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quando la lingua contribuisce alla vittoria (23)
pionieri e nativi: la terra trasformata (25)
Prosegue in:
la sofferenza necessaria all’uomo per… (27)
Gli animali da pelliccia del New England coloniale
furono distrutti in due modi: con il prezzo posto per
la loro cattura e con la perdita degli ‘habitat’ ecologi-
ci, sostituiti da un nuovo utilizzo della terra da parte
degli uomini.
Gli ‘habitat’, precedentemente gestiti dagli indiani
tendevano a ritornare boschivi per la diminuzione
della popolazione nativa.
Ma, oltre alle foreste, anche il resto del paesaggio
venne modificato o ridotto – e su larga scala – dal
disboscamento, un’attività alla quale i coloni in-
glesi, con i loro confini fissi di proprietà, dedicaro-
no un’attenzione molto più accurata rispetto agli
indiani.
Sia che le terre divenissero foreste, o che divenis-
sero campi, le conseguenze finali furono le stesse:
la riduzione – o a volte la sostituzione, come avven-
ne con il bestiame europeo – delle popolazioni ani-
mali che le avevano un tempo abitate.
La scomparsa del cervo, del tacchino e di altri ani-
mali minacciò così non solo una nuova economia
basata sulla caccia, ma anche una nuova ecologia
della foresta.
I coloni tagliarono gli alberi per molte ragioni.
Alcune di queste – come il disboscamento dei cam-
pi per l’agricoltura – erano funzionali all’economia
rurale europea, e spesso generavano solo indiretta-
mente legami con i mercati.
Altre, come il taglio del legname, erano molto più
direttamente legate con l’attività mercantile e il com-
mercio.
Insieme alle pellicce, il legname fu tra i primi ‘beni
commerciabili’ inviati in Europa per saldare i debiti
con i finanziatori.
Nel 1621, quando i Padri Pellegrini fecero la loro
prima spedizione verso la madrepatria con il ‘Fortu-
ne’, un vascello di 52 tonnellate, inviarono solo due
casse di pellicce; il resto della stiva della nave fu, co-
me raccontò Bradford ‘caricata di buone assi quan-
te se ne potevano trasportare’.
Ancor più delle pellicce, il cui acquisto richiedeva
uno scambio di beni con i cacciatori indiani, il legna-
me poteva essere raccolto liberamente. Teoricamen-
te era necessario possedere la terra sulla quale cre-
sceva, ma questa era una regola facile da eludere.
Buona parte del valore insito nel legname apparve
come il dono della natura, che richiedeva solo un
modesto investimento di lavoro e di capitale per es-
sere trasformato in profitto.
Per ‘migliorare’ gli alberi da legname, e acquistar-
ne così i diritti di proprietà, si doveva semplicemen-
te tagliarli, segarli o spaccarli in misure maneggevo-
li e inviarli al mercato, il passaggio più costoso.
In alcune zone, questo venne fatto contemporane-
amente al disboscamento per gli insediamenti agri-
coli; in altre, il taglio della legna fu di per sé un’im-
portante attività economica.
I coloni cercavano specie diverse di alberi per scopi
differenti, così, quando il taglio del legname non
coincideva con il disboscamento, abbattevano le fo-
reste in modo selettivo a seconda degli usi richiesti.
Dal 1630 circa in poi, la maggiore concentrazione
del commercio di legname per esportazione era si-
tuata nel Maine e nel New Hampshire, lungo i prin-
cipali fiumi a nord del Merrimac.
In quelle regioni, al posto delle vecchie foreste incen-
diate, si trovavano distese di pini strobi con alberi
che arrivavano fino a quasi a due metri, e dai trenta
ai sessanta metri di altezza.
Nel 1682, ventidue segherie, operanti nei luoghi del-
le attuali Kittery, Wells e Portland, spedivano princi-
palmente legno dolce che, contrariamente a quello
più duro, poteva galleggiare sui corsi d’acqua naviga-
bili che giungevano fino alla costa.
La foce del Piscataqua divenne rapidamente il prin-
cipale porto per il legname delle colonie del nord.
Le foreste non erano solo un luogo di caccia, ma ora
fonte primaria per il mantenimento del potere nava-
le dei coloni.
Le terre erano ora più che mai indispensabili…..
(W. Cronon, la terra trasformata)