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Alcune lettere del Silvio Pellico:
….Sullo scorcio del 1820, quando cioè la polizia del Lombardo-
Veneto abbandonò i criteri di tolleranza che aveva fin allora se-
guito, (per compiacere altri interessi…), un nome cominciò a
circolare su tutte le bocche, pronunciato con un misto di rispet-
to, di paura e di odio: quello dell’Inquisitore Antonio Salvotti.
I patrioti lo dipingevano come un rinnegato senza scrupoli, che
sottoponeva gl’imputati a ogni sorta di torture per strappargli
le confessioni al solo scopo di mettersi in buona luce (con i suoi
padroni e signori…) presso il governo imperiale, e nello stesso
tempo assicurarsi una certa carriera e adeguata agiatezza.
Salvotti era un magistrato che si era messo al servizio dell’Im-
pero austriaco perché nell’Austria ci credeva, cioè credeva nel
sistema politico di cui l’Austria rappresentava il puntello e la
garanzia…ed il tornaconto economico (pur virtualmente attento
nell’apparenza, alle fragili vicissitudini della povera Italia).
Secondo qualcuno vi spiegò zelo (ben al di là di un normale
magistrato che persegue presunti reati….).
Il processo che lo mise in luce fu quello a carico di 34 carbona-
ri, fra cui alcuni nobili e tre sacerdoti, arrestati nel 19. A fare i
loro nomi era stato il capo della ‘vendita’ a cui appartenevano,
Villa.
Costui non era un traditore; lo diventò per debolezza sotto l’
interrogatorio, in cui spiattellò tutto e giunse perfino ad offrir-
si come delatore della polizia.
Dal carcere in cui si trovavano rinchiusi, ma da cui potevano
comunicare con l’esterno, gli altri riuscirono a fabbricarsi degli
alibi con lettere retrodatate. Ma Salvotti nella profonda sua per-
fidia al guinzaglio del suo signore e padrone, smontò loro ogni
possibilità di sopravvivenza in quella terra di sudditanza. Li
condusse uno per uno alla confessione.
Non si può infierire contro questi uomini che pagarono con la
galera le loro colpe. Il tribunale grazie al suo operato, pronun-
ciò contro gli stessi suoi connazionali ben otto condanne a morte!
Nell’ottobre di quello stesso anno 1820, la polizia con delazioni
sommarie, come i precedenti casi, trasse in arresto un altro indi-
ziato, lo studente di musica Pietro Maroncelli. Costui aveva già
conosciuto la prigione nella sua Forlì che apparteneva agli Stati
della Chiesa, se l’era cavata con l’esilio perché le autorità papa-
line si erano fatte di lui la stessa opinione che Salvotti si era fat-
ta di Villa e compagni.
Sebbene traumatizzato da quell’avventura, appena arrivato a
Milano non solo si era rimesso a cospirare, ma aveva attratto nel-
la Carboneria anche un altro giovane di cui era diventato grande
amico: Silvio Pellico.
Silvio Pellico era un intellettuale che aveva abbandonato Torino
per sottrarsi alla sua asfissiante atmosfera. A Milano aveva cono-
sciuto Foscolo, di cui era da sempre un fervente ammiratore e n’
era diventato praticamente il segretario.
Un giorno gli aveva dato in visione il testo di una tragedia, la
‘Francesca da Rimini’, in cui c’erano degli altisonanti appelli al-
la patria. Foscolo li aveva apprezzati, ma non aveva apprezzato
tutto il resto, e gli aveva consigliato di mettere quel dramma in
un cassetto e di non pensarci più.
Mortificato nelle sue ambizioni, Pellico lo diede in lettura alla
più grande attrice del tempo, Carlotta Marchionni, che lo aveva
rappresentato. Contrariamente alle previsioni del Foscolo, Pel-
lico ottenne un grande successo, e raggiunse la notorietà meri-
tata.
Carlotta conviveva con una cugina, Teresa, che per questo tutti
credevano sua sorella e che era corteggiata da Pellico, mentre
Carlotta era corteggiata da Maroncelli.
Fu così che l’arte si sposò alla cospirazione.
Pellico, che vi era predisposto dalla sua fede patriottica e demo-
cratica, vi si buttò a capofitto con piena fiducia nel suo iniziatore
che non ne meritava molta: non già per la sua disonestà, ma per
la sua avventatezza e faciloneria. Lo dimostra il fatto che, quan-
do lo arrestarono, gli trovarono addosso delle carte che compro-
mettevano irreparabilmente parecchie altre persone, fra cui an-
che il Pellico.
Salvotti non si fece attendere, e da buon cane fedele al padrone
accorse verso le ‘eretiche’ pagine di cospirazione patriottica ai
danni dell’Imperatore.
Maroncelli, il musicista, capitolò in soli due interrogatori, e fi-
nì per l’ammettere tutte le proprie colpe coinvolgendovi anche
un certo Canova che, a sua volta, per una fitta rete di delazioni,
confermò anche la complicità del Pellico.
Pellico, braccato fino sulle montagne del Piemonte, non si per-
se d’animo e per Salvotti fu una vera manna. Ora aveva in mano
tutti gli esponenti della cospirazione. Alcuni avvertiti in tempo,
si misero in salvo con la fuga, ma tutti gli altri furono arrestati.
(prosegue….)