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Dialoghi con Pietro Autier 2: il condannato a morte &
Gli occhi di Atget: pausa dalla camera oscura, la nausea &
Letta e notificata al reo la sentenza,
e l’ultima vendetta che su di lui
esercita la società intera, in una
lotta tra l’altro diseguale, il
disgraziato viene condotto nella
cappella, dove la religione si
impossessa di lui come una preda
ormai certa; la giustizia divina sta
lì ad aspettare di riceverlo dalle mani
di quella terrena.
Lì trascorrono per lui delle ore mortali; deve essere una
grande consolazione credere in Dio, quando è necessario
fare a meno degli uomini quando sono gli uomini a fare
a meno di te.
In una tale momento, nondimeno, la vanità si fa strada
nel cuore ed è difficile che il colpevole, superata la prima
impressione, quando il sangue tenta di sfuggire per rifu-
giarsi nel centro della vita, non provi a simulare una se-
renità che raramente è possibile.
Questa società tirannica esige qualcosa dall’uomo anche
quando gli si nega completamente.
Per quanto sia un’incomprensibile ingiustizia, riderà della
debolezza della vittima.
Sembra che la società, esigendo coraggio e serenità al con-
dannato a morte, con le sue persistenti preoccupazioni, vo-
glia far giustizia di se stessa, stupendosi che non si disprez-
zi quanto poco essa vale e i suoi poveri difetti.
In momenti così critici, tuttavia, è difficile che qualcuno
smentisca la sua vita intera e la propria educazione; cia-
scuno obbedisce alle proprie preoccupazioni perfino nel
momento in cui sta per spogliarsene per sempre.
L’uomo abietto, privo di educazione, senza principi, sem-
pre sottomesso ciecamente al suo istinto, alla sua necessi-
tà, che ha rubato e ucciso meccanicamente, muore mec-
canicamente.
Nei suoi primi anni aveva sentito un’eco sorda della reli-
gione, che ora, senza che lo comprenda, risuana al suo o-
recchio nella cappella, e passa automaticamente sulle sue
labbra.
Privo di quello che nel mondo si chiama onore, non fa al-
cuno sforzo per dissimulare il suo terrore, e muore morto.
L’uomo veramente religioso rivolge sinceramente il suo
cuore a Dio, e costui è il meno infelice di quanti lo sono
per l’ultima volta.
L’uomo educato a metà, resosi sordo alla voce del dovere
e della religione, ma nel quale questi germi sono presenti,
ritorna dalla continua affettazione superficiale in cui era
vissuto, e allora dubita e trema.
Quelli che il mondo chiama miscredenti e atei, quelli che
si sono formati in una religione accomodaticcia, o quelli
che vi hanno rinunciato per sempre, probabilmente non
vedono nulla quando lasciano il mondo.
L’entusiamo politico, infine, quasi sempre fa coraggio,
e le morti più serene si sono viste in quei condannati in
cui un ideale è la preoccupazione dominante.
Giunta l’ora fatale, tutti i prigionieri del carcere com-
pagni di ventura del condannato e forse suoi successori,
intonano un Salve Regina dal ritmo monotono, e che
contrasta singolarmente con le canzoni sconce e le strofe
popolari, immorali e irreligiose, che un momento prima
formavano con le preghiere, il rumore dei cortili e delle
celle dello spaventoso edificio.
Colui che oggi canta Salve Regina la sentirà cantare
domani.
Subito la confraternita comunemente detta della Pace
e Carità accoglie il condannato, il quale, vestito di una
tunica e di un berretto giallo, viene trasferito con le ma-
ni e i piedi legati su di un animale, quello che viene con-
siderato il più vile perché è il più paziente e utile, e così
comincia la marcia funebre.
Un popolo intero ostruisce ormai le strade di transito.
Le finestre e i balconi sono contornati da innumerevoli
spettatori, che si spingono, si accalcano e si raggruppano
per divorare con la vista l’ultimo dolore dell’uomo.
– Cosa aspetta quella folla? – direbbe uno straniero che
ignorasse i costumi.
– Sta per passare un re, quell’essere coronato che è un
tale spettacolo per il popolo?
E’ un giorno solenne?
E’ una festività pubblica?
Che fanno in ozio questi artigiani?
Di cosa è curiosa questa nazione?
Niente di tutto ciò.
Questo popolo di uomini, molti ubriachi, sta per vedere
morire un uomo.
– Dove va?
– Chi è?
– Poveretto!
– Se l’è ben meritato.
– Ah, è già quasi morto.
– E’ sereno?
– Che integrità!
( …ma il destino e la morte spesso decidono altre sentenze,
…rispetto quelle di un popolo che aspetta…..)
(Mariano José De Larra, Un condannato a morte)
….sito consigliato…..