NEGLI STESSI ANNI (leggende del West: Butch Cassidy & Sundance Kid)

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negli stessi anni (8)









Durante la guerra scoppiata nel 1892 nella contea di Johnson tra i proprietari

di mandrie e i concessionari dei terreni, Butch e i suoi amici presero parte al

conflitto simpatizzando per coloro che rubavano animali alle grandi aziende

di bestiame.

Talvolta la banda di Butch si ritrovava con i fuorilegge locali in una valle a

cui si poteva accedere soltanto da un passaggio in mezzo a una parete scoscesa

di roccia rossa, attraverso cui poteva passare un solo uomo a cavallo per volta.

Era il famoso ‘Hole-in-the-Wall’ del Wyoming, circa 330 chilometri a nord-est

di Brown’s Park, che fu poi il nome con cui diventò famosa da quelle parti la

banda di fuorilegge.


holewall2.jpg


La prima volta che il nome di Butch Cassidy comparve nei registri giudizari

del Wyoming fu probabilmente nel 1892 quando venne arrestato per aver

rubato un cavallo del valore di cinque dollari da un ranch nella contea di

Fremont. Butch sostenne di aver acquistato il cavallo da un ladro di bestiame

e le udienze e i rinvii del processo si protrassero fino alla condanna a due

anni di lavori forzati emessa il 10 luglio 1894.


Resident of Robbers Roost.jpg


Nonostante nel gennaio del 1896 avesse ottenuto la libertà condizionale

prima della fine della condanna, Cassidy, che aveva compiuto ormai trent’anni,

era così furente per aver dovuto scontare quella che lui giudicava una detenzione

ingiusta, che non vedeva l’ora di ritrovare i suoi vecchi compari per riprendere

a commettere crimini ben peggiori del furto di un cavallo da cinque dollari.

Il 13 agosto svaligiò la banca di Montpelier, nell’Idaho, insieme a Elzy Lay e


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Bob Meeks. Per il colpo si attrezzarono distribuendo cavalli ogni venticinque

chilometri circa su una via di fuga di oltre 150 chilometri in modo da poter

sempre contare su animali freschi e veloci. Questa tattica non era un’invenzione

di Butch ma fu lui a perfezionarla.

Quando Sundance si unì alla banda, i percorsi di fuga diventarono sempre più

lunghi e i cavalli sempre più veloci.

I cronisti che diffusero la notizia del furto di Montpelier non concordavano

sulla direzione che pensavano avesse preso la banda. Alcuni sostenevano

che fossero andati a Hole-in-the-Wall, altri a Robber Roots, soprannominata

‘la tana dei fuorilegge’, un’area montagnosa e deserta nello Utah sud-orientale

caratterizzata da profondi canyon e alti picchi.


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Butch quasi certamente passò l’inverno tra il 1896 e il 1897 a Robber Roots

insieme alla sua banda e alle loro donne in confortevoli capanne di legno e

tende. Fu probabilmente in questo periodo che strinse una profonda amicizia

con Harry Longabaugh, soprannominato Sundance Kid.


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Anche Elzy Lay si trovava lì con la nuova moglie Maude, e Sundance

probabilmente era insieme alla compagna Etta Place.

C’è un fitto alone di mistero attorno alla bruna Etta Place, se questo era il

suo vero nome.

Era la nipote del conte di Essex?

Una giovane maestra di musica di Denver o di Telluride?

O era forse Betty Price di Hell’s Half Acre, vicino a San Antonio?


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Le sue origini così come la sua fine sono nascoste nella nebbia di cui tutte

le leggende sui fuorilegge sono circondate.

Nella primavera del 1897, Butch si trovò probabilmente a corto di soldi e il

21 aprile si diresse insieme a Elzy Lay verso Castle Gate, nello Utah. Qui


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smontarono da cavallo, aspettarono l’arrivo del vagone ferroviario con

gli stipendi della compagnia carbonifera di Pleasant Valley e, fermato il

treno, armi in pugno, prelevarono tutto il denaro. Ciò che rese quel colpo

celebre è il fatto che, mentre avveniva la rapina, tutti i minatori erano lì

vicino, in fila, in attesa della paga. I poveri lavoratori rimasero attoniti

mentre Butch e Elzy montarono in sella e fuggirono al galoppo verso il

loro covo.


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A questo colpo ne seguirono altri, quasi altrettanto arditi, a vari convogli

ferroviari, ma nel frattempo iniziarono anche ad arrivare diversi investigatori

di Pinkerton, decisi a mettere fine alle scorrerie. Si trattava di veri e propri

cacciatori di teste che spargevano volantini con la descrizione dei sospetti

fuorilegge. Per la prima volta gli sceriffi del West poterono vedere un’imma-

gine della famosa banda.


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Nel 1898, Butch Cassidy fu descritto come alto un metro e settanta per 75 chili

di peso, carnagione chiara, capelli biondi, occhi azzurri e una piccola cicatrice

rossa sotto l’occhio sinistro.

Langaubaugh, alias Sundance Kid, sembra fosse alto più o meno come

Butch, ma con la carnagione più scura, capelli neri con la riga e baffi neri molto

curati. Per nascondere la loro identità agli uomini della sorveglianza sui treni

e agli investigatori, i banditi portavano maschere sul viso, il che rendeva

piuttosto difficile sia per i cronisti che per gli sceriffi capire quali dei vari

colpi commessi in quel periodo fosse opera di Butch Cassidy, di Sundance

Kid o di quale altra banda.


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Proprio come accadde a Geronimo, che fu accusato di quasi tutti gli attacchi

indiani avvenuti nel decennio precedente nei territori del Sud-est, al

‘mucchio selvaggio’ furono praticamente attribuite tutte le rapine ai treni

anche se venivano fatte a centinaia di miglia l’una dall’altra.

(Dee Brown, Lungo le rive del Colorado)





 

 
 
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NEGLI STESSI ANNI (leggende del West: Butch Cassidy & Sundance Kid)

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Come gli dei dell’Olimpo, i fuorilegge del vecchio West occupano i posti

più alti della mitologia americana.

Proprio perché Butch Cassidy e Sundance Kid vissero in tempi così vicini

a noi, prima del 1969 erano poco più di due semidei. Quell’anno uscì un

film su di loro che fece nascere un vero e proprio caso ed alimentò la

curiosità attorno a Butch, Sundance e la loro banda (qualche anno più

tardi avverrà la stessa cosa con ‘Pat Garrett & Billy the Kid); tanto che

in poco tempo diventarono detentori del posto d’onore nell’Olimpo dei

fuorilegge americani.


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Quando Butch e Sundance si incontrarono per la prima volta avevano

trent’anni; uno era cresciuto nello Utah, l’altro nel Wyoming. Finché non

diventarono adulti usarono i loro veri nomi.

Butch all’anagrafe era Robert LeRoy Parker, nato il 13 aprile 1866 nei

pressi di Beaver, nello Utah.


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Sundance si chiamava Harry Longabaugh. Le sue origini non sono certe.

Alcune fonti lo dicono nato a Plainfield, nel New Jersey, altre nella contea

di Lancaster in Pennsylvania. La sua data di nascita oscilla tra il 1866 e il

1870.


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Dal dossier dell’Agenzia Investigativa Nazionale conservato a Pinkerton,

risultava aver rubato un cavallo, da ragazzo, ed essere stato in prigione per

18 mesi a Sundance, nel Wyoming. Fu rilasciato il 4 febbraio 1889.

Durante il breve periodo in cui lavorò in un ranch nel Wyoming, si dice che

riuscì a battere tre cowboy, a minacciare di uccidere un cuoco e compiere

una rapina a mano armata nella città di Lusk.


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Qualunque osservatore imparziale dei due futuri fuorilegge avrebbero detto

che tra i due il capo sarebbe dovuto essere quella canaglia di Harry Longabaugh.

Robert LeRoy Parker sembrava uno con la testa sulle spalle, un bravo ragazzo

cresciuto in una famiglia mormore di grandi lavoratori nella campagna

rurale presso il Sevier River, nello Utah centrale. I suoi antenati furono i

pionieri di piccoli mezzi artigianali di locomozione, mormoni che nel 1856

viaggiavano per le Grandi Pianure spingendo rudimentali trabiccoli.

Chiunque avrebbe giurato che sarebbe diventato un bravo cowboy o il

proprietario di un ranch dalle parti della Circle Valley. Alcuni dicono che

furono le ‘cattive compagnie’ a portare sulla strada del crimine il giovane

Parker, altri dicono che la responsabilità della sua generazione, cresciuta

in quel tempo e in quel luogo dell’America.


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Era l’epoca dei grandi ladri, del libero commercio che si sviluppava incurante

dell’interesse generale.

Nel West, i piccoli proprietari di ranch e i contadini guardavano alle

grandi industrie finanziate dagli stati orientali o dall’Europa come nemici

mortali che si prendevano tutti i terreni migliori, monopolizzavano le

risorse acquifere ed erano coinvolti nella corruzione legata allo sviluppo

delle ferrovie.


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Quando Robert LeRoy Parker era ancora un ragazzino, incontrò un cowboy

di nome Mike Cassidy che gli insegnò non solo a cavalcare, tirare il lazo,

marchiare gli animali, ma anche a rubare bestiame e cavalli. Mike Cassidy,

diventò un vero e proprio eroe per il giovane Parker e, quando l’uomo dovette

abbandonare il paese per sfuggire alla giustizia, la gente iniziò a sospettare

del ragazzo e dei suoi amici per i successivi furti di cavalli e bestiame.

(Dee Brown, Lungo le rive del Colorado)





 

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STELLE CHE NON TRAMONTANO: URSA MINOR 2


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Flammaron, per esempio, basandosi su una parallasse misurata

da Peters nel 1842, attribuiva alla Polare una distanza di appena

42 anni-luce e aggiungeva un curioso riferimento:” La distanza

di questo remoto sole è tale che un treno ‘express’ il quale, a 60

chilometri all’ora,  raggiungerebbe il Sole in 266 anni, dovrebbe

correre ininterrottamente per 722 milioni di anni per giungere

alla Polare!”.

Ma oggi noi sappiamo che questa cifra dovrebbe essere molti-

plicata per sette.

Dopo aver guidato per secoli marinai e viaggiatori, la Polare

rimane ancora un oggetto interessante per gli astronomi dilet-

tanti: è infatti una stella doppia che può essere vista con piccoli

telescopi, da 6 centimetri di obiettivo in su.

La compagna è di nona magnitudine e si trova 18″ dalla principale, 

separazione tutt’altro che piccola, ma non sempre è facile scorgere

la stella secondaria a causa della forte differenza di luminosità.

William Herschel è stato il primo a individuarla nel 1780.

La distanza reale tra i due astri è circa duemila volte quella Terra-

Sole.

Dallo spettro della stella secondaria si può dedurre che la sua

magnitudine assoluta deve essere 3,2 e quindi la distanza risulta

di 360 anni-luce.

Benché appaia così debole, la sua luminosità è dunque quattro vol-

te quella del Sole.

Finora, in due secoli, l’angolo di posizione delle due stelle è cam-

biato appena.

Il periodo orbitale è quindi di parecchie migliaia di anni.

Il sistema della Polare è in realtà triplo, ma il terzo oggetto è

invisibile.

Da osservazioni della velocità radiale fatte sullo spettro, già nel

1896 Campbell incominciò a sospettare questa presenza misteriosa. 






 

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STELLE CHE NON TRAMONTANO: URSA MINOR

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stelle-di-primavera.html




     



Per la sua posizione così vicina al polo l’Orsa Minore è tra le   iujhnbh.jpg 

costellazioni più conosciute fin dai tempi antichi, presso tutti 

i popoli.

I pellirosse tramandono un mito secondo cui un gruppo di

guerrieri smarritisi nella foresta avrebbero visto apparire una

fanciulla che indicò loro la Polare per aiutarli a ritrovare

l’accampamento.

Meno allegra la mitologia araba, che vide nel Piccolo Carro una

piccola bara, nella Polare un assassino condannato per i suoi delitti

all’immobilità e nel Gran Carro una grande bara che ospita il cadavere

di un nobile guerriero trucidato dall’assassino.

I mongoli chiamarono l’Orsa Minore ‘costellazione della calamita’,

avendo già scoperto che in quella direzione si orienta l’ago della

bussola.

uijhnbhg.gif I cinesi vedevano nelle sue stelle la dea Tou Mu, protettrice

dei naviganti.

Nella mitologia greca le due Orse sono gruppi stellari nei

quali furono trasformati la ninfa Callisto e suo figlio Arcade.

Callisto era amata da Giove: la trasfigurazione di lei e di suo 

figlio nei due goffi animali fu opera di Giunone, moglie gelosa del re degli dèi.

La polare, Alfa Ursae Minoris, chiamata Double dai fenici e Alruccabah

dagli arabi, è certamente la stella più famosa di tutti i cieli, incluso

l’australe, che non ha nessuna stella più luminosa della terza magni-

tudine a meno di 12 gradi dal polo sud.

Cantata per la sua ‘fissità’ da poeti grandi e meno grandi, la Polare ha

magnitudine 1,99 ed è lievemente variabile. 

Dista da noi circa 350 anni-luce, ma questo dato ha un notevole mar-

gine di incertezza, in quanto la parallasse è molto piccola e per la

stima occorre far riferimento ad altre tecniche, meno precise.







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L’ASCESA DAGLI INFERI

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In base alle ultime scoperte, è chiaro che nella Terra esiste un esteso

mondo vivente sotterraneo, la maggior parte del quale sta appena

iniziando a rivelarsi.

La biomassa complessiva laggiù deve essere enorme.

Se i batteri proliferano fino a una profondità di mezzo chilometro

o più, come indicano le indagini, significa che, sommandoli nell’

intero pianeta, ammontano a un decimo della biomassa della Terra.

Questa potrebbe essere una stima per difetto, perché ci sono microbi

che vivono allegramente a profondità più considerevoli. Se il limite 

che possono sopportare è 110° C., il regno dei microbi potrebbe estendersi

fino a 4 chilometri di profondità sotto le terre emerse e a 7 chilometri sotto

il fondale degli oceani. Se poi si deve credere a Parkes, la soglia di

temperatura potrebbe arrivare a 170° C. e la zona abitabile si spingerebbe

ancora più in basso.

Una domanda che sorge spontanea è in quale modo questi organismi

siano arrivati inizialmente a simili profondità. Si sono infiltrati nelle

rocce dall’alto, trascinati dalle acque sotterranee? O sono rimasti

intrappolati nei sedimenti fin dai tempi remoti in cui si sono formati?

Sembra plausibile che entrambe le vie siano state percorse in qualche

misura. Queste spiegazioni però partono dal presupposto che la vita

di superficie sia ‘normale’ e quella sotterranea rappresenti un’inusitata

forma di adattamento.

Ne siamo sicuri?

Non può essere che il ragionamento vada fatto a rovescio, e che la verità

sia proprio l’opposto?

Ci sono parecchie ragioni per cui il fondale marino o, meglio ancora, i

sottostanti sedimenti rocciosi appaiono l’ambiente più adeguato per l’

origine e l’iniziale evoluzione della vita. Le più ovvie riguardano il pericolo

degli impatti cosmici di cui si è già parlato. La violenza della seconda

fase di intensi bombardamenti avrebbe sterilizzato più volte la superficie

terrestre; con le rocce vaporizzate che facevano ribollire gli oceani e

fondere le terre emerse, le condizioni sarebbero state letali per almeno

qualche decina di metri di profondità.

Ma più giù i microrganismi possono aver resistito anche agli impatti più

forti. Un ulteriore rischio per chi risiedeva in superficie nel lontano

passato era la radiazione ultravioletta.

In assenza dello scudo di ozono, la luce solare sarebbe risultata micidiale.

Le eruzioni vulcaniche, più estese che ai nostri giorni, avrebbero eruttato

immensi nugoli di polvere. Le variazioni climatiche dovute alle particelle

in sospensione e ai cambiamenti della pressione atmosferica causati dal

bombardamento erano, con ogni probabilità, estreme.

Sotto la superficie, viceversa, le condizioni sarebbero state molto più

stabili e uniformi. Un ulteriore vantaggio di una posizione in profondità

era la disponibilità immediata delle materie prime necessarie alla vita.

(Paul Davies, Da dove viene la vita)





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IN FONDO ALL’OCEANO (il viaggio prosegue)

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Qualsiasi viaggio al centro della Terra terminerebbe inevitabilmente

con l’incenerimento!

Il sogno d Verne che potesse esistere la vita sotto la superficie terrestre

sembrava ridicolo. I biologi sapevano bene che gli strati superficiali del

suolo contengono batteri e che le caverne calcaree possono essere popolate

da organismi dotati di specifici adattamenti, ma al di là di queste eccezioni

il pianeta era stato dichiarato morto dal suolo in giù.


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Un’opinione molto  simile era diffusa riguardo agli abissi oceanici.

Non c’era granché che potesse sopravvivere – si pensava – al di sotto della

zona fotica, cioè degli strati superficiali dell’acqua illuminati dalla luce solare.

La scoperta degli ecosistemi dei ‘black smokers’ ha stravolto completamente

il quadro. Ma se i supermicrobi riescono a vivere a parecchi chilometri di

profondità sotto i mari, perché non possono esistere anche a diversi chilometri

nel sottosuolo dei continenti?

In realtà gli indizi dell’attività biologica che si svolge a grandi profondità

sarebbero stati tutt’intorno a noi, se solo i geologi avessero saputo cosa

cercare.


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Nonostante i crescenti segni di vita sotterranea, l’opinione dominante secondo

cui la crosta terrestre è sterile non è davvero mutata fino alla fine degli anni

70. A quell’epoca i governi sovvenzionavano le ricerche sullo smaltimento

dei rifiuti nucleari. Il materiale radioattivo era stato seppellito negli strati

profondi nella convinzione che lì potesse giacere inerte, ma gli studi sulle

acque sotterranee avevano già segnalato che nelle falde freatiche potevano

vivere batteri, mentre i campioni di roccia estratti dai carotaggi recavano

segni rivelatori dell’attività batterica.

A poco a poco agli scienziati è apparso chiaro che, se i microbi erano in

grado di invadere le falde acquifere profonde, potevano anche introdursi

nei rifiuti nucleari seppelliti, corrodere il contenitore e liberare il materiale

radioattivo nell’ambiente. Preoccupazioni analoghe cominciavano a emergere

nell’industria petrolifera, quando ci si è resi conto che i batteri possono

anche infiltrarsi nei depositi di petrolio e degradarlo.

Ma ancora alla fine degli anni 80 la maggior parte degli scienziati era restia

ad ammettere che la vita potesse prosperare ben al di sotto della superficie

terrestre.

Per convincere gli scettici c’è voluto il recupero i microrganismi vivi.

In pozzi di trivellazione di tre chilometri scavati in sedimenti del Triassico

a Taylorsville, in Virginia, sono stati scoperti bacilli ipertermofili unici,

uno dei quali ha ricevuto il fantasioso nome di ‘Bacillus infernus’.

I microbi localizzati più in superficie tendevano a essere mesofili, cioè

capaci di crescere in ambiente molto caldo, ma non rovente; sotto

i 2 chilometri prevalgono invece i termofili. I responsabili del progetto

hanno stimato che il sito di Taylorsville sia popolato dai microbi di

almeno 140 milioni di anni.

Alcune aree, come la dura roccia della miniera di Stripa in Svezia,

sono dominate da una manciata di specie, mentre i friabili sedimenti

costieri del South Carolina ospitano comunità formate da centinaia

di varietà diverse. L’inventario complessivo delle specie microbiche

di profondità ne conta attualmente alcune migliaia, e si sono ottenuti

campioni con dieci milioni di batteri per grammo.

Le rocce sotto i nostri piedi cominciano ad apparire brulicanti di

minuscole forme di vita.

Ora che l’esistenza degli estremofili sotterranei è stata accettata,

gli studiosi si stanno precipitando a riscrivere i libri di testo.

(P. Davies, Da dove viene la vita)





 

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IL VIAGGIO COMINCIA

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La Nasa ha da tempo inaugurato un programma di ‘esobiologia’, la

ricerca della vita altrove nell’universo. Tra i suoi ben noti interessi

spiccano il programma Seti, cioè la ricerca di vita extraterrestre, e

le sonde inviate su Marte.

Negli ultimi tret’anni, una profusione di energie è stata dedicata a

una serie di esperimenti mirati a scoprire le origini abiotiche delle

molecole organiche che fungono da mattoni dei sistemi viventi per

come li conosciamo noi.

Nell’estate del 1997, la Nasa era impegnata a formulare i principi

di quella che oggi chiamiamo ‘astrobiologia’: un tentativo di comprendere

l’origine, l’evoluzione e le caratteristiche della vita in qualunque luogo

nell’universo.

Un indizio del potenziale impatto dell’astrobiologia risale nell’agosto

del 1997, con le notizie provvisorie ma cariche di eccitazione del ritrovamento

in Antartide di un meteorite di Marte, che, annunciavano gli scienziati

della Nasa, avrebbe potuto recare le prove di una primitiva forma di

vita microbica marziana.


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La Casa Bianca organizzò la ‘Space Conference’, un convegno di un giorno

a cui ebbi il piacere di essere invitato, presediuto dal vicepresidente Al

Gore. Egli diede inizio all’incontro rivolgendo al gruppo una domanda

piuttosto inattesa: ‘se si rivelasse vero che la roccia marziana ha realmente

ospitato vita microbica fossile, quale sarebbe il risultato meno interessate?’.

Per un attimo sulla sala calò il silenzio.

Poi, Stephen Jay Gould diede la risposta che molti di noi devono aver considerato:

‘La vita di Marte si rivela sostanzialmente identica alla vita terrestre: stesso

DNA e RNA, stesse proteine, stesso codice’.


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Se così fosse, tutti noi immagineremo la vita che svolazza di pianeta in pianeta

nel nostro sistema solare. Sembra che il tempo di transito minimo affinché

un granello di suolo marziano proiettato nello spazio arrivi sulla Terra sia

di circa 15.000 anni. Le spore possono sopravvivere così a lungo in condizioni

di essiccamento.

– E quale sarebbe, proseguì il vicepresidente,

– il risultato più interessante?

– Be’, molti di noi esclamarono a più voci nella sala,

– la vita di Marte è radicalmente differente dalla vita terrestre.

– Se è radicalmente differente, allora la vita non deve essere improbabile.

– Se è radicalmente differente, allora la vita potrebbe abbondare tra la miriade

di stelle e di sistemi solari, su pianeti lontani suggeriti dalla nostra astronomia

attuale.

– Se è radicalmente differente e abbondante, allora non siamo soli.

– Se è radicalmente differente e abbondante, allora abitiamo in un universo gravido

di creatività che crea vita.

(S. Kauffman, Esplorazioni evolutive)







 

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IL ROSSO IL NERO…E L’ERETICO (3)

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l'eretico

 







….E se dovessimo giudicare questi ‘legislatori’ in base ai puri effetti delle

loro azioni, senza considerare, in parte, le loro intenzioni, meriterebbero

di essere trattati e puniti come quei banditi che intralciano i binari.

Ma per parlare chiaramente e da cittadino, io, a differenza di coloro che

si dichiarano anarchici, non chiedo un’immediata abolizione del governo,

ma chiedo immediatamente un governo migliore. 

 

l'eretico


Che ognuno faccia sapere che tipo di governo ispirerebbe il suo rispetto:

sarà il primo passo per riuscire ad averlo. Dopo tutto, la ragione concreta

per cui – una volta che il potere sia nelle mani del popolo – si permette

a una maggioranza di governare per un lungo periodo di tempo, non

sta nella considerazione che essa sia nel giusto, né che ciò sembri giusto

alla minoranza. Il fatto è che la maggioranza è fisicamente più forte. 

 

l'eretico


Ma un governo nel quale in ogni caso comanda la maggioranza non può

essere basato sulla giustizia, neppure entro i limiti in cui la intendono

gli uomini.

Non può esistere un governo dove non sia la maggioranza a stabilire,

virtualmente, il giusto e lo sbagliato, ma la coscienza? In cui la 

maggioranza decida soltanto in merito alle questioni alle quali si

applichi la regola dell’opportunità? O il cittadino deve sempre – anche

solo per un momento – rimettere la propria coscienza a quella del

legislatore? Ma allora perché ogni uomo ha una coscienza?

Dovremmo essere prima di tutto uomini, e poi sudditi.

 

l'eretico


Non c’è da augurarsi che l’uomo nutra rispetto per la legge, ma che 

sia devoto a ciò che è giusto. Il solo abbligo che ho il diritto di arrogarmi

è quello di fare sempre e comunque ciò che ritengo giusto.

E’ abbastanza vero quanto si dice delle corporazioni – e cioè che non

hanno coscienza; ma tuttavia una corporazione costituita da uomini

coscienziosi è pur sempre una corporazione con una coscienza.

La legge non ha mai reso gli uomini più giusti, neppure un po’;

anzi, proprio a causa del rispetto delle leggi perfino gli uomini di

buoni princìpi si trasformano quotidianamente in agenti di ingiustizia.

 

l'eretico


Ecco un esempio comune e innaturale dell’irragionevole rispetto che

si ha per la legge: capita di vedere una colonna di soldati – colonnello,

capitano, caporale, soldati e trasportatori di munizioni – tutti in marcia,

andare in guerra per monti e valli, contro la loro stessa volontà e

persino contro il loro buon senso e la loro coscienza.

Cosa che rende la marcia davvero faticosa, che fa palpitare il cuore.

Non hanno alcun dubbio sul fatto di trovarsi in un maledetto pasticcio;

sono tutti uomini pacifici.

Ma ora, cosa sono?

Forse uomini?

O piuttosto fortini e magazzini ambulanti di munizioni e armi, al servizio

di qualche potente senza scrupoli?

Andate all’arsenale e prendete un marine: ecco gli uomini che il governo

americano riesce a creare.

Vedete come può ridurli.

Mere ombre, vaghi ricordi d’uomini, uomini ancora vivi e già sepolti sotto

le armi, con tanto di cortei funebri, anche se, a volte, può accadere che 

 

Non un tamburo echeggiava, non una nota funebre,

mentre in fretta trasportavamo il suo cadavere al riparo;

non un soldato sparò un colpo d’addio.

 Sopra il sepolcro dove seppellimmo il nostro eroe.

 

Nella maggior parte dei casi non vi è alcun libero esercizio né della

facoltà di giudizio né del senso morale; si mettono al livello del legno,

della terra e della pietra. Forse, si potrebbero addirittura fabbricare

uomini di legno che servano altrettanto bene la causa. 

 

l'eretico


Uomini simili non incuterebbero maggior timore se fossero fatti di 

paglia o di sterco. In un certo senso hanno lo stesso valore dei cani

e dei cavalli. E ciò nonostante, uomini simili sono comunemente

ritenuti essere buoni cittadini.

Altri invece – come la maggior parte dei politicanti, dei legislatori,

degli avvocati, dei preti e dei burocrati – servono lo Stato soprattutto

con la testa; e data la loro ritrosia nel compiere distinzioni morali,

hanno le stesse probabilità di servire Dio come il Diavolo, ma

sempre senza volerlo. 


l'eretico


Pochissimi invece – eroi, patrioti, riformatori in senso ampio e uomini

– servono lo Stato con la loro coscienza; e così, necessariamente, si

trovano in contrasto col governo, che è solito trattali alla stregua di

nemici.

Un uomo saggio servirà solo come uomo e non si piegherà a essere

‘argilla’ né a ‘tappare un buco per non far entrare il vento’, ma piuttosto

lascerà questo compito alle sue ceneri:

 

Sono di nascita troppo nobile per diventare proprietà di qualcuno,

per essere il secondo al comando, o bravo servo e strumento, di

qualsiasi Stato sovrano al mondo….

(H.D. Thoreau, Uomini non sudditi)

Dello stesso autore:

vita-senza-principi.html

dove-ho-vissuto-e-perche.html





 

 

l'eretico

 

IL ROSSO IL NERO…E L’ERETICO (1)

 

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Prosegue in:

il-nero.html &






 

I Chiricahuas – così come tutti gli Apaches e, in generale, i nativi americani

– vivevano in rapporto con la natura, in modo certamente aspro e, perfino

violento, ma totalmente simbiotico: erano convinti di essere parte della

natura, così come la natura era parte di loro. 

 

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E’ famosa la frase con cui Alce Nero rispose a chi lo invitava ad abbandonare

i costumi ancestrali legati al nomadismo e alla caccia per dedicarsi, nella

riserva, all’agricoltura: ‘E come posso io affondare il mio coltello nel ventre

della mia madre terra e squarciarlo? E dove potrò riposare quando sarò

morto se avrò squarciato il ventre di mia madre?’.

…Due culture, due concezioni del mondo si fronteggiavano, irriducibilmente:

da un lato la convinzione dei ‘primitivi’ nativi della propria appartenenza

alla natura, della identificazione con essa e, dunque, del rispetto sacrale

dovutole; dall’altra la concezione che i civilissimi bianchi avevano della

natura come realtà ‘altra’, estranea all’essere umano, che poteva e doveva

assoggettarla, trasformarla incondizionatamente, sfruttarla illimitatamente.

Da in lato, un popolo – spinto dalla propria identificazione con la natura –

a difenderla a prezzo del proprio sangue; dall’altra una moltidudine di

individui il cui attaccamento alla terra era basato sulla unilaterale pretesa

di suo sfrenato sfruttamento volto alla possibilità di trarne il massimo

profitto, a qualunque costo.

Due concezioni dicotomiche, assolutamente irriconciliabili: per gli

indiani la impossibilità di esistere senza la natura di cui si è parte,

per i bianchi la volontà di dominarla, a costo di distruggerla.

(Geronimo, La mia storia)




 

 


 

 

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OPERAZIONE GERONIMO (5)

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….Ma essi non erano i soli.

Eskiminzin degli Aravaipa che era diventato economicamente indipendente

nel suo ranch sul fiume Gila, fu arrestato sotto l’accusa di avere avuto rapporti

con un fuorilegge noto come Apache Kid. Eskiminzin e i quaranta Aravaipa

superstiti furono mandati a vivere con i Chiricahua in Florida.

In seguito tutti questi esiliati furono trasferiti a Mount Vernon Barracks, nell’

Alabama.


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Se non fosse stato per gli sforzi di alcuni amici bianchi come Brook, Clum e

Scott, gli Apache sarebbero stati presto sepolti sotto terra in quel posto infestato

da febbri malariche sul fiume Mobile.


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Malgrado le obiezioni di Cappotto d’Orso Miles e del dipartimento della Guerra,

riuscirono a far ritornare a San Carlo Eskiminzin e gli Aravaipa. I cittadini dell’

Arizona tuttavia si rifiutarono di riammettere nello stato i Chiricahua di Geronimo.

Quando i Kiowa e i Comanche appresero dal tenente Scott la situazione in cui

si trovavano i Chiricahua, offrirono ai loro vecchi nemici apache una parte

della loro riserva.


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Nel 1894 Geronimo accompagnò i sopravvissuti a Fort Sill, dove, quando morì

nel 1909, ancora prigioniero di guerra, fu sepolto nel cimitero apache.

Circola ancora una leggenda che poco tempo dopo la sepoltura, le ossa furono

segretamente dissepolte e portate da qualche parte nel Sud-ovest: forse sui

Mogollon, o sui monti Chiricahua, o nel cuore della Sierra Madre nel Messico.

Egli fu l’ultimo dei capi apache.

(Dee Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee)





 

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