IL BOSCO

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Fu il 15 giugno che il colonnello ordinò l’inizio dei tagli nel Bosco

Vecchio.

Evitato definitivamente il pericolo di Matteo, Sebastiano Procolo

ordinò che si abbattesse una lista di piante in corrispondenza del

centro della foresta; si apriva così un varco utile per l’eventuale

trasporto di altri tronchi dalla sommità della valle.

Gli operai attaccarono un grandissimo abete rosso di circa 40 metri,

al limite del bosco.

Verso le 15,30 il colonnello uscì di casa per andare a vedere; lo ac-

compagnò il vento Matteo.

Avvicinandosi, udiva farsi più distinto il rumore della sega.

Quando giunse sul posto rimase meravigliato di trovare una folla

di uomini in semicerchio attorno alla pianta.

Matteo avvertì che erano geni venuti per assistere alla fine del loro

compagno.

Non erano tutti; si erano riuniti soltanto quelli della zona di bosco

vicina. 

Tra essi il Procolo vide subito il Bernardi.

Erano persone alte ed asciutte, con occhi chiari, il volto semplice

e come seccato dal sole. Portavano vestiti di panno verde fatti se-

condo la moda del secolo prima, senza pretese di eleganza ma

molto puliti. Tenevano tutti in mano un cappello di feltro.

Nella maggioranza avevano i capelli bianchi ed erano sbarbati. 

Nessuno sembrò accorgersi che fosse arrivato il colonnello.

Il Procolo ne approfittò per avvicinarsi alle loro spalle e assistere

così più da vicino a quello che stava succedendo. E come fu a ri-

dosso della schiera dei geni con molta circospezione, toccò la falda

di una delle loro giacche, constatando che era stoffa vera e non una

semplice illusione.

I boscaioli continuavano il lavoro con la massima indifferenza come

se non ci fosse nessuno ad osservarli.

Quattro facevano andar su e giù la sega che aveva ormai oltrepas-

sato la metà del tronco. Il quinto era salito per attaccare la fune che

sarebbe servita per far cadere l’albero dalla parte giusta.

Seduto su di un sassone, da solo, vicino alla base dell’albero, stava

uno dei geni, simile a tutti gli altri; era il genio dell’abete che si stava

tagliando.

Seguiva il lavoro dei boscaioli con grande attenzione.

Tutti stavano zitti.

Si udiva soltanto il rumore della sega e il fruscìo dei rami mossi in-

volontariamente da Matteo. 

Il sole andava e veniva a causa delle frequenti nubi. 

Il colonnello notò che sull’abete che si stava abbattendo non c’era

neppure un eccello mentre quelli intorno ne erano addirittura

rigurgitati.

Ad un tratto il Bernardi si staccò da un punto del semicerchio,

avanzò per il terreno libero e si avvicinò al genio che sedeva solo,

battendogli una mano sulla spalla.

‘Siamo venuti per salutarti, Sallustio!’ disse a voce alta come per far

capire che parlava anche a nome di tutti gli altri compagni.

Il genio dell’abete rosso si alzò in piedi, senza però staccar gli occhi

dalla sega che rodeva il tronco.

‘Quello che succede è triste, non ci siamo assolutamente abituati’

continuò il Bernardi con voce pacata.

‘ Ma tu sai quanto io abbia fatto per cercare di impedirlo. Tu sai

che siamo stati traditi e che ci è stato rubato il vento’.

E così dicendo rivolse i suoi sguardi, forse per puro caso, in

direzione del colonnello Procolo, nascosto dietro la schiera dei

geni.

‘Siamo venuti a dirti addio’ continuò il Bernardi.

‘Questa sera stessa tu sarai lontano, nella grande ed eterna foresta

di cui in gioventù abbiamo sentito tanto parlare. La verde foresta

che non ha confini, dove non ci sono conigli selvatici, né ghiri, né

grillitalpa, che mangiano le radici, né bostrici che scavano il legno,

né vermi che divorano le foglie.

Lassù non ci saranno tempeste, non si vedranno rumini o lampi,

neppure nelle calde notti d’estate.

(D. Buzzati, Il segreto del Bosco Vecchio)






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