Klotz diventa sempre più taciturno.
Nessuno più riesce a confortarlo.
Vuole tornare a casa.
Deve tornare a casa.
Ma la terra!
In fondo, hanno scoperto una terra,
delle belle montagne.
Ora hanno una terra.
La terra?
Ah, questa terra.
Ma le montagne non hanno
boschi di abeti
né di pini silvestri,
né abeti nani, niente.
E le valli sono colme di ghiaccio.
A casa vuole tornare, Klotz.
A casa.
E’ un buon pomeriggio di dicembre dell’anno 1873, il freddo è atroce,
ed è in quel pomeriggio che il cacciatore Alexander Klotz, appena ri-
tornato con Payer e Haller da una delle loro escursioni sulla costa, get-
ta via la pelliccia congelata, i guanti, il berretto di pelo, il copriviso di
pelle, getta via tutto e poi indossa i suoi abiti estivi.
Là dove sta andando non ha bisogno di una pelliccia pesante.
Gli inverni a Sankt Leonhard, gli inverni nella Val Passiria so-
no nevosi e miti.
Klotz svuota la propria cuccetta, poi però lascia lì il sacco di te-
la con tutti i suoi averi. Prende con sé soltanto le cose più pre-
ziose, l’orologio con scappamento a cilindro, che ha vinto all’-
ultimo tiro a segno in onore del compleanno di sua maestà, le
banconote elargitegli da Payer per particolari servigi prestati al
signor tenente e, infine, un rosario di legno.
Poi, serio e maestoso, Klotz si presenta ai suoi compagni e strin-
ge la mano a ciascuno: ADDIO!
– Klotz! Sei impazzito?
chiede Haller.
– Addio anche te, Haller,
dice Klotz e sale sul ponte di coperta.
Chi lo segue lo vede ritto al parapetto con il fucile in spalla, immo-
bile come in un quadro, non risponde a nessuno e guarda nel buio,
sopra i ghiacci.
Forse lo si deve solo lasciar stare, Klotz.
Tornerà sicuramente in sé.
Bisogna solo lasciarlo stare.
– Ma quello si è preso una sbornia,
dice il fochista Pospischill.
– Solo una sbornia; si è scolato tutta la sua razione di rum e vodka.
– D’accordo. Lasciamolo stare. Tornerà sotto coperta da solo.
Lasciamolo stare.
due ore dopo,
Weyprecht viene
dal quadrato ufficiali
dove i signori hanno
ancora una volta
discusso il futuro
della spedizione
senza accorgersi
della follia di
Klotz, e quando
il comandante ordina
di andare a recuperare
il cacciatore e
Johann Haller
sale obbediente sul ponte, al parapetto Klotz non c’è più; il tirolese
è scomparso.
Quella non era follia.
Quella non era una storia, quello era un congedo.
Il cacciatore e conducente dei cani Alexander Klotz è andato a
casa.
Adesso il tempo fugge come non mai.
Ora, che non c’è nemmeno un minuto da perdere, il tempo improv-
visamente vola.
lo rincorrono
Klotz, che morirà
congelato nel giro
di poche ore, se
non lo ritrovano.
Quel maledetto
passiriese!
Uscire con questo
gelo in abiti
estivi!
Si dividono in
quattro gruppi e
si precipitano in tutte
le direzioni dei punti cardinali; l’aria tagliente li colpisce alla gola
comeun coltello.
Non fermarsi.
Più veloci!
Klotz!
Ma che muoia congelato, QUEL PORCO!
Ma quello è già morto.
Deve essere morto
già da un pezzo.
Invece, non lo
trovano così.
Dopo cinque
ore, finalmente
lo rintracciano:
lento e solenne,
a capo scoperto,
con il volto ormai
quasi completamente congelato, Alexander Klotz marcia verso sud,
la sua terra natia, la grande madre Russia.
Lo fermano; cercano di convincerlo; gli gridano addosso dei rimpro-
veri.
Egli però non dice una parola.
Lo riportano sulla nave, lo conducono via.
Non oppone resistenza.
Nella sala dell’equipaggio scongelano il fuggiasco russo, gli strap-
pano i vestiti di dosso, gli immergono le mani e i piedi congelati in
acqua frammista ad acido muriatico, lo frizionano con la neve, che
è dura come polvere di vetro, gli fanno bere acquavite e imprecano
per la disperazione.
Klotz lascia fare e rimane impassibile, ogni tanto ride.
Poi lo coricano nella sua cuccetta, lo coprono e lo vegliano.
Egli giace lì con lo sguardo fisso, non prende più parte alla loro vi-
ta, alle loro feste, ai balli, alle bevute.
Sta solo disteso e li fissa.
Ora hanno un pazzo a bordo.
(C. Ransmayr, Gli orrori dei ghiacci e delle tenebre)