CATTURATO IN TIBET

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Ancora una volta, nel momento del bisogno i tibetani scoprivano

di essere soli.

Proprio come nel 1910, quando i Manchu invasero il Tibet, il loro

appello cadde nel vuoto.

Fu dall’Inghilterra, a lungo considerato un paese amico e un pro-

tettore contro i cinesi, che si sentirono particolarmente traditi.

Ciò che è peggio, il governo britannico sembrava aver dato un

riconoscimento ‘de facto’ al nuovo regime di Pechino.

 

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‘Significa forse’ fu chiesto a Ford dai funzionari tibetani ‘che

gli inglesi sono diventati amici dei comunisti?’.

L’unica cosa che a Ford riuscì di fare, nel suo zoppicante ti-

betano , fu di cercare di spiegare il significato dell’espressione

‘de facto’. Non voleva dire che al governo britannico piacessero

i comunisti. 

‘Assolutamente’ li rassicurò.

‘Ma non vede quale vantaggio ci sia nel fingere che non esistano’.


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Dopo aver conquistato gran parte del Tibet orientale e una fet-

ta consistente di quello occidentale, gli invasori si fermarono e

controllano il territorio. Aspettavano senza dubbio di vedere

le reazioni del mondo alla loro incursione e speravano anche

che i tibetani si rendessero conto della futilità di ogni ulteriore

resistenza, permettendo quindi che l’occupazione proseguisse

in modo pacifico.

A Lhasa, il governo consultò ansiosamente gli oracoli di Stato

per sapere cosa fare.

 

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Per effetto di ciò, sebbene non avesse ancora raggiunto la

maggiore età, con una mossa senza precedenti il giovane

Dalai Lama fu invitato a prendere nelle sue mani la guida 

del paese. Dopo un lungo esame interiore, poiché era fin 

troppo consapevole della propria inesperienza nelle que-

stioni terrene, il giovane Dio-Re accettò.

Fu attorno a questo periodo che i già disillusi tibetani rice-

vettero un altro shock. Il giorno dell’invasione cinese si era-

no appellati alle Nazioni Unite chiedendo aiuto.

Ora appresero che l’Assemblea Generale aveva deciso di non

prendere neppure in considerazione il loro caso.

 

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Come se non bastasse, tale decisione fu in gran parte dovuta al-

l’argomentazione britannica che il preciso statuto legale del

Tibet era incerto. Considerando che per più di trent’anni la Gran

Bretagna aveva trattato il Tibet come un paese che godeva di

un’indipendenza ‘de facto’, i tibetani trovarono tale atteggia-

mento inispiegabile, se non del tutto ipocrita. 

Non si dovevano stupire più di tanto, l’ipocrisia è la moneta 

di quello stato coloniale che curava altri interessi.

 

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L’imbarazzante problema del Tibet fu in tal modo accantonato

dal mondo civile, solo per essere riesumato nove anni più tardi,

quando i tibetani cercarono penosamente di emanciparsi dal

giogo maoista.

(Peter Hopkirk, Alla conquista di Lhasa)






 

 

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CATTURATO IN TIBETultima modifica: 2012-10-19T16:30:00+02:00da giuliano106
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