporta speculatori, questo treno

Questo treno non trasporta speculatori

Neppure imbroglioni, o ladri o pezzi grossi a zonzo

Questo treno va dritto verso la gloria, questo treno.

 

Questo treno non trasporta bugiardi, questo treno

Questo treno non trasporta bugiardi, questo treno

Questo treno non trasporta bugiardi

E’ un treno affusolato che vola nella notte

Questo treno non trasporta bugiardi, questo treno. 

perché io son fesso e tu un vero dritto

Questo treno non trasporta ubriaconi, questo treno

Questo treno non trasporta ubriaconi, questo treno

Questo treno non trasporta ubriaconi

Neppure gentaglia da due soldi, o piccoli truffatori

Questo treno non trasporta ubriaconi, questo treno.

 

Questo treno non trasporta imbroglioni, questo treno,

Questo treno non trasporta imbroglioni, questo treno

Questo treno non trasporta imbroglioni

Neppure affaristi senza scrupoli o gente poco affidabile

Questo treno non trasporta imbroglioni, questo treno.

 

Questo treno non trasporta ladri, questo treno

Questo treno non trasporta ladri, questo treno

Questo treno non trasporta ladri

Neppure prostitute, o uomini da marciapiede

Questo treno va dritto verso la gloria, questo treno.

(Woody Guthrie, This Train Is Bound for Glory)

 

 

 

 

perché io son fesso e tu un vero dritto

   

PERCHE’ LE SUE CANZONI ERANO COME IL VENTO

 perché le sue canzoni erano come il vento

 

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perché le sue canzoni erano come il vento

 

 

 

 

Sapeva più canzoni di Guthrie lui che Guthrie stesso.

Cantava con quel suo accento alla Guthrie, ma erano pur sempre

parole e poesie di Woody, e suonava falso come la merda, anche

quando metteva un disco …sul piatto….

Ricordo che mi chiesi: ‘Ma perché un ragazzo così giovane vuol

essere qualcun altro?’. Perfino Fred e Fritz, che pure erano degli

appassionati di musica folk, dopo un po’ non ne poterono più.

Ma lui, implacabile, continuò fino alle tre o anche dopo.

Tra una canzone e l’altra non faceva che parlare di sé.

Disse di essere stato un vagabondo, ma vagabondi suoi amici

vedemmo quasi morire in galera…

 

perché le sue canzoni erano come il vento

 

Disse di aver conosciuto diversi cantanti e molta gente di campa-

gna. Stando al suo racconto, era stato ospite di una famiglia di

contadini, non so bene dove. ‘Gente semplice’, aggiunse. Lo ave-

vano ospitato. Ne fece le lodi: ‘Accidenti, erano la fine del mon-

do’. 

…Poi scoprimmo con rammarico che era un semplice agriturismo

dell’epoca, lussuoso per giunta, ed gli ospiti erano il loro pane…

E così era un ragazzo di strada che girava il mondo…

Veniva dal Minesota.

Le sue origini erano molto umili, così almeno capimmo, anche

perché lui ci raccontò di essere scappato di casa e, parlando dei

genitori, lasciò intendere che era gente meschina, sgradevole: 

degli zotici.

 

perché le sue canzoni erano come il vento

 

Però non disse nulla di preciso: rimase nel vago.

Era un fissato.

Cantava le canzoni che sapeva e parlava di Woody. 

Per lui l’essenziale era di arrivare a New York e trovarsi un pos-

to al capezzale di Woody, perché Woody stava morendo.

Doveva andarlo a trovare in quell’ospedale del New Jersey.

Sarebbe andato al Village, ci disse. E mi ricordo che commentai

con Fred: ‘Povero ragazzo’. Un altro illuso che si perderà nella

folla’. Ero convinta che l’avrebbero divorato vivo’.

Jennifer era nata e cresciuta nel Village: ne aveva quindi una co-

noscenza diretta, di prima mano. Sua madre è Paula Bower Smi-

th, l’attrice, e suo nonno il produttore, regista e attore Jacob Ben-

Ami con una carriera di più di mezzo secolo alle spalle e mem-

bro importante del teatro yiddish di New York e dello Eva

Le Gallienne’s Repertory Theatre.

 

perché le sue canzoni erano come il vento

 

Dopo essere rimasta per qualche ora a sentirlo suonare, Jennifer

diede a Bob delle lenzuola e una coperta. ‘Ecco la tua roba’, gli

disse, e se ne andò a dormire. Fred e Fritz lo lasciarono dopo

poco e lui si avvolse nelle lenzuola, sotto il tavolo della cucina

con la chitarra al suo fianco, pronta ad entrare in azione.

Jennifer non era la sola a pensarla in quel modo, a Madison.

Anche ad altri Dylan diede l’impressiione di essere un ragaz-

zino immaturo che stava cercando di immedesimarsi in Ghutrie

e che perciò recitava la parte del giramondo solitario a spasso

per l’America selvaggia che suona nei bar e nelle fiere.

‘Si faceva passare per un autentico professionista’, dice Fred

che all’epoca era già laureato e si stava specializzando in tea-

tro ‘ma poi quando cominciava a suonare ci rendevamo conto

che non valeva molto, prendeva appunti, telefonava troppo

spesso…, non aveva un istinto musicale molto sviluppato, 

…sembrava artificiale…tele…comandato, quel ragazzo…

Ma era simpatico e lo stavamo a sentire, malgrado tutto, fa-

ceva sempre il verso al talking-blues di Woody… non era fa-

rina del suo sacco… 

(Anthony Scaduto, Bob Dylan la biografia)

 

 

 

perché le sue canzoni erano come il vento

  

IN OGNI MOMENTO ANCHE QUANDO URLA IL VENTO

 in ogni momento anche quando urla il vento

 

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in ogni momento anche quando urla il vento

 

 

 

 


Questa incertezza l’inquieta, le fa scappare la pazienza.

La povera fanciulla non risponde alle domande, si acciglia,

è pronta a piangere.

‘Non dovremmo andare a casa?’ domando io.

‘Ma a me…a me piace scivolare’, ella dice, arrossendo.

‘Se si facesse ancora una corsa?’

‘Le ‘piace’ questo scivolare, ma intanto, salendo nella slitta, è

pallida come le altre volte, a malapena respira dalla paura,

trema.

Scendiamo giù per la terza volta, e io vedo com’ella mi guarda

in viso, sorveglia le mia labbra. Ma io porto alle labbra il fazzo-

letto, tossicchio e, quando raggiungiamo la metà del poggio,

faccio in tempo a pronunciare: ‘Io vi amo, Nadja!’

E l’enigma resta enigma!

Nadèn’ka tace, pensa a qualcosa….

Io l’accompagno dallo sdrucciolo a casa, lei cerca di andare più

adagio, rallenta i passi e aspetta sempre che io le dica quelle

parole. E io vedo come soffre la sua anima, quanti sforzi ella fa

su se stessa per non dire: ‘Non è mica possibile che le abbia det-

te il vento! E io non voglio che le abbia dette il vento!’.

La mattina del giorno dopo ricevo un bigliettino: ‘Se oggi andre-

te allo sdrucciolo, passate da me, N.’.

E da quel giorno comincio ad andare con Nadèn’ka quotidiana-

mente allo sdrucciolo e, volando giù in slitta, pronuncio ogni

volta sottovoce quelle stesse parole: ‘Io vi amo, Nadja!’

Ben presto Nadèn’ka si abitua a questa frase, come al vino o

alla morfina.

Viver senza di essa non può.

Veramente, volar giù dal poggio è pauroso come prima, ma or-

mai la paura e il pericolo conferiscono un particolare incanto alle

parole d’amore, parole che come prima costituiscono un enigma

e fanno languir l’anima.

Sospettati di pronunciarle siamo sempre noi due: io e il vento…

Chi dei due le dichiari il suo amore ella non sa, ma ormai, a

quanto pare, le è indifferente: da qualunque vaso si beva è tutt’

uno, purché si sia ebbri.

Una volta, a mezzogiorno, mi avviai allo sdrucciolo solo; mesco-

landomi alla folla, vedo che al poggio si avvicina Nadèn’ka e mi

cerca con gli occhi… Poi sale timidamente la scaletta… Fa paura

andar sola, oh, come fa paura! E’ pallida come la neve, trema,

par che vada al supplizio, ma non va, va senza guardarsi indie-

tro, risoluta.

Evidentemente, ha stabilito di provare: si potranno udire quelle

stupefacenti dolci parole, quand’io non ci sono? 

Vedo com’ella, pallida, con la bocca aperta dallo sgomento, sale

nella slitta, chiude gli occhi e, detto addio per sempre alla terra,

si muove dal posto…. ‘Zzzz’ ronzano gli strisci. Se Nadèn’ka

senta quelle parole, non so… Vedo solamente com’ella si alza

dalla slitta debole, esausta. E, lo si scorge dal suo viso, ella stes-

sa non sa se abbia udito qualcosa o no. La paura, mentre scivo-

liamova giù, le ha tolto la capacità di udire, di distinguere i

suoni, di capire…. 

Ma ecco che giunge un primaverile mese di marzo…

Il sole si fa più carezzevole. Il nostro monte di ghiaccio scurisce,

perde il suo splendore e si scioglie, infine. Smettiamo di scivola-

re. La povera Nadèn’ka non può più udire in nessun luogo quel

le parole, né c’è alcuno per pronunciarle, poiché il vento non se

ne sente, e io mi accingo ad andare a Pietroburgo: per molto tem-

po, probabilmente per sempre.

Una volta, prima della partenza, un paio di giorni avanti, son se-

duto al crepuscolo nel giardinetto, e dal cortile in cui abita Nadèn’-

ka questo giardinetto è diviso da un alto steccato fissato con chio-

di….Fa ancora piuttosto freddo, sotto il concime c’è ancora la neve,

gli alberi son morti, ma già odora di primavera e, preparandosi al

riposo notturno, gridano, rumorosamente le gracchie.

Io m’avvicino allo stecconato e guardo a lungo la fessura.

Vedo come Nadèn’ka esce sul terrazzino e fissa un triste, angosciato

sguardo nel cielo…. Il vento primaverile le soffia sul pallido volto

abbattuto…. Le ricorda quel vento che ci urlava allora sul poggio,

quand’ella udiva quelle quattro parole, e il suo viso si fa mesto,

per la guancia le scivola una lacrima…. E la povera fanciulla tende

tutt’e due le mani, come pregando questo vento di recarle ancora

una volta quelle parole.

E io, dopo aver atteso che soffi il vento, dico a mezza voce:

‘Io vi amo, Nadja!’

Dio mio, che cosa avviene di Nadèn’ka! Ella manda un grido, sorri-

de con tutto il volto, e tende incontro al vento le mani, gioiosa, feli-

ce, così bella!

E io vado a far le valigie….

Questo è stato ormai da un pezzo.

Adesso Nadèn’ka è già maritata; l’hanno sposata, o s’è sposata, fa

lo stesso, al segretario del consiglio nobiliare di tutela, e ora ha già

tre bambini. Come noi un tempo andavamo insieme allo sdrucciolo

e come il vento portava a lei le parole…’Io vi amo Nadèn’ka’, ella

non l’ha dimenticato; per lei adesso è questo il più felice, il più

commovente e bel ricordo della vita….

E a me, ora che mi son fatto più vecchio, riesce ormai incomprensi-

bile perché dicessi quelle parole, a che scopo scherzassi…. 

(Anton Cechov, Racconti)

 

 

 

 

in ogni momento anche quando urla il vento