TUNGUSKA (2)

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Tunguska 1

Prosegue in:

Tunguska 3 &

Cartesio: il genio e la contraddizione



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Oltre il noto evento di Tunguska, si debbono annoverare anche

altri due episodi di meteoriti con riscontri evidenti nell’ambien-

te, il primo avuto luogo in America del Sud, negli anni trenta,

nella foresta amazzonica, al confine tra il Brasile e il Perù; l’al-

tro nella Guyana britannica, nella regione di Rupunumi.

Del primo scrisse allora il giornale del Vaticano, l”Osservatore

Romano’. L’articolo era stato redatto da un testimone oculare

dell’esplosione, padre Fidele D’Alviano.

Un quotidiano inglese, ‘The Daily Herald’, riportò la notizia il

6 marzo 1931. Solo uno scienziato registrò l’evento e lo collegò

a quanto era successo a Tunguska ventidue anni prima: Leonid

Kulik, lo scienziato russo che aveva scoperto il sito dell’esplosio-

ne siberiana nel 1927, ne parlò nel 31 in un articolo per la pubbli-

 

meteoriti (due tunguska) (17)


cazione dell’Accademia sovietica delle scienze. Poi, quasi sessant’-

anni dopo, nel 1989, in un articolo sul ‘Journal of International Me-

teor Organization’, due ricercatori sovietici, Nikolaj Vasiljev e Gen-

nadij Andreev, diedero conto di quanto aveva scritto Kulik in pro-

posito.

Solo alla fine degli anni 80, dunque, la comunità astronomica in-

ternazionale è stata messa a conoscenza dell’episodio brasiliano.

Era successo il 13 agosto del 1930, alle otto del mattino, al confine

nord-occidentale del Brasile con il Perù, non lontano dal Rio Cu-

raca.

Il sole – racconta D’Alviano – divenne rosso e il cielo si scurì rapi-

damente. All’improvviso una pioggia di cenere bianca si mise a

cadere fitta, poi si sentì un lungo, fortissimo fischio. Tre palle di

fuoco attraversarono il cielo ed esplosero.

Il frastuono fu udito a centinaia di chilometri di distanza.

La giungla brasiliana era in fiamme.

 

meteoriti (due tunguska) (17)


I tre oggetti – sostiene l’astronomo britannico Mark Bailey, dell’-

osservatorio di Armagh, in Gran Bretagna, che sta cercando di

ottenere dal Vaticano i diari di padre d’Alviano per ricostruire

con più precisione l’accaduto – dovevano avere circa le dimen-

sioni di una casa.

L’energia sprigionata doveva essere di circa un megaton, un

decimo di quella che aveva devestato la taiga siberiana. Bailey

afferma che la stima di un evento tipo Tunguska ogni 100 anni

è probabilmente ottimistica e che sarebbe forse più realistico a-

spettarci simili bombardamenti cosmici sulla Terra con la fre-

quenza di tre-quattro per secolo. Anche l’astronomo australiano

Duncan Steele, dell’Osservatorio australiano-britannico di A-

delaide, un’autorità mondiale per quanto riguarda il pericolo

di impatti cosmici, è di questa opinione ma – avverte – non so-

no state fatte indagini approfondite sull’avvenimento. 

Alcune testimonianze sono in contraddizione con ciò che sap-

piamo sull’esplosione dei corpi cosmici in quota, ma questo è

successo anche per Tunguska che, in un certo senso, è proprio

l’evento che per primo ci ha indotti a rivedere tante nostre si-

curezze sul comportamento dei corpi cosmici.

(N. Riccobono, Tunguska)





tungskia.jpg

TUNGUSKA (1)

Precedente capitolo:

una fuga precipitosa (eremiti nella taiga 14) &

Cartesio: il genio e la contraddizione

Prosegue in:

Tunguska 2 &

Tunguska 3 &

Cartesio: il genio e la contraddizione……


 

giuliano lazzari.jpg

 






Nelle prime ore del 30 giugno, al 1° luglio e dall’ 1 al 2, in una

vastissima parte del territorio russo – dalla Siberia al Caucaso,

furono segnalati tramonti straordinari.

Nelle prime ore del 30 giugno, i sismografi della stessa vasta

area registrarono scosse di terremoto della durata di circa due

minuti intervallate nello spazio di un’ora.

L’intensità delle scosse non era tale da destare preoccupazio-

ne e l’epicentro corrispondeva a una zona semidisabitata.

Da Irkutsk, in Siberia, l’Osservatorio magnetico e meteorologi-

co inviò a San Pietroburgo l’informazione relativa a un picco-

lo terremoto locale nelle regioni più a nord, avvenuto tra le

7.14 e le 7.17 del mattino.


meteorite.jpeg


In Inghilterra l’onda sismica, così come l’onda d’aria che la

accompagnava, venne registrato nello Hampshire, a Londra,

a Cambridge.

In Germania l’osservatorio astronomico di Potsam aveva ri-

levato sia onde dirette che di ritorno.

I dati inglesi vennero discussi a Dublino alla riunione annuale

dell’Associazione Britannica, dove si calcolò che la velocità di

propagazione della prima onda di pressione era stata di 323

metri al secondo, mentre quella di ritorno viaggiava appena

più lentamente.

L’onda aveva dunque una forza tale da percorrere il perimetro

terrestre due volte.


090202.Tunguska.1908.jpg


Di nuovo, si disse che non era stato osservato un fenomeno di

così intensa violenza dall’epoca in cui i biografi britannici ave-

vano registrato l’onda di pressione provocata dall’eruzione vul-

canica del Krakatoa.

Anche la trasparenza dell’aria subì dei mutamenti a partire dal

30 giugno 1908, l’intorbidimento venne notato ovunque, la sua

intensità era perfino maggiore di quella provocata dalla diffu-

sione del pulviscolo sollevato dall’esplosione del vulcano; il

campo magnetico terrestre subì delle interferenze.

Tutti questi dati vennereo discussi e analizzati separatamente,

nonostante i fenomeni a cui si riferivano fossero avvenuti nella

stessa data.

Il ‘Times’ di Londra in quei giorni parlava solo del fenomeno

magnetico:

‘Si è verificato un leggero ma deciso fenomeno magnetico mar-

tedì notte; gli studiosi pensano che probabilmente ciò sia avve-

nuto in concomitanza di un aumento dell’attività sulla superfi-

cie solare’.


tunguska_photo_1.jpg


Il 3 luglio il New York Times riportò invece la notizia dei misteriosi

colori dei tramonti nordeuropei. Anche in questo caso la spiegazio-

ne scientifica proposta era collegata all’attività solare: ‘Luci dai colo-

ri davvero rimarchevoli, durate per ore, sono state osservate in cielo

martedì e mercoledì notte in Inghilterra, Belgio e Germania.

A Londra molta gente è stata indotta a credere che un incendio di-

vampasse in città. Il direttore dell’osservatorio britannico di Trep-

tow ha tranquilizzato l’opinione pubblica; non si tratta di un fe-

nomeno preoccupante – ha affermato – bensì del normale effetto

di un’attività solare particolarmente forte.

Il professor Archibald aggiunge però che qualcosa di simile si è

osservato anche dopo l’eruzione del vulcano Krakatoa..’.

Cos’è dunque successo?

Una spaventosa deflagrazione sulle antiche foreste siberiane che

costituiscono la taiga.

Dopo aver sradicato e abbattuto gli alberi nella vasta area dell’epi-

centro per l’immensa forza dell’onda d’urto e del vento micidiale

che essa sprigiona, ha bruciato circa duemila chilometri quadrati

di taiga e ucciso molti animali; sono morte carbonizzate migliaia

di renne, alci, orsi e numerosi altri esemplari della fauna che po-

pola la zona.

Ufficialmente non ci sono state vittime tra gli uomini.


Tunguska shaman.jpg

 

Nella taiga all’epoca si avventuravano solo i nomadi evenki, cac-

ciatori o pastori di renne. Nel 1908 i nomadi non erano censiti, a-

vevano rapporti quasi esclusivamente commerciali con gli immi-

grati russi che incontravano nei villaggi di frontiera per scambia-

re con manufatti e farina le pelli pregiate degli animali che caccia-

vano.

(N. Riccobono, Tunguska)



 

eremiti nella taiga (negli stessi luoghi un altro incredibile in

(una macchina che conta) E UNA CHE HA SMESSO DI CONTARE

 

e una che ha smesso di contare

 

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una macchina che conta

Prosegue in:

la ghiandola pineale

(ma il viaggio sulle rotaie continua)

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e una che ha smesso di contare

Libri, appunti, dialoghi…

i miei libri

 

e una che ha smesso di contare

 

 

 



…..A casa nel suo monolocale, si fece un bicchiere di Jack

Daniel’s invecchiato di sessant’anni, e si sedette a sorseg-

giarlo, mentre guardava dall’unica finestra l’edificio dall’

altra parte della strada…una ‘macchina’ che conta, gente…

importante, distinta…

Dovrei forse andare in ufficio? si chiede.

Se sì, perché?

Scegliete una risposta.

Cristo, pensò, è una cosa che ti fa cascare le braccia.

 

e una che ha smesso di contare

 

Sono un mostrociattolo meccanico, riconobbe.

Un oggetto inanimato che scimiotta un oggetto animato.

Eppure…si sentiva vivo.

Eppure….adesso si sentiva diverso. Sapeva di esserlo.

E quindi tutti gli altri, soprattutto Danceman e Sarah, tutti i

dipendenti  della Tri-Plan, erano diversi da lui.

Penso che mi ucciderò, disse tra sé. Ma probabilmente sono

programmato per non farlo; sarebbe un grosso spreco per il

mio padrone.

 

e una che ha smesso di contare

 

 

Non è certo questo che vuole.

Sono programmato.

Da qualche parte dentro di me, pensò, c’è una matrice siste-

mata al posto giusto, una schermatura che mi impedisce di

avere certi pensieri, di compiere certe azioni.

Non sono libero.

Non lo sono mai stato, ma ora ne sono cosciente; è questa la

differenza.

 

e una che ha smesso di contare

 

Opacizzò la finestra, spense la luce centrale e si accinse a to-

gliersi i vestiti con cautela, uno a uno.

Aveva osservato attentamente i tecnici dell’officina mentre 

attaccavano la nuova mano; quindi, ora aveva le idee chiare

su come era stato assemblato il suo corpo. Due pannelli prin-

cipali, uno per ogni coscia; i tecnici avevano rimosso i pannel-

li per controllare i circuiti che si trovavano all’interno.

Se sono programmato, decise, probabilmente la matrice si tro-

va lì.

Il labirinto dei circuiti lo scoraggiò. 

 

e una che ha smesso di contare

 

Ho bisogno d’aiuto, si disse.

Vediamo….qual’è il codice telefonico per la classe di computer

BBB che abbiamo in ufficio?

Alzò la cornetta, fece il numero del computer nella sua base per-

manente di Boise, Idaho.

…’Riesco a distinguere i moduli di controllo’, disse il computer

‘ ma non saprei quale’.

Il computer tacque mentre il suo sguardo vagava sullo schermo

del videofono. 

‘Riesco a distinguere una bobina di nastro perforato montata 

al di sopra del meccanismo del cuore.

 

e una che ha smesso di contare

 

La vede?’

Poole allungò il collo, e guardò.

La vedeva anche lui, quella bobina.

‘Devo interrompere il collegamento’ disse il computer.

‘Quando avrò esaminato i dati disponibili la contatterò e le

darò una risposta. Buongiorno’.

Lo schermo si spense.

Tirerò fuori quel nastro perforato, disse tra sé Poole.

E’ sottile…non più grande di due rocchetti di filo da cucire, con

un analizzatore montato tra la bobina di emissione e quella di

riavvolgimento. 

Non riusciva a percepire alcun segno di movimento; le bobine

sembravano inerti. Probabilmente si sovrappongono, rifletté,

quando si verificano situazioni specifiche. Si sovrappongono

ai miei processi encefalici.

 

e una che ha smesso di contare

 

E’ stato così per tutta la mia vita.

Raggiunse il meccanismo con la mano, toccò la bobina di emis-

sione. Non devo far altro che tagliarla, pensò, e…

Lo schermo del videofono si riaccese.

‘Numero di piastrina mastercreditcharge 3-BNX-882-HQR44-T’

disse la voce del computer.

‘Qui è BBB-307DR che la sta controllando per rispondere alla

domanda della durata di 16 secondi del 4 novembre 1992.

Il nastro perforato si trova al di sopra del vostro meccanismo 

cardiaco non è una unità di programmazione ma un congegno

alimentatore di realtà.

Tutti gli stimoli sensoriali ricevuti dal vostro sistema nervoso

centrale emanano da quella unità di controllo, e manometterla

sarebbe rischioso, se non letale’.

E aggiunse: ‘Non sembra esserci alcun circuito di programma-

zione. Domanda esaudita, Buongiorno’. Si spense.

Poole, nudo di fronte allo schermo del videofono, toccò ancora

una volta la bobina con una calcolata, grandissima cautela.

Capisco, pensò infuriato. 

 

e una che ha smesso di contare

 

Oppure no?

Questa unità…

Se taglio il nastro, si rese conto, il mio mondo scomparirà. 

La realtà continuerà a esistere per gli altri, ma non per me.

Perché la mia realtà, il mio universo, mi viene da questa mi-

nuscola unità. Analizzata e poi diretta al mio sistema nervo-

so centrale man mano che questo nastro si snoda a passo di

lumaca.

Sono anni che questo nastro si va svolgendo, concluse.

Prese i vestiti, li indossò, si sedette nella sua grande poltrona,

un lusso importato nel suo appartamento dagli uffici principa-

li della Tri-Plan, e accese una sigaretta.

La mano gli tremò mentre poggiava l’accendino con le sue ini-

ziali; piegandosi all’indietro, soffiò il fumo davanti a sé, crean-

do una nuvoletta grigia.

Devo procedere per gradi, si disse.

Cosa sto cercando di fare?

Scavalcare la mia programmazione?

Ma il computer non ha trovato alcun circuito di programma-

zione.

Voglio interferire con il nastro della realtà?

E se sì, perché?

Perché, pensò, se controllo il nastro, io controllo la realtà.

O almeno la realtà che mi riguarda.

La mia realtà soggettiva…l’unica realtà che esiste.

La realtà oggettiva è una costruzione sintetica, che a che fare

con un’ipotetica universalizzazione di una moltitudine di realtà

soggettive…..

(lP. K. Dick, La formica elettrica)

 

 

 

e una che ha smesso di contare

 

E DOPO AVER SCOPERTO LA MIA ALTEZZA

Precedente capitolo:

forse fu proprio quella che mutò nome alla mia statura

Prosegue in:

tanti chiodi piantarano alla mia vita







Saliti i gradini dell’ingresso, entrai nel Tempio vero e

proprio…….

Oltre il primo portale c’era un grande cortile in cui tutti

potevano trafficare con denaro o merci.

Non si poteva far a meno di ammirare le barbe di que-

sti uomini di Mammona!

Erano state arricciate con un ferro caldo ed erano orgo-

gliosamente immacolate. Insomma, questi usurai sem-

bravano dei pavoni. Anche i sacerdoti che si aggiravano

tra di loro sembravano pavoni.

Tutto era vanità!

A casa, costoro dovevano avere ricche mense, mentre i

poveri rannicchiavano nei vicoletti puzzolenti della cit-

tà.

Feci del silenzio un sacro manto che gli altri non avrebbe-

ro osato toccare. Sedetti tutto solo su una panca di pietra

e osservarli il modo in cui questa gente buttava denaro

nella cassetta delle elemosine.

Chi era ricco ne metteva molto.

Poi sopraggiunse una povera donna con uno scialle tutto

logoro che vi infilò una monetina. Il cuore mi balzò in pet-

to.

Chiamai i discepoli più vicini e dissi:

– Questa povera donna ha messo più di tutti i ricchi. Ha

dato quello che aveva per vivere. E così ha trasformato

il denaro in un tributo a Dio.

I ricchi fanno oboli solo per mettersi in mostra tra di loro.

Pensai al denaro e a quanto fosse simile a una bestia im-

monda. Consumava tutto ciò che gli veniva offerto, con

sbavante cupidigia.

Pensai ai ricchi, soffocati dal peso dell’oro, nei cui giardi-

ni non crescono mai frutti che li soddisfino.

Nell’aria grava un profumo che opprime, e i fiori del ric-

co non portano mai felicità. Poiché il vicino è più ricco

di lui e il suo giardino più bello.

I ricchi provano invidia per l’oro altrui.

Qui, nel cortile più esterno del Tempio, in mezzo a que-

sti usurai, mi rivolsi a tutti, e la voce era solo mia.

Dissi:

– Nessuno può servire due padroni. Perché si attaccherà

a quello di cui ha bisogno e, in segreto, disprezzerà l’altro.

Non potete servire Dio e Mammona.

Poi, per la prima da quando ero stato con lui sulla monta-

gna, il diavolo mi parlò.

Disse:

– Prima della fine, i ricchi possederanno anche te. Metteran-

no la tua immagine su ogni parete. Le elemosine raccolte in

tuo nome aumenteranno i tesori di chiese potenti; gli uomi-

ni ti adoreranno di più quando sarai con me che quando

sarai con Lui. Il che è giusto. Perché io sono pari a Lui.

….E scoppiò a ridere, sì aveva gli occhi ma non vedeva……

(Norma Mailer, Il Vangelo secondo il figlio)

(prosegue tanti chiodi piantarono alla mia vita)




 

e dopo


IL LAMA (Dawa Tenzing)

Precedente capitolo:

da quassù quanto è piccola la terra

Prosegue in:

Dawa Tenzing

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il vento

li ha spazzati

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Frammenti in rima


 

il lama







‘Quella volta la neve arrivava alle anche’,

dice Dawa Tensing e si alza per dimostrare come in quei

giorni facevano la traccia.

Gesticola, piega leggermente il corpo e fa alcuni passi co-

me se spingesse masse di neve davanti ai piedi.

I suoi movimenti si svolgono al rallentatore.

Egli sa che cosa vuol dire salire a 8000 metri senza masche-

ra, fare la traccia nella neve e portare i carichi. L’ha vissuta

e v’è sopravvissuto, nel 1924 quando Norton fece il suo ten-

tativo di salire l’Everest senza ossigeno.

Dawa Tensing era allora uno dei portatori d’alta quota.

E’ nato in un villaggio di qualche anno del nostro secolo,

non sa quanti ne ha; oggi vive nel ‘Solo’ Khumbu.

Al di sopra della sua casa si vedono l’Everest e l’Ama Dab-

lam.

Vive qui, vicino al monastero di Thyangboche, per pregare,

guardare l’Everest e godere la sua vecchiaia. Non è stata fa-

cile la sua vita, sempre emozionante.

E quando mi sta davanti e mi parla con le mani, i piedi e

soprattutto con gli occhi nascosti dietro sottili fessure, si ri-

affacciano le immagini.

Ha accompagnato più di trenta spedizioni, è stato all’Everest

più volte. Anche nel 953, con Hunt, quando per la prima vol-

ta è stata percorsa la via del Colle Sud.

Il suo viso è come di granito.

L’unico dente superiore trova una sua sede nella chiostra in-

feriore. La barba bianca è rada e i capelli grigi sono legati in

una crocchia. Porta il costume sherpa, scarpe colorate in stof-

fa e pantaloni da donna, avanzo di chissà quale spedizione.

Nella sua casa si ammucchiano una gran quantità di lettere

e fotografie, ma per lui non sono importanti.

Mischia tutte le spedizioni, non fa differenza di anni e di ca-

pi spedizione. Però ricorda i singoli posti e racconta con pre-

cisione, alzandosi e imitando i passi nel giardino, come ci si

muove a 8000 metri (come portasse l’imbracatura d’alpini-

sta).

Lo sa, e mi accorgo subito che queste avventure e queste e-

sperienze sono profondamente radicate in lui.

Dice che, lassù, dobbiamo mangiare.

‘Anche molto in alto, quando non ve la sentite più, dovete

mangiare e soprattutto bere. Ma niente acqua, e non dove-

te succhiare la neve’.

Dovremmo mangiare tsampa e bere tè, molto tè.

(….Io, ora, dopo molti anni da quell’incontro, sono sempre

su quella cima, non sono più sceso….e mangio poco molto

poco… ma mi sento bene…. e in pace con me stesso….)

(prosegue in Dawa Tenzing)

(R. Messner, Everest)




 

il lama


LA GRANDE LIBERAZIONE

Precedenti capitoli:

1) rocce Dèi montagne verità

2) sul sentiero della storia

3) il viaggio

Prosegue in:

il secondo gradino &

attraverso l’udire

Foto del blog:

la grande liberazione

attraverso l’udire


 

la grande liberazione







Così saliamo immersi in un paesaggio di morte temporanea…

Intorno a noi la valle si fa scoscesa, e il granito frantumato,

a tratti opalescente o color corallo, ne cosparge il fondo in

blocchi che si scuriscono.

Il fiume mormora al nostro fianco, e un nuovo massiccio ri-

empe l’orizzonte di balaustre di roccia e canaloni innevati.

Alla sua ombra, i pellegrini si muovono come formiche ver-

so la montagna della loro salvazione.

 

la grande liberazione


Sono in maggioranza poveri, e la consapevolezza della mor-

te di rado è lontana. Il paesaggio tra un’incarnazione e l’alt-

ra – il viaggio che stanno rappresentando ora – è un’idea an-

tica nella loro religione.

I primi e gli ultimi insegnamenti dello stesso Buddha si sof-

fermano sulla transitorietà, e nei riti funebri tibetani è cen-

trale il ruolo del ‘Libro tibetano dei morti’, l’unico testo lo-

cale conosciuto al di fuori del Tibet.

 

la grande liberazione


Io lo lessi in gioventù, e anche dopo che l’ho ripreso in ma-

no con sguardo disincantato, ha lambito il mio viaggio co-

me la luce di una stella morente.

La ‘Grande liberazione attraverso l’udire’ descrive il più

stupefacente dei viaggi, quello nel regno della morte e del-

la resurrezione. Le sue parole vengono declamate a voce

alta nell’orecchio del defunto per consolarlo e un’incarna-

zione di livello più elevato.

 

la grande liberazione


Recitato idealmente da un lama devoto, il testo fornisce

allo spirito smarrito le istruzioni del vivente illuminato.

Esso possiede una forza inquietante, ipnotica.

La realtà di ciò che il libro immagina – i Buddha e le divi-

nità incontrate dal morto durante il viaggio – ha in sé l’-

autorevole certezza di una voce così insistente e rigoro-

samente esatta che le sue prescrizioni acquistano la for-

za di una verità dimostrata.

Nello stesso Tibet, dove il testo costituisce un rito fune-

bre pratico, la Grande liberazione è cara soprattutto alle

antiche sette ‘nyingma’ e ‘kagyu’, nonché ai ‘bon’.

 

la grande liberazione


Essa si basa sulla credenza che per 49 giorni dopo che il

respiro ha abbandonato il corpo, i morti non sono del tut-

to morti, e che le istruzioni fornite direttamente al cada-

vere possono essere ancora udite e messe in pratica.

Per tre giorni, i morti percepiscono una luce bianca pura

che li riempe di timore e smarrimento. Ma nell’orecchio,

al di fuori del mondo mortale, risuona la voce della Libe-

razione:


O figlio di nobile famiglia, ascolta, Adesso a te apparirà

la luce della pura essenzialità…..

 

la grande liberazione


Dopo la morte, uno yogin progredito riconosce questa

luce come quella del vuoto assoluto – talora descritta co-

me chiarore lunare trasparente – ed entra nel nirvana.

Poi forse udrà il suono di strumenti sacri, e appariranno

arcobaleni. Ma per la maggior parte degli altri, quando

la luce si affievolisce, si manifesta una serie di Buddha

benigni risplendenti che permangono per sette giorni.

Ognuno è accompagnato dalla luce fioca e sensuale del

mondo in cui un tempo viveva, e le parole salmodiate al

morto esortato lo spirito a non tirarsi indietro e a  ricono-

scere la perfetta illuminazione fondendosi con essa.

Ogni volta che lo spirito scivola nell’illusione mondana,

compare un nuovo Buddha, e la voce guida della Libe-

razione ripete affettuosamente:


O figlio di nobile famiglia! E’ arrivata quella che si

chiama morte; che è la dipartita da questo mondo e

non capita soltanto a te, ma viene a tutti….


(prosegue in: attraverso l’udire)




 

la grande liberazione


IL GENIO

Precedente capitolo:

il risveglio del morto nel mondo dei folli

Prosegue in:

e la (loro) follia

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il risveglio del morto

nel mondo dei folli

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Frammenti in rima






Quando sarò morto



Quando io morirò,

il tuo pianto duri

non più della campana che,

in dolenza,

annuncerà al mondo che

fra gli impuri vermi

ho portato la mia residenza.


Se leggerai i miei versi,

scorda allora chi

li compose:

tanto è il mio amore che,

se la memoria ti addolora,

voglio sparire dal tuo dolce cuore.

Se tu li leggerai,

io non so come,

quando all’argilla sarò mescolato,

non nominare il mio povero nome,

fa che il tuo amore sia con me

annullato:

non veda il saggio mondo il tuo

sconforto,

….e beffi te, ….per me che sarò morto.

(W. Shakespeare, Sonetti, 71 – 1609 -)



Dialogo in-Crociato



Povero eretico,

son io che ti osservo

nell’angolo nascosto

accanto alla brocca,

dove non sapendo,

stai bevendo l’antico tormento

confuso con lieto piacere.

Dona segreta parola

nell’infinita ora:

stai creando nuove stelle

in questo Universo

dove ti sei appena perso.

Fiumi di parole e tanti pianeti,

eterni prigionieri di una strana materia,

perché sempre avanza per questa cella

specchio di una diversa creanza. (17, 25)


Son io quell’uomo

che guarda un profeta,

senza chiesa e dimora

in quest’angolo della nostra (misera) ora.

Perché racconta l’eterna verità

uccisa dalla storia.

Son io che odo le parole,

le ordino in rima composta,

per ridare colore ad ogni stagione

che ti fu negata assieme all’intera

esistenza.

Solo perché hai scorto la scienza

di una essenza che parte da una forma

ripetuta nel lento componimento:

un Dio racchiuso in ogni elemento.

Lo hai scoperto in fondo ad un regno

dell’inanimato mare profondo,

geometria precisa, simmetria costante

letta anche in un sestante. (17, 40)


Equilibrio perfetto del grande emisfero,

unica cellula nel vasto regno

dell’elemento di un ventre gravido….,

in attesa di un principio nominato vita.

Calma apparente e priva dell’ordine

nominata Genesi da un Secondo Dio.

Ma riflesso di un Primo pensiero

perché solo chi crede…..

….riesce a vedere,

in ogni cosa di questo grande sapere. (17, 41)

(Giuliano Lazzari, Frammenti in Rima)





 

il genio