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l’eterno ritorno della storia: Obama gli stessi problemi di Kennedy
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Per J.F.K…
Ma Kennedy non partiva
proprio da zero. La
Brookings Institution
– alla quale va buona
parte dei meriti per il
più tranquillo passaggio
di poteri tra due partiti
in opposizione della
storia – aveva
raccomandato a tutti e
due i canditati di
preparare
un programma per
affrontare i problemi del
passaggio; e il senato-
re Kennedy aveva nominato suo consigliere, incaricato dei collega-
menti con la Brookings nel periodo di interregno, il procuratore Clark
Clifford, di Washington, suo amico già dai tempi dell’incidente Pearson,
già consigliere particolare del presidente Truman e manager di Stuart
Symington nel periodo pre-Convenzione.
Nel periodo di transizione, fu sempre richiesto il parere di Clifford, il
quale, disse una volta Kennedy, scherzando, in cambio aveva voluto
soltanto la pubblicità del suo studio legale sui biglietti da un dollaro.
E ancora, alla sua tipica maniera, Kennedy aveva chiesto a Richard
Neustadt, professore della Columbia University, eminente studioso
di scienze politiche che aveva lavorato come assistente particolare
alla Casa Bianca, di esporgli per iscritto, meglio se senza consultarsi
con Clifford, il suo parere sui problemi di personale che il vincitore
delle elezioni avrebbe dovuto affrontare.
L’uno e l’altro gli fornirono utili rapporti e continuarono ad assister-
lo per tutto il periodo di transizione. Il loro rapporto non tentò mai di
trasformarsi in collaborazione o coordinazione, e i loro pareri non fu-
rono mai in conflitto, anzi coincisero quasi sempre.
Il rapporto di Neustadt conteneva più suggerimenti e trattava più
nei dettagli i problemi del passaggio dei poteri, con particolare rife-
rimento allo staff della Casa Bianca. Quello di Clifford era più essen-
ziale.
La mattina del 10 novembre il presidente designato si incontrò, in ca-
sa del fratello, con i consiglieri più stretti, tenendo davanti a sé, sul
tavolino del soggiorno, i rapporti di Neustadt e Clifford e le analisi
più particolareggiate della Brookings Institution.
Istintivamente ci eravamo alzati in piedi, quando lui era entrato,
sentendo che i nostri rapporti erano automaticamente cambiati.
Voleva sbrigare il lavoro in poche ore, prendere l’areo e andarse-
ne in Florida per un breve periodo di riposo.
L’energia e la rigorosa metodicità che avevano caratterizzato il
suo atteggiamento durante la campagna elettorale erano un po’
spente dalla stanchezza.
Ma sapeva, e gli appunti che aveva in mano glielo confermava-
no, che certe decisioni dovevano essere prese subito e pondera-
tamente.
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