SUL PRATO DI BENNETT: Julian Scott (46)

Precedenti capitoli:

Bennett Story Greene (44) &

Bennett Story Greene (45)

Prosegue in:

sul prato di Bennett: Zilpha Marsh (47)

(Dedicato a Mark Twain:

Avvistata una meteora il 22/03/2013 sui…..

Avi – 38 – )

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lo straniero (4)

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julian scott

 

 

 

 

 

L’idea ci sventola davanti come una bandiera:

il suono di una musica marziale;

l’emozione di portare un fucile;

onori nel mondo al nostro ritorno;

fulgore di gloria, ira per i nemici;

un sogno di dovere per il paese o per Dio.

Ma queste erano cose dentro a noi, ci splendevano innanzi,

non erano il potere alle nostre spalle:

l’onnipotente mano della Vita,

simile al fuoco che dal centro della terra crea le montagne,

o ad acque racchiuse che le corrodono.

Vi ricordate la fascia di ferro

che il fabbro, Shack Dye, saldò

intorno alla quercia nel prato di Bennett,

per appendervi un’amaca,

in cui si stendeva la figlia Janet, a leggere

nei pomeriggi d’estate? E che l’albero, crescendo, alla fine

spaccò la fascia di ferro?

Ma neppure una cellula in tutto l’albero

sapeva altro se non che palpitava di vita,

e non si preoccupò che l’amaca cadesse

nella polvere con le poesie di Milton…….

 

 

 

julian scott

 

 

 

…Verso la fine,

la verità degli altri era falsità per me;

e ingiustizia la giustizia degli altri;

le loro ragioni di morte, ragioni di vita;

le loro ragioni di vita, ragioni di morte;

avrei voluto uccidere coloro che essi salvavano,

e salvare coloro che uccidevano.

E vidi come, condotto sulla terra, un Dio

manifestando ciò che vedeva e pensava,

non potesse vivere in questo mondo di uomini

e agire tra loro, al loro fianco,

senza urti continui.

La polvere è per strisciare, per volare è il cielo –

perciò anima mia, con ali cresciute,

spicca il volo verso il sole!

(Masters, Antologia di Spoon River)

 

 

 

 

 

julian scott

AVI (40)

Precedenti capitoli:

Avi (38) &

Avi (39)

Prosegue in:

Avi (41) &

Pionieri e nativi: la ‘storia’ (42) &

Pionieri e nativi: la ‘storia’ (43)

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lo straniero (2)

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avi 40

 

 

 

 

(Riprendo là dove mi sono interrotto, manca il secondo

finale in riferimento alle sorti della povera strega, ma 

questa è storia conosciuta, forse per raccontare qualco-

sa che già sappiamo da secoli….

 Non apporto nessuna ‘sentenza’, anche perché poesia 

e letteratura, sono al di sopra della storia scritta, così

come non creo equivoci: per storia non si intende la tra-

ma, bensì gli eventi cui nostro malgrado siamo costretti

a subire causa degli incapaci che inondano il fiume del

mio quanto del vostro tempo….

Ma non scordiamoci, noi siamo solo l’Invisibile Trama

che scorre spirituale ed immateriale nel fiume del Tem-

po, forse questo non è un finale ma solo un pretesto per

comprendere la realtà di quel Sogno cui pochi eletti san-

no riconoscersi fuori dal vincolo del Tempo e con esso

tutti i suoi turpi meccanismi: congegni lancette e rintoc-

chi che lo contraddistinguono fra una parentesi e l’altra

che qualcuno nomina Storia….

Potrei concludere dicendo: come rubare del….‘Tempo’ a

chi non riconosce la sostanza degli atti di cui è compo-

sta la ‘materia‘ della ‘vostra storia’?)

 

 

 

avi 40

 

 

 

– …” Noi della nostra razza siamo diversi, non abbiamo

nessun tipo di limitazione, siamo in grado di compren-

dere qualsiasi cosa.

Capisci, per la tua razza esiste il concetto di ‘Tempo’:

lo suddividete, lo misurate; per voi esiste il passato, il

presente e il futuro; mettendo insieme degli oggetti del-

lo stesso tipo voi ottenete il numero ‘tre’, per voi esiste

solo un concetto di distanza, e, maledizione, anche que-

sta la misurate!

Vediamo: se solo potessi… se… no, è inutile, non si può

proprio pretendere di dare spiegazioni a una mente di

questo genere!”.

Poi si rivolse a me con un’aria così disperata che face-

va pena, e aggiunse,

– ….” Se solo aveste una minima capacità, profondità, o

ampiezza, o …invece non ci sta dentro niente; è inutile,

…inutile…, non si può pretendere di far stare le vastità

stellate senza limiti dell’Universo in un bicchiere!!”.

Io continuai a non rispondere, me ne stavo lì, in un ge-

lido silenzio, offeso; non avrei detto una sola parola

nemmeno se fosse servito a salvargli la vita.

Ma lui se ne accorgeva, anche stavolta stava pensan-

do, e infatti poco dopo disse:

– “Maledizione, è così difficile! Se almeno sapessi da

dove cominciare, se trovassi un punto di partenza…

ma non ne trovo….

Se…ascolta, riesci ad annullare il Tempo?

Riesci a comprendere l’eternità?

Riesci a concepire una cosa che non ha inizio, che

è sempre esistita?

Provaci!!”.

 

 

 

 

 

 

avi 40

 

L’ ALTRO JOHN BROWN (35)

Precedente capitolo:

Pionieri e nativi: l’altro John Brown (34)

Prosegue in:

Pionieri e nativi: l’altro John Brown (36)

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l’altro

John Brown

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l'altro john brown 35

 

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l'altro john brown 35

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano tutte colpite, e la signora Glossop disse, con voce

tremante:

– “Sarah Enderby, non hai mai detto nulla di più vero in

tutta la tua vita. E’ stato mandato: un angelo – un ange-

lo più vero di quanto un angelo non sia mai stato – un

angelo di liberazione.

Dico angelo, Sarah Enderby, e non userò altra parola.

Che nessuno venga più a dirmi che non esistono.

Provvidenze particolari; giacché se questa non lo è, mi

devono spiegare cosa può esserlo”.

– “Lo so che è così,

disse la signora Taylor con fervore.

– John Brown, io la adoro; potrei inginocchiarmi davan-

ti a lei. Non ha udito una voce? Non ha sentito di essere

stato mandato? Potrei baciare l’orlo della sua coperta”.

John era incapace di parlare; era impotente, pieno di ver-

gogna e di paura.

La signora Taylor proseguì:

– “Diamine Julia Glossop non ci vuole molto a rendersi con-

to. Chiunque può scorgere la mano della Provvidenza in

tutto ciò. Che cosa vediamo a mezzogiorno? Vediamo del

fumo salire. Ho detto: ‘Questa è la capanna delle Vecchie

che va a fuoco’. Non ho detto così, Julia Glossop?”.

– “Queste esatte parole, Nancy Taylor. Ero vicina a te come

lo sono adesso, e le ho udite perfettamente. Puoi avere det-

to baracca invece di capanna, ma la sostanza non cambia.

Ed eri anche pallida”.

– “Pallida? Ero pallida come…diamine, come quella coper-

ta da viaggio. Subito dopo ho detto:  Mary Taylor, di’ al

bracciante di attaccare i cavalli, andiamo in soccorso”.

E lei:

– “Mamma, lo sai, gli hai permesso di andare in visita dai

suoi parenti, e di restare fino a domenica”.

– “E così era. Lo ammetto, me n’ero dimenticata. Allora,

ho detto, andremo a piedi. E siamo andate. E per strada

abbiamo incontrato Sarah Enderby”.

– “Siamo andate tutte insieme,

disse la signora Enderby.

– E abbiamo trovato la capanna data alle fiamme e bru-

ciata dalla matta, e quelle povere vecchie creature così

vecchie e fragili da non poter reggersi in piedi. Le abbia-

mo sistemate all’ombra, il più possibile a loro agio, e ab-

biamo cominciato a chiederci in quale maniera potessimo

trovare una maniera di portarle a casa di Nancy Taylor.

A quel punto ho detto….cosa ho detto? Non ho detto: La

Provvidenza provvederà?”.

– “Diamine, quanto è vero che sei viva, è quello che hai

detto! Lo avevo dimenticato”.

– “Anch’io”

dissero la signora Glossop e la signora Taylor.

– “Ma certo che l’hai detto. ora, non è incredibile?”.

– “Sì, l’ho detto. Dopodiché siamo andate a casa del signor

Moseley, due miglia, ma erano andati tutti all’incontro di

preghiera sullo Stony Fork; a quel punto siamo tornate in-

dietro, due miglia, poi siamo venute fin qui, un altro mi-

glio – e la Provvidenza ha provveduto. Lo vedete da voi”.

Si guardarono piene di timore, e levando le mani dissero

all’unisono:

“E’ as-so-lu-ta-mente meraviglioso”…….

(M. Twain, seguendo l’Equatore)

 

 

 

 

 

l'altro john brown 35

 

PIONIERI E NATIVI: anatomia di un incontro (30)

Precedente capitolo:

pionieri e nativi: un caso di plagio (29) &

pionieri e nativi: il dottor Cook e Thomas Bridges (28) &

la sofferenza necessaria all’uomo (27) &

Prosegue in:

pionieri e nativi: Considerazioni ‘eretiche’ (31)

pionieri e nativi: anatomia di un incontro  (32)

pionieri e nativi: anatomia di un incontro  (33)

una fotografia (analisi e considerazioni…)

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anatomia

...di un incontro

Da:

i miei libri

 

 

anatomia di un incontro

 

 

 

 

 

 

 

….Finalmente il 21 dicembre alle ore 8 pom., giungiamo dinnanzi

alla penisola di Ushuaina e girando attorno alla corona di isolette

che la recingono a sud-est, gettiamo due ore e mezzo dopo l’anco-

ra nella baia a dieci metri di acqua.

Ushuaia, che contende a Punta-Arenas l’onore di essere la città più

meridionale del mondo, malgrado il suo titolo ufficiale di capitale

della Terra del Fuoco non è che una semplice borgata composta da

una ventina di case e di una cappelletta, costruita in legno.

 

anatomia di un incontro

 

I primi anni della sua fondazione furono tragici quanto quelli di

Punta-Arenas e non fu che in seguito ad una catastrofe e numerose

difficoltà di ordine secondario che la ‘South American Missionary

Society’ pervenne a stabilirvisi nel 1862.

L’anno seguente essa affidava la stazione evangelica all’opera del

reverendo Tommaso Bridges al quale dava per sostituto Giovanni

Lawrence tanto che da quel giorno i ricordi storici di Ushuaia si

confondono con quelli di questi due uomini.

 

anatomia di un incontro

 

Fin dal momento in cui i due reverendi si stabilirono ad Ushuaia,

alcuni Indiani si unirono ad essi e oggigiorno la maggior parte de-

gli aborigeni superstiti soggiorna presso la stazione evangelica 

e presso una succursale fondata a Tekenika.

Con tutto questo, però, ci permettiamo di mettere in dubbio la

conversione dei poveri indigeni e quanto alla loro condotta mora-

le possiamo assicurare di non esser punto migliorata. La moralità

 

anatomia di un incontro

 

presso gli Yahgàns, raggiunge in confronto di quella che verificasi

presso le tribù degli Alacaloufs e degli Onas, proporzioni enormi

e fra breve, secondo quello che dicono gli stessi missionari, la colo-

nia dei reverendi evangelisti come quella dei reverendi Padri Sale-

siani non avrà più ragione di esistere e tale caso fu già assai giusta-

mente preveduto.

Tom Bridges era un uomo eminemente pratico e il regime di vita

Yahgans non gli garbava punto, e non voleva soffrire le loro pene

o occuparsi delle loro rarissime gioie. Non comprendeva la evan-

gelizzazione come la praticano altri missionari con spirito di sacri-

ficio e la cura della felicità eterna gli premeva assai meno di quel-

la terrena.

 

anatomia di un incontro

 

In cambio del nutrimento gl’Indiani appartenenti alla Missione la-

voravano nella fattoria, custodivano il bestiame, senza che essi po-

tessero mai pretender, pur dopo annale di vera servitù, di divenir-

ne proprietari o godere in un modo qualunque i benefici che dava

tale sfruttamento.

Da circa dieci anni il reverendo Bridges si è ritirato dal sacerdozio

per potersi dedicare totalmente agli affari ed in questo periodo si

è più volte recato a Buenos-Ayres onde darvi conferenze allo sco-

po di impietosire l’opinione pubblica sulla sorte dei poveri Yah-

gans, ottenendo così dal Governo argentino una concessione gra-

tuita di oltre 20.000 ettari di terreno situati un poco ad oriente di

Ushuaia presso l’imboccatura del Canale delle Beagle, verso il

Pacifico, nella più bella parte – senza dubbio – della Terra del Fuo-

co.

anatomia di un incontro

Lo scopo del Governo, accordando tale concessione, era evidente-

mente di permettere agli indigeni l’addestramento ai lavori dell’-

agricoltura e all’allevamento del bestiame mentre il risultato più

notevole e meno previsto fu quello di permettere a Bridges di  

raccogliere una non disprezzabile fortuna. 

Esso si stabilì sulle rive di una piccola baia, uno dei migliori anco-

raggi di tutta la zona australe della Fuegia, che battezzò con il no-

me di Harberton in ricordo, a quanto pare della località inglese

ove nacque la sua audace compagna.

Di lì egli proseguì con gli indigeni lo scambio lucroso delle pel-

li di lontra e di guanachi che aveva già iniziato a Ushuaia sui pri-

mordi della missione. Il rev. Lawrence che gli succedette pur di-

mostrando minore attitudine negli affari lascerà ai suoi figli un

invidiabile posizione allorquando sulla soglia della missione mor-

rà di etisia l’ultimo dei Yahgans che erano 3.000 quarant’anni or

sono ed oggi raggiungono appena il numero esiguo di 200.

(Il viaggio della ‘Belgica’ al Polo Sud narrato dal capitano A. De

Gerlache, comandante della spedizione)

 

 

 

 

 

 

 

anatomia di un incontro

      

PIONIERI E NATIVI: il dottor Cook e Thomas Bridges (e …i libri rubati…) (28)

Precedenti capitoli:

la sofferenza necessaria all’uomo (27)

(intermezzo artico)

Prosegue in:

pionieri e nativi: un caso di plagio (29)

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Thomas Bridges

Libri, appunti, dialoghi…

i miei libri

 

 

il dottor cook e thomas bridges

 

 

 

 

 

 

 

Il giovane Thomas Bridges, appena diciottenne, rimase a prendersi

cura dell’insediamento di Keppel Island.

Qualche anno più tardi, dopo una visita in Inghilterra da cui tornò

accompagnato da una giovane moglie, venne a sua volta ordinato

pastore della Chiesa d’Inghilterra dal compianto vescovo Stirling,

prima di intraprendere la fondazione di una sede permanente del-

la missione nella vera e propria Terra del Fuoco.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Non si trattava del primo tentativo, dato che nel 1859 una preceden-

te spedizione si era conclusa in un massacro. La famiglia Bridges era

però destinata ad avere successo dove gli altri avevano fallito e nel

corso del tempo il signor Bridges si conquistò a tal punto la fiducia

degli indiani di capo Horn che divenne di fatto il loro capo e giudi-

ce, in una terra fino ad allora appena sfiorata dalla legge dell’uomo

bianco. 

La tranquilla e felice residenza di Harberton sul Beagle Channel, 

dove nacquero e crebbero cinque o sei bambini, divenne un noto

avamposto della civiltà.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Anche se nel 1887 il signor Bridges si dimise dalla Società Missiona-

ria Sudamericana, la famiglia rimase nella Terra del Fuoco, dove il

governo argentino, in segno di riconoscenza per l’opera pioneristica

svolta dal pastore nella regione del Canale, gli assegnò una conces-

sione di terra.

Thomas Bridges non abbandonò mai il suo profondo interesse per

la vita e i problemi delle tribù indiane e continuò a studiarne la

lingua fino alla fine dei suoi giorni. Per tradurre in scrittura tutti i

suoni dell’idioma yamanà fece ricorso al sistema di trascrizione

fonetica di Ellis, apportandovi adattamenti e integrazioni, ma per

indicare suoni non previsti da questo sistema elaborò anche un

alfabeto fonetico di sua invenzione.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Il manoscritto originale, che conteneva circa 23.000 vocaboli, fu

terminato secondo quanto leggiamo in una lettera di Bridges,

nel 1879. Ma sul momento non si presentarono oppurtunità, sia

per l’isolamento in cui viveva l’autore, sia perché non esistevano

i caratteri tipografici dell’alfabeto fonetico che aveva inventato.

Continuò comunque a lavorarci sopra, apportando aggiunte,

revisioni e miglioramenti, fino a raggiungere, al momento del-

la sua morte, i 32.000 lemmi.

Durante il viaggio a Buenos Aires sul brigantino ‘Phantom’, che

precedette di pochi giorni la sua dipartita, stava lavorando alla

revisione definitiva della grammatica.

Il risultato delle sue fatiche fu un documento assolutamente 

insostituibile, poiché gli indiani yamanà stavano scomparendo.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Ai tempi di Darwin ammontavano a circa 3.000 ma, sebbene capaci

di resistere ai rigori del loro clima caddero come mosche di fronte

alle malattie trasmesse dalla civiltà.

Nel 1884 da tremila erano già scesi a meno di un migliaio, e in

quello stesso anno un’epidemia di morbillo trasmessa dalla prima

spedizione militare proveniente da Buenos Aires devastò il territo-

rio, sterminando interi villaggi e riducendo la tribù a circa 400 indi-

vidui. Nel 1908 ne erano rimasti 170 e alla fine del novembre 1932 i 

superstiti erano solo 43, compresi alcuni meticci che vivevano ai 

margini degli insediamenti e la cui parlata, infiorata di termini spa-

gnoli, aveva smarrito l’antica purezza.

L’opportunità di cui aveva goduto il signor Bridges non si sarebbe

pertanto ripresentata più.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Della circostanza si rese immediatamente conto un certo dottor Frede-

rick A. Cook, che più tardi sarebbe diventato celebre come sedicente

‘scopritore’ del polo Nord, e che giunse in visita ad Harberton il gior-

no di capodanno del 1898, quando il ‘Bélgica’, con a bordo la spedi-

zione antartica belga del 1897-99, attraccò su quelle coste durante il

tragitto verso Sud.

Il dottor Cook dichiarò che un’associazione statunitense interessata

a tutte le lingue indigene americane avrebbe superato il problema

del sistema fonetico e pubblicato volentieri il lavoro.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Sul momento il signor Bridges non acconsentì a consegnarli il

manoscritto, dato che la spedizione si stava dirigendo verso sud

e temeva perciò che potesse andare smarrito nell’Antartico. 

Promise tuttavia di affidarlo al dottor Cook se questi fosse pas-

sato a prenderlo durante il viaggio di ritorno.

Thomas Bridges non visse abbastanza per assistere a quel ritorno,

poiché morì a Buenos Aires nello stesso 1898. Ma l’anno seguente

il dottor Cook, come aveva annunciato, tornò a reclamare il dizio-

nario, lasciando il ‘Bélgica’ a Punta Arenas e scendendo fino ad Har-

berton su un piccolo vascello appositamente per recuperare il ma-

noscritto, che la famiglia Bridges, memore della promessa paterna,

gli consegnò.

 

il dottor cook e thomas bridges

 

Da allora a oggi nessun membro della famiglia l’ha più rivisto.

In principio arrivarono delle lettere in cui Cook riferiva le difficoltà

procurategli dall’alfabeto utilizzato. Ma le sue comunicazioni si fece-

ro sempre più rare fino a cessare del tutto, lasciando senza risposta

risposta l’ultima lettera che la famiglia Bridges gli inviò dalla Terra

del Fuoco. 

Dodici anni più tardi una squadra di scienziati scandinavi fece

scalo, come era consuetudine per molte spedizioni scientifiche

dirette nell’Antartico, all’isolato allevamento di pecore di Herber-

ton, e dai suoi componenti i figli del signor Bridges seppero che

il prezioso dizionario era in corso di stampa presso l’Osservatorio

Reale di Bruxelles come opera del dottor Frederick A. Cook che 

che di fatto era già stato pubblicizzato sotto il nome di quest’ulti-

mo.

Offeso dal plagio spudorato, il signor Lucas Bridges colse la pri-

ma occasione per recarsi a Bruxelles a parlare con il sovrintenden-

te dell’osservatorio, monsieur Lequent. Appurò che, come gli era

stato riferito dagli scienziati norvegesi, l’operazione era già avviata.

Il Parlamento belga aveva votato uno stanziamento di 22.000 mila 

franchi per le spese di pubblicazione, e il dottor Cook si era accor-

rdato con i responsabili dell’Osservatorio per la copertina dell’o-

pera.

Vi si sarebbe letto:

 

         DIZIONARIO  yamanà-inglese

                             di

              FREDERICK A. COOK

              dottore in antropologia

 

il dottor cook e thomas bridges

 

In calce sarebbe stato riportato in corpo minore che il reverendo

Thomas Bridges aveva ‘contribuito alla raccolta dei lemmi’.

Il professor Lequent, tuttavia, non era all’oscuro della reale paterni-

tà dell’opera, già nota nel mondo scientifico e da lui stesso segnalata

al dottor Cook. 

Riconobbe la fondatezza delle rivendicazioni della famiglia e, dopo

dopo qualche discussione, fu stabilito che il manoscritto sarebbe ri- 

masto per il momento all’Osservatorio e che i lavori di pubblicazio-

ne sarebbero proseguiti, ma che ci sarebbe stato un rovesciamento

dell’ordine dei nomi sulla copertina, dove si sarebbe letto:

 

                           DIZIONARIO yamanà-inglese

                                               di

                                      Thomas Bridges

 

(E. Lucas Bridges, Ultimo confine del mondo)

 

 

 

 

 

il dottor cook e thomas bridges

            

PIONIERI e NATIVI: la terra trasformata (26)

Precedenti capitoli:

 

pionieri e nativi (26)

 

li ho creati io (22)

 

pionieri e nativi (26)

 

quando la lingua contribuisce alla vittoria (23)

 

pionieri e nativi (26)

 

pionieri e nativi: la terra trasformata (25)

 

Prosegue in:

 

pionieri e nativi (26)

 

la sofferenza necessaria all’uomo per… (27)

 

 

 

 

pionieri e nativi (26)

 

 

 

 

 

 

 

Gli animali da pelliccia del New England coloniale

furono distrutti in due modi: con il prezzo posto per

la loro cattura e con la perdita degli ‘habitat’ ecologi-

ci, sostituiti da un nuovo utilizzo della terra da parte

degli uomini.

Gli ‘habitat’, precedentemente gestiti dagli indiani

tendevano a ritornare boschivi per la diminuzione

della popolazione nativa.

Ma, oltre alle foreste, anche il resto del paesaggio

venne modificato o ridotto – e su larga scala – dal

disboscamento, un’attività alla quale i coloni in-

glesi, con i loro confini fissi di proprietà, dedicaro-

no un’attenzione molto più accurata rispetto agli

indiani.

Sia che le terre divenissero foreste, o che divenis-

sero campi, le conseguenze finali furono le stesse:

la riduzione – o a volte la sostituzione, come avven-

ne con il bestiame europeo – delle popolazioni ani-

mali che le avevano un tempo abitate.

La scomparsa del cervo, del tacchino e di altri ani-

mali minacciò così non solo una nuova economia

basata sulla caccia, ma anche una nuova ecologia

della foresta.

I coloni tagliarono gli alberi per molte ragioni.

Alcune di queste – come il disboscamento dei cam-

pi per l’agricoltura – erano funzionali all’economia

rurale europea, e spesso generavano solo indiretta-

mente legami con i mercati.

Altre, come il taglio del legname, erano molto più

direttamente legate con l’attività mercantile e il com-

mercio.

Insieme alle pellicce, il legname fu tra i primi ‘beni

commerciabili’ inviati in Europa per saldare i debiti

con i finanziatori.

Nel 1621, quando i Padri Pellegrini fecero la loro

prima spedizione verso la madrepatria con il ‘Fortu-

ne’, un vascello di 52 tonnellate, inviarono solo due

casse di pellicce; il resto della stiva della nave fu, co-

me raccontò Bradford ‘caricata di buone assi quan-

te se ne potevano trasportare’.

Ancor più delle pellicce, il cui acquisto richiedeva

uno scambio di beni con i cacciatori indiani, il legna-

me poteva essere raccolto liberamente. Teoricamen-

te era necessario possedere la terra sulla quale cre-

sceva, ma questa era una regola facile da eludere.

Buona parte del valore insito nel legname apparve

come il dono della natura, che richiedeva solo un

modesto investimento di lavoro e di capitale per es-

sere trasformato in profitto.

Per ‘migliorare’ gli alberi da legname, e acquistar-

ne così i diritti di proprietà, si doveva semplicemen-

te tagliarli, segarli o spaccarli in misure maneggevo-

li e inviarli al mercato, il passaggio più costoso.

In alcune zone, questo venne fatto contemporane-

amente al disboscamento per gli insediamenti agri-

coli; in altre, il taglio della legna fu di per sé un’im-

portante attività economica.

I coloni cercavano specie diverse di alberi per scopi

differenti, così, quando il taglio del legname non

coincideva con il disboscamento, abbattevano le fo-

reste in modo selettivo a seconda degli usi richiesti.

Dal 1630 circa in poi, la maggiore concentrazione

del commercio di legname per esportazione era si-

tuata nel Maine e nel New Hampshire, lungo i prin-

cipali fiumi a nord del Merrimac.

In quelle regioni, al posto delle vecchie foreste incen-

diate, si trovavano distese di pini strobi con alberi

che arrivavano fino a quasi a due metri, e dai trenta

ai sessanta metri di altezza.

Nel 1682, ventidue segherie, operanti nei luoghi del-

le attuali Kittery, Wells e Portland, spedivano princi-

palmente legno dolce che, contrariamente a quello

più duro, poteva galleggiare sui corsi d’acqua naviga-

bili che giungevano fino alla costa.

La foce del Piscataqua divenne rapidamente il prin-

cipale porto per il legname delle colonie del nord.

Le foreste non erano solo un luogo di caccia, ma ora

fonte primaria per il mantenimento del potere nava-

le dei coloni.

Le terre erano ora più che mai indispensabili…..

(W. Cronon, la terra trasformata)

 

 

 

 

 

 

pionieri e nativi (26)

 

PIONIERI E NATIVI: speculatori & ‘Uomini in buona fede’ (19)

Precedenti capitoli:

pionieri e nativi: The Trail of Tears (18) &

un pioniere: Frederick Douglass (17) &

il pioniere (16) &

un pioniere: John Brown (15) &

un pioniere: John Brown (14)

Prosegue in:

pionieri e nativi: John Wesley (20) &

rivoluzionari (21)

 

 

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….Non vorrei che il lettore credesse che io carico qui le

tinte del mio quadro…..

Ho visto coi miei propri occhi molte delle miserie che

ho descritto; ho contemplato mali che mi sarebbe im-

possibile rievocare (la vera natura …del male…).

Alla fine del 1831, mi trovavo sulla riva sinistra del Mis-

sissippi, in un luogo chiamato dagli europei Memphis.

Mentre mi trovavo in questo posto, vi giunse una torma

numerosa di Choctaws; questi selvaggi abbandonavano

il loro paese e cercavano di passare sulla riva destra del

Mississippi, dove s’illudevano di trovare un asilo che il

governo americano prometteva loro.

 

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Si era allora nel cuore dell’inverno, e il freddo imperver-

sava in quell’anno con una violenza insolita; la neve s’-

era indurita sulla terra, e il fiume trascinava enormi bloc-

chi di ghiaccio.

Gli indiani conducevano con sé le loro famiglie; si trasci-

navano dietro feriti, malati, bambini appena nati e vec-

chi morenti. Essi non avevano né tende, né carri, ma so-

lo poche provviste e armi.

 

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Li vidi imbarcarsi per traversare il grande fiume, e que-

sto spettacolo solenne non uscirà mai dalla mia memoria.

Non si udivano tra questa folla riunita né singhiozzi, né

pianti: essi tacevano.

Le loro sventure erano antiche, ed essi le sentivano irri-

mediabili. Gli indiani erano già tutti entrati nell’imbarca-

zione che li doveva portare; i loro cani restavano ancora

sulla riva; quando quegli animali videro infine che stava-

no per allontanarsi per sempre, mandarono insieme terri-

bili latrati e, lanciandosi insieme nelle acque gelide del

Mississippi, seguirono a nuoto i loro padroni.

 

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La spogliazione degli indiani si opera spesso ai nostri gior-

ni in modo regolare, e per così dire legale.

Quando la popolazione europea comincia ad avvicinar-

si al deserto occupato da una nazione selvaggia, il gover-

no degli stati Uniti invia comunemente a quest’ultima un’-

ambasciata solenne; i bianchi radunano gli indiani in una

grande pianura e, dopo aver mangiato e bevuto con loro,

dicono loro: ‘Che cosa fate nel paese dei vostri padri? Pre-

 

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sto dovrete dissotterrare le loro ossa per vivervi. In che

cosa la contrada che abitate vale più di un’altra? Solo

qui vi sono boschi, paludi e praterie, e non sapete vivere

che sotto il vostro sole? Al di là di queste montagne che

vedete all’orizzonte, al di là di questo lago che limita ad

ovest il vostro territorio, vi sono vaste contrade, dove si

trovano ancora in abbondanza le bestie selvatiche; ven-

deteci le vostre terre (ve le pagheremo bene…non siamo

mica……..degli…..speculatori…..) ed andate a vivere in

quei luoghi’.

 

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Dopo aver tenuto questo (bellissimo) discorso, si espon-

gono agli occhi degli indiani armi da fuoco, vestiti di la-

na, barili di acquavite, collane di vetro, braccialetti di

stagno, orecchini e specchi.

Se, alla vista di tutte queste ricchezze, esitano ancora, si

insinua che non possono rifiutare il consenso che si do-

manda loro, e che presto il governo stesso sarà impoten-

te a garantire il godimento dei loro diritti.

Che fare?

Mezzi convinti, mezzi costretti, gli indiani si allontana-

no; vanno ad abitare nuovi deserti dove i bianchi non li

lasceranno in pace nemmeno per dieci anni….

E’ così che gli Americani acquistano a vil prezzo (bibbia

alla mano…) intere province, interi stati, intere vite, che

neppure i più ricchi ed illuminati sovrani d’Europa non

potrebbero pagare.

 

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Il 19 maggio 1830, il signor Ed. Everett affermò davanti

alla Camera dei rappresentanti che gli Americani avevano

già acquistato con un ‘trattato’, ad est ed a ovest del Mis-

sissippi, 230.0000.000 di acri.

Nel 1808, gli Osagi furono costretti a cedere 48 milioni di

acri per una rendita inferiore ai 1.000 $.

Nel 1818, i Quapaws cedettero 20.000.000 di acri per…

4.000 $; essi si erano riservati un territorio di 1.000.000 di

acri per cacciare. Si era solennemente giurato che lo si sareb-

be rispettato; ma non tardò ad essere invaso come il resto.

 

Gli indiani d’America del Nord avevano due sole vie di sal-

vezza: la guerra (con armi fabbricate e vendute…dai prodi

Americani), oppure la docile sottomissione ….alla Bibbia….

(Tocqueville, la….Democrazia….in…America….)

 

 

 

 

 

 

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PIONIERI e NATIVI: The Trail of Tears (18)

Precedenti capitoli:

il pioniere: Frederick Douglass (17) &

il pioniere (16)

Prosegue in:

pionieri e nativi: speculatori & Uomini in ‘buona fede’ (19)

Da:

i miei libri

 

 

pionieri e nativi

 

 

 

 

 

 

 

Nel maggio 1830, il Congresso vota l’Indian Removal Act,

che permette al presidente Jackson di cambiare le terre a

ovest del Mississippi con quelle occupate dalle tribù del

Sud-est.

Queste terre dell’Ovest vengono chiamate ‘Indian Terri-

tory’: corrispondono più o meno all’attuale Stato dell’O-

klahoma.

Nel 1838 il presidente Van Buren non ha timore di dichia-

rare: ‘le misure adottate dal Congresso durante la sua ul-

tima sessione hanno avuto felici risultati. I Cherokee so-

no emigrati senza la minima apparente disapprovazio-

ne’.

La realtà è ben altra, poiché gli indiani hanno opposto

ogni forma di resistenza.

Prima dell’approvazione del progetto, alcuni capi delle

cinque tribù si recano al Senato dove spiegano quel che

hanno costruito sulle loro terre – e si affidano all’ammi-

nistrazione federale affinché le difenda.

 

pionieri e nativi

 

In effetti, lo Stato della Georgia, sul quale si trovano i

Cherokee, perseguita gli indiani da diversi anni. La leg-

ge marziale è imposta ovunque; le terre dei Cherokee e-

rano state frazionate e vendute all’asta; membri della

tribù erano stati condannati a morte da una giuria del-

lo Stato della Georgia e impiccati da boia dello stato.

I numerosi appelli fatti dal presidente e al Congresso

per chiedere protezione avevano avuto come risultato,

da parte del governo federale, solo confessioni d’impo-

tenza per proteggere gli indiani.

Così lo Stato della Georgia applica le sue leggi alle ri-

serve indiane, mentre, come nazioni indipendenti, le

tribù non hanno rapporti se non con il governo fede-

rale.

Gli indiani allora portano il conflitto giuridico davan-

ti alla Corte Suprema e il giudice Marshall dà loro ra-

gione.

In realtà tale decisione non sortì nessun effetto sul go-

verno dello Stato della Georgia. In quanto al presiden-

te Jackson, dichiarò semplicemente: ‘Marshall ha pre-

so una decisione, ora la metta in pratica!’. 

Di fronte a tale cinismo delle autorità federali, la mag-

gior parte delle tribù si rifiutarono di firmare trattati di

emigrazione e decidono di restare nei loro territori. Ma

nel 1835 alcuni capi firmano il trattato e se vanno nei

nuovi territori con 500 dei 20.000 indiani che formano

le tribù.

 

pionieri e nativi

 

Gli indiani devono accollarsi le spese dell’esodo; in gene-

rale le somme necessarie vengono trattenute sulla vendi-

ta della loro terra; questo sistema sarà applicato a tutte le

tribù deportate dal governo americano, che si rifarà così

delle spese!

Per vincere la resistenza dei rimanenti, nel 1838 il gover-

no federale manda il generale Scott e le sue truppe nel Sud-

est. I soldati di Scott, aiutati dai coloni, battono il territorio

dei Cherokee e dei Creek, cacciando gli indiani dai loro po-

deri a colpi di baionetta.

Nello stesso tempo depredano, bruciano i raccolti, abbatto-

no il bestiame. I ribelli vengono raccolti in recinti fortificati 

in attesa dell’esodo. Dei Cherokee riescono a nascondersi 

nelle Smoky Mountains, dove vivono i loro discendenti.

Nel 1834 i Seminole si rifugiano nelle paludi della Florida

per sfuggire all’armata. Nonostante gli sforzi dei sette ge-

nerali inviati successivamente in Florida, e i suoi guerrie-

ri resistono fino al 1842.

….Per molti mesi l’esercito scorta i ‘ribelli’, molti di essi

sono incatenati, fino ai nuovi territori. Nella fretta gli in-

diani riescono spesso a portare solo lo stretto necessario.

Alexis de Tocqueville incontra questi indiani….vicino al

Mississippi……..

(P. Jacquin, Storia degli Indiani d’America) 

 

 

 

 

 

pionieri e nativi

 

UN PIONIERE MODERNO: (Mc Murphy) (13)

Precedenti capitoli:

(conversazione con il grande capo)  (1)  (2)

il Pioniere (12)

il Pioniere: la Saginaw (11)

il Pioniere (10)

Foto del blog:

il pioniere (4)

il pioniere (5)

Da:

Frammenti in rima

Prosegue in:

il Pioniere: John Brown (14)

 

 

un pioniere moderno

 

 

 

 

 

 

…..Due sgualdrine sarebbero venute da Portland per

accompagnarci  a pescare nella Saginaw su un battello!

Tutto questo mi rese difficile restare a letto fino a quan-

do le luci si accesero nel dormitorio alle sei e mezzo.

Fui io il primo a uscire dal dormitorio per andare a guar-

dare l’elenco nel quadro degli avvisi accanto alla sala in-

fermiere, e accertare se davvero figurasse il mio nome.

 

un pioniere moderno

 

FIRMARE PER LA PARTITA DI PESCA IN ALTO ….

FIUME, vi si poteva leggere in alto, in grandi lettere a

stampatello.

McMurphy aveva firmato subito dopo, e immediata-

mente sotto la firma di McMurphy, veniva per primo Bil-

ly Bibbit.

Harding era il numero tre. Fredrickson il numero quattro,

e così via via fino al numero dieci, ove nessuno aveva fir-

mato ancora.

Il mio nome figurava nell’elenco, l’ultimo nome, accanto

al numero nove. Sarei effettivamente uscito dall’ospedale,

con due sgualdrine, su un peschereccio; dovetti continua-

re a ripeterlo a non finire a me stesso per poterci credere.

 

un pioniere moderno

 

I tre inservienti negri si insinuarono davanti a me e lesse-

ro l’elenco seguendo i nominativi con le dita grigie, trova-

rono il mio nome e si voltarono a sorridermi.

– Oh bella, chi può avere scritto il nome del Capo Brom-

den per questa scempiaggine? Gli Indiani non sanno …

scrivere.

– E che cosa ti fa supporre che gli indiani sappiano legge-

re?

A quell’ora mattutina l’amido era ancora fresco e rigido

abbastanza perché le loro braccia frusciassero entro le

uniformi bianche, quando si muovevano, simili ad ali di

carta.

 

un pioniere moderno

 

Feci il sordo e finsi di non udire che ridevano di me, come

se nemmeno me ne fossi accorto, ma quando mi porsero

una scopa affinché sbrigassi il loro lavoro nel corridoio,

voltai le spalle e tornai nel dormitorio dicendo a me stes-

so: ‘Al diavolo le pulizie. Un uomo che andrà a pesca con

due sgualdrine di Portland, non si abbassa a queste fesse-

rie’.

….McMurphy si era piazzato il berretto da motociclista

inclinato in avanti sulla zazzera rossa per avere l’aspetto

di un capitano di mare, e la canottiera rivelava i tatuaggi

fattigli a Singapore.

 

un pioniere moderno

 

Si dondolava sul pavimento come se fosse stato il ponte di

una nave e fischiava nel pugno chiuso a mo’ del fischietto

 di un nostromo.

– In coperta, gente, in coperta, o vi rinchiudo nella cala

o se preferite…in manicomio, da prora a poppa!!

Con le nocche fece risuonare la tastiera del letto accanto a

quello di Harding.

– Sei rintocchi di campana e tutto va bene. La nave fila sul-

la rotta. In coperta! Mollate gli uccelli e prendete i calzini!

Mi vide in piedi subito al di qua della soglia e si avvicinò

di corsa per rifilarmi manate sulla schiena come un tambu-

ro.

 

un pioniere moderno

 

– Guardate qui il Grande Capo; ecco un esempio di buon

marinaio e pescatore; in piedi deficenti prima che faccia

giorno e fuori a scavare vermi rossi per l’esca. Voialtri,

spregevole branco di marinai d’acqua dolce, farete bene

a imitarlo. In coperta!! Oggi è il grande giorno! Giù dal

letto e a fiume…..

 

un pioniere moderno

 

…Distesi sui letti mi guardarono mentre indossavo indu-

menti caldi per il Grande Viaggio, e mi fecero sentire a

disagio e un po’ colpevole.

Intuivano che ero l’unico Cronico prescelto per la gran-

de partita di pesca….

E mi osservavano….vecchi soldati per anni sulle sedie 

a rotelle, con cateteri lungo le gambe, simili a rampican-

ti accompagnati da vecchi generali …russi….

…Mi guardavano e capivano istintivamente ch’io sarei

andato con gli altri. E potevano essere ancora un po’ ge-

losi perché non era toccato a loro.

 

un pioniere moderno

 

Capivano, perché in essi era stata soffocata una parte del-

l’uomo sufficiente a far sì che gli ancestrali istinti animale-

schi prevalessero, e potevano essere  gelosi perché in loro

rimaneva tanto di uomo da ricordare ancora.

McMurphy andò a dare un’occhiata all’elenco, poi tornò

indietro e cercò di persuadere altri…Acuti a firmare, se-

guendo la fila e sferrando calci ai letti sui quali si trovava-

no ancora pazienti con il lenzuolo tirato in faccia….dicen-

do loro che cosa fantastica era trovarsi al largo nel pieno

di una tempesta…di imbecilli…, con il mare forza nove che

scroscia tutto attorno a un solo ed unico dannato battello….

 

un pioniere moderno

 

– Forza, poltroni, mi serve soltanto un altro marinaio per

completare l’equipaggio, mi serve ancora un dannato vo-

lontario…..

Ma non riuscì a prendere nessuno.

La Grande Infermiera aveva spaventato tutti gli altri de-

 ficenti con le sue storie sui mari tempestosi e su strani

pazzi pronti a solcare ogni onda….di fiume….

 

un pioniere moderno

 

…Intanto il grosso e sdentato e bisbetico vecchio svedese

che gli inservienti negri chiamano George lo Strofinello,

a causa della sua mania per l’igiene, venne avanti a passi

 strascicati nel corridoio, pencolando a tal punto all’indie-

tro da avere i piedi molto più in là della testa, si fermò da-

vanti a McMurphy e farfugliò qualcosa nella mano.

George è molto timido. Non si poteva vederne gli occhi,

tanto li aveva infossati sotto la fronte, e inoltre teneva il

grosso palmo a coppa intorno a quasi tutto il resto della

faccia.

 

un pioniere moderno

 

La testa gli dondolava come un nido di cornacchie in ci-

ma a quella sua spina dorsale all’albero maestro d’una

nave.

Continuò a farfugliare nella mano finché in ultimo, Mc-

Murphy si sporse e tirò via la mano, in modo che le pa-

role potessero venir fuori.

– Sentiamo, George, cos’è che stai dicendo?

– Vermi rossi, non li vedi,

egli stava dicendo.

– Credo che non vi servirebbero a niente….non per i Chi-

nook.

– Ah sì?

disse McMurphy.

– I vermi rossi? Potrei anche trovarmi d’accordo con te,

George, se tu mi facessi capire di quali vermi rossi stai

parlando.

– Mi sembra di averti sentito dire poco fa che Bromden

era andato fuori a scavare vermi rossi per esca…

– E’ vero, me ne ricordo.

– E allora dico soltanto che non avrete fortuna con quei

vermi, vermi sono e rimarranno…e non fanno il caso no-

stro, hanno troppo problemi …poveri vermi. Questo è

il mese del grande passaggio dei Chinook…sicuro. Le a-

ringhe, ci vogliono. Si-curo. Procuratevi un po’ di arin-

ghe, adoperatele come esca, e allora sì che la pesca sarà

fortunata….

(K. Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo)

 

 

 

 

 

un pioniere moderno

 

IL PIONIERE (6)

Precedente capitolo:

il pioniere: M. Houston (5)

Prosegue in:

il pioniere (7) &

il pioniere (8) &

il pioniere (9) &

il pioniere (10)

Foto del blog:

il pioniere (2) &

il pioniere (3)

Da:

i miei libri

 

 

indiani (2)

 

 

 

 

 

 

 

 

D. E’ VERO CHE LA VALLE DEL MISSISSIPPI CONSERVA

LE TRACCE DEL PASSAGGIO D’UNA RAZZA PIU’ CIVI-

LIZZATA DI QUELLA CHE VI ABITA ORA?

R. Mi sono spesso imbattuto in fortificazioni che testimoni-

ano in modo evidente l’esistenza di un popolo arrivato a un

grado abbastanza elevato di civiltà. Da dove è venuto que-

sto popolo? Come è scomparso? E’ un mistero. Ma non si

può mettere in dubbio che sia esistito e niente ci induce a

credere che gli Indiani siano i loro ultimi discendenti.

L’ipotesi più probabile è che si tratti di Messicani venuti

un tempo a stabilirsi nella valle del Mississippi.

D. POTETE DARMI INFORMAZIONI SUL COMPORTA-

MENTO DEL GOVERNO AMERICANO VERSO LE TRI-

BU’ INDIANE?

R. Sì, non mi è difficile. Vi erano e vi sono ancora nell’inter-

no degli Stati Uniti del Sud numerose nazioni indiane semi-

civilizzate la cui posizione rispetto ai governatori di tali Sta-

ti risulta equivoca e ritarda lo sviluppo che questa parte del-

lo Stato potrebbe raggiungere. Di conseguenza il Congresso,

nell’interesse sia degli Stati del Sud sia degli Indiani stessi, ha

concepito il progetto di spostarli tutti, previo il loro consenso,

in una zona che rimanesse sempre un paese essenzialmente

indiano. Ha scelto la parte superiore del distretto dell’Arkan-

sas; il territorio che deve essere abitato dalle nazioni indiane

comincia da una linea immaginaria che potete segnare sulla

carta dalla Louisiana al Missouri e si estende fino alla fronti-

era del Messico e alle vaste praterie abitate dalle orde erranti

degli Osagi. Gli Stati Uniti si sono impegnati con giuramenti

solenni a non vendere mai le terre comprese entro questi limi-

ti e a non permettere alla popolazione bianca d’introdurvisi

in nessun modo. Nel territorio si trovano già 10000 Indiani;

penso che col tempo ve ne saranno circa 50000, il paese è sa-

lubre e la terra estremamente fertile.

D. PENSATE CHE QUESTO MEZZO IMPEDIRA’ ALLA RAZ-

ZA INDIANA L’ESINZIONE CHE SEMBRA MINACCIARLA?

NON CREDETE CHE SI TRATTI D’UNA SITUAZIONE PROV-

VISORIA E CHE GLI INDIANI SARANNO PRESTO COSTRET-

TI A RITIRARSI?

R. No, credo che le nazioni indiane del Sud troveranno là

un rifugio e che si civilizzeranno se il governo vorrà prender-

si la pena d’incoraggiarli in questo senso. Notate che la posi-

zione isolata nella quale verranno a trovarsi le nazioni indi-

ane permetterà di prendere efficaci misure per impedire che

si introducano liquori forti. L’acquavite è la causa maggiore

della distruzione degli aborigeni americani.

D. MA NON TEMETE CHE QUESTE NAZIONI ESTRANEE

L’UNA ALL’ALTRA SI SCATENINO IN UNA GUERRA CON-

TINUA?

R. Gli Stati Uniti occupano in mezzo a loro una posizione

che può impedirglielo.

D. CREDE DUNQUE ALLA POSSIBILITA’ DI SALVARE GLI

INDIANI?

R. Sì, senza dubbio. Venticinque anni di un’abile condotta

governativa riuscirebbe a ottenere un simile risultato. Nu-

merose nazioni del Sud sono già in parte civilizzate.

(Alexis De Tocqueville, Viaggio negli Stati Uniti)

 

 

 

 

 

 

indiani (2)