IL VILLAGGIO 3 (la loro disperata massoneria…)

Precedenti capitoli:

Il villaggio (1)  &  (2)

Prosegue in:

Il villaggio (4)

Dialoghi con Pietro Autier 2:

Mentre crescevo… (11)  &  (9)

Da:

i miei libri

 

kh9

 

 

 

 

 

Talvolta, dopo essere arrivato a casa così tardi, in una

notte oscura e umida, quando il mio piede sentiva il

sentiero che i miei occhi non potevano vedere, sognan-

do e sovrappensiero, finché ero riportato alla realtà del

dovere alzare la mano per rimuovere il paletto della por-

ta, non ero capace di ricordarmi un solo passo della mia

passeggiata; e ho pensato, così, che forse il mio corpo a-

vrebbe trovato la strada di casa anche se il suo padrone

avesse dovuto abbandonarlo, come la mano trova la stra-

da alla bocca senza assistenza.

Molte volte, quando mi succedeva che un visitatore re-

stasse fino a tardi, e che la notte fosse buia, ero obbliga-

to ad accompagnarlo fino al sentiero carraio, dietro la ca-

sa, e poi a indicargli la direzione che doveva seguire, a

mantenere la quale egli era guidato più dai piedi che da-

gli occhi.

Una notte molto buia insegnai la strada in questa maniera

a due giovanotti che erano stati a pescare nel lago. Vive-

vano a circa un miglio di distanza, in linea retta attraverso

i boschi, ed erano abituati a fare quella strada.

Un giorno o due dopo, uno di loro mi disse che avevano va-

gato a lungo per la maggior parte della notte, vicino alle loro

abitazioni, ma che erano riusciti ad arrivare a casa solo ver-

so mattina; nel frattempo erano caduti diversi pesanti scro-

sci d’acqua e le foglie erano molto bagnate ed essi inzuppa-

ti fino alla pelle.

Ho sentito di molte persone che perdettero la tramontana,

anche nelle strade del villaggio, quando l’oscurità era così

densa che sarebbe bastato possibile tagliarla con un coltel-

lo, come si dice. Certuni che vivono nei dintorni, e che era-

no venuti a fare spese in città con i carri, furono talvolta ob-

bligati a fermarsi, durante la notte; e gentildonne e gentil-

uomini che erano andati per fare una visita, deviarono di

mezzo miglio dalla strada giusta, sentendo il marciapiede

solo con le scarpe e ignorando quando voltavano.

Perdersi nei boschi, in qualsiasi momento, è un’esperien-

za sorprendente e memorabile, e insieme preziosa. Spes-

so anche di giorno, durante una tempesta di neve, può ac-

cadere di arrivare a una strada ben nota, e però di non riu-

scire a sapere da che parte si trovi il villaggio. Sebbene si

sappia che per quella strada si è passati un migliaio di vol-

te, non si riesce a riconoscere in essa nulla di familiare, ed

essa appare altrettanto strana di una strada della Siberia.

Naturalmente la perplessità è di notte infinitamente più

grande. Nelle nostre passeggiate più banali stiamo sem-

pre virando, seppure incosciamente, come piloti diretti da

certi fari e da certi promontori, e se andiamo oltre la no-

stra rotta abituale ancora portiamo nella memoria il profilo

di qualche capo là vicino; è solo quando ci siamo comple-

tamente perduti o abbiamo fatto un giro vizioso, ché, in

questo momento, a un uomo basta solo far fare un giro vi-

zioso a occhi chiusi perché si perda, che apprezziamo la

vastità e la singolarità della Natura.

Ogni uomo deve imparare da capo le direzioni della bus-

sola, ogni volta che si risveglia sia dal sonno che da qual-

siasi astrazione.

Solo quando ci siamo perduti, in altre parole, solo quando

abbiamo perduto il mondo, cominciamo a trovare noi stes-

si, e a capire dove siamo, e l’infinita ampiezza delle nostre

relazioni.

Un giorno verso la fine della prima estate, che ero andato al

villaggio per ritirare una scarpa dal ciabattino, fui preso e

messo in prigione, perché, come ho detto altrove, non paga-

vo una certa tassa, né riconoscevo l’autorità dello Stato che

sulla porta del Senato, compra e vende, come bestie, uomi-

ni, donne e bambini.

M’ero dato ai boschi per altri scopi.

Ma un uomo, dovunque vada, sarà sempre inseguito dagli al-

tri uomini che lo acchiapperanno con le loro sporche istituzio-

ni e, se possono, lo costringeranno persino ad appartenere

alla loro disperata massoneria.

E’ vero, avrei potuto resistere direttamente con maggiore o

minore affetto, o giurare sanguinosa vendetta contro la soci-

età; ma preferii che la società dovesse giurare vendetta  con-

tro di me, poiché questa è la soluzione più disperata.

(Thoreau, Walden o vita nei boschi)

 

 

 

 tc20

 

IL VILLAGGIO

Prosegue in:

Il villaggio (2) &

Mentre crescevo…

Da:

i miei libri 

 hj12.jpgbis

 

     

 

 

 

La mattina dopo aver zappato o forse dopo aver letto

o scritto, di solito mi bagnavo nuovamente nel lago,

nuotando attraverso una delle sue insenature, tanto

per tenermi in esercizio, e così mi lavavo via la pol-

vere del lavoro o facevo scomparire l’ultima ruga che

lo studio mi aveva lasciato, e per il pomeriggio ero

completamente libero.

Ogni giorno o due facevo una passeggiata fino al vil-

laggio per sentire qualcuno dei pettegolezzi che là

continuavano, senza posa, a circolare di bocca in boc-

ca o di giornale in giornale, e che, presi in dosi omeo-

patiche, erano realmente rinfrescanti, a loro modo, co-

me il fruscio delle foglie e le fugaci apparizioni dei

ranocchi.

Come passeggiavo nei boschi per vedere gli uccelli e

gli scoiattoli, così passeggiavo nel villaggio per vede-

re uomini e ragazzi, e invece del vento tra i pini, udi-

vo il rumore dei cani.

In una certa direzione, da casa mia c’era una colonia

di topi muschiati, nei prati del fiume; nell’altra dire-

zione, sotto il boschetto di olmi e di sicomoro, c’era

un villaggio di uomini indaffarati, altrettanto interes-

sati, per me, che se fossero stati cani della prateria,

ognuno seduto all’entrata della sua tana, o in corsa

verso quella del vicino, per chiacchierare.

Andavo spesso a osservare le loro abitudini.

Il villaggio, mi appariva come una immensa sala d’in-

formazione, e per mantenerlo in vita, come un tempo

in State Street, da Reading & Co., tenevano da un lato

noci e uve e sale e carne e altri generi coloniali. Talu-

ni hanno un grande appetito per il primo genere di ci-

bo che ho nominato, cioè per le notizie, e posseggono

organi digestivi tanto sani, che possono sedere eterna-

mente immobili, sulle strade pubbliche, lasciando che

le informazioni ribollano e sussurrino attorno a loro

come venti Etesii, quasi stessero inalando etere, il qua-

le produce solo torpore e insensibilità al dolore, ché

altrimenti udire sarebbe spesso doloroso, senza infir-

mare la coscienza.

Quasi sempre, vagabondando per il villaggio, vedevo

una fila di tali valentuomini, seduti al sole, sopra una

scala, con il corpo inclinato in avanti e gli occhi che 

guardavano a destra e poi a sinistra, a tratti, con vo-

luttà, oppure se ne stavano appoggiati a un granaio, le

mani in tasca, simili a cariatidi, ché pareva davvero lo

stessero sostenendo. 

Poiché di solito erano fuori casa, sentivano tutto ciò che

stava nel vento. Questi sono i mulini più grossolani, nei

quali ogni pettegolezzo è dapprima rozzamente digerito

o macinato, avanti di essere vuotato in tramogge più fini

e delicate, dietro la porta di casa. 

Osservai che le parti vitali del villaggio erano il negozio

di generi alimentari, l’ufficio postale e la banca, e che, co-

me parte essenziale del macchinario, erano tenuti in luo-

ghi adatti una campana, un grosso cannone e una pompa

da incendio; e che le case erano disposte in maniera tale

da trarre il miglior partito dall’umanità, cioè lungo senti-

eri e l’una di fronte all’altra, cosicché ogni passante dove-

va passare sotto le forche caudine degli sguardi di tutto il

villaggio, e ogni uomo, ogni donna e ogni bambino poteva 

tagliarli i panni.

Naturalmente, quelli che erano piazzati in prima linea, do-

ve potevano vedere ed essere visti meglio di tutti, e da do-

ve potevano sferrare il primo colpo di forbice, pagavano i

prezzi più alti per il loro posto; mentre i pochi sparsi abi-

tanti dei sobborghi, dove cominciavano ad apparire lar-

ghi vuoti nelle file e il passante poteva scavalcare muric-

cioli o scantonare in un sentiero da vacche e così darsi al-

la fuga, pagavano un’imposta di terreno o di panorama,

assai bassa.

(Thoreau, Walden o vita nei boschi)

 

 

 

 

thoreau1.jpg