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Secondo Sogno: ma gli androidi sognano pecore elettriche? (2) &
Le vie dei canti: i nativi (7)
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Una notizia:
Trovare parole nuove e con esse suscitare interesse, è impresa ardua,
più difficile di qualsiasi viaggio o esplorazione. E con esse far nascere
emozioni, sogni, speranze, e ricordi indelebili per la nostra memoria.
Tutte le emozioni di cui si è perso il senso, strada facendo.
Si, perché il sentiero in questi ultimi tempi, sembra che abbiamo smarrito.
Lo stesso del sommo poeta.
Ma ciò non è un limite discorsivo per il nostro errare nel grande mare del
sapere. Quanto è lieto, taluni ci insegnano, il ‘viaggio’ senza mèta tra tutti i
sentieri del mondo. Ed allora …. scordiamoci, nei frammenti di questa ‘av-
ventura’, di quell’intreccio di cavi, connessioni, fili, file, parole di accesso;
vetrine luccicanti che ci offuscano la vista con i loro colori ed i loro silenzio-
si rumori.
Scordiamoci per un attimo, se solo riuscissi nell’intento prefissato, a tanto
e troppo sapere, che scorre come un nuovo fiume …silenzioso e inganne-
vole, per queste connessioni di mondi virtuali, non visti, non uditi, non assa-
porati. Mondi che ci aprono porte di nuove visioni, che diventano poi le no-
stre allucinazioni preferite del nuovo millennio. Non è facile trovare i tratti, le
sfumature, le pennellate, le parole, per intrattenere, stupire , interessare.
La diffidenza dell’uomo per tutto ciò che è semplice secondo gli antichi det-
tami della natura, è divenuto un paradosso degno di una scuola filosofica.
Non si vuole insegnare, ma per l’appunto attraverso il paradosso, solo mo-
strare….
Attraverso il ragionamento, solo stupire.
Così come la natura cui apparteniamo, che sembra non possedere il dono
della ragione, ma in realtà se ‘viaggiamo’ più nel profondo, potremmo con-
statare in ogni singolo processo e manifestazione della sua sostanza, dal
più semplice e immediato, al più complesso e lento nel tempo, adotta ciò
che pensiamo non appartenergli, per costruire opere di incomparabile me-
raviglia. Per innalzare queste meraviglie alla gloria della loro lenta progres-
sione ed evoluzione, devo innanzitutto analizzare questi nuovi mezzi di co-
municazione e riadattarli oppure se volete, rielaborarli e rapportarli nella loro
reale misura e dimensione. Al servizio del loro inventore, e mai il contrario.
Nell’abitacolo della macchina con cui viaggiamo non prestiamo grande at-
tenzione all’evoluzione del mezzo, che ci ha permesso, quasi con dispia-
cere, di lasciare il vecchio cavallo all’ultima stazione di posta. Non badiamo
alla dimensione della carrozza nella dimessa locanda, dove il pellegrino, ri-
posa i piedi malfermi, accanto a noi.
Cerchiamo solo di far parlare la ‘Natura’.
Di scorgere in lei ancora quella linfa vitale che ci spinge ancora avanti in
questo viaggio, e mai indietro, come qualcuno avrà sicuramente da obiet-
tare. Ma cantare la bellezza, ed il suo fascino, non è cosa facile. E’ una
vecchia scommessa, una vecchia guerra, una lotta dall’inizio della crea-
zione. Una lotta, qualcuno dice, per la sopravvivenza. Appunto, per soprav-
vivere ancora in questo mondo scelgo un itinerario per questo ‘viaggiare’
attraverso le sue meraviglie. Ho imparato anche, ascoltando il suo lento
parlare, che il genio e la creatività risiedono nella capacità di creare que-
sta ‘navigazione’, questa ‘connessione’, questo intreccio di cavi e fili , che
può anche farci spazientire lungo il sentiero di questo ‘viaggio’ che inten-
do percorrere con voi.
….E dal banale elevato impropriamente ad universale, formulare o riformu-
lare l’universale per renderlo banale. Di modo che , in compagnia di questa
apparente banalità, suscitare interesse, non pedanteria, quella la dovrò su-
bire come amaro calice per avere osato tanto.
Ecco così delinearsi l’intento, ma renderlo palese a quali ‘virus’ si espone la
mia modesta comprensione degli eventi e la capacità decifrarli o interpretarli,
nell’immensa cartina della vita.
L’ hard e il software .
A quali indici sarò costretto, a quali esami umiliato, ed a quali umiliazioni con-
dannato, affinché il silenzio imponga attraverso il rumore la sua tirannia?
Ora a distanza di tempo quando torno sugli stessi sentieri di questo grande
viaggio l’immaginazione lascia spazio ai ricordi. E posso dire ed affermare
di aver compreso e capito più di quanto potevo solo immaginare quando ero
pronto alla banchina di imbarco con tanto troppo entusiasmo e una valigia
piena di libri.
Ho ascoltato i venti e le bufere. I terremoti mi hanno piegato le ginocchia. Il
mare mi ha quasi affogato. Il deserto, la fame, la sete, mi hanno quasi ucci-
so. La calunnia ha affondato il coltello nelle carni. Il gelo mi ha tormentato.
Gli animali braccato. La neve mi ha coperto. Il caldo soffocato. Le urla tor-
mentato. Dei Santi mi hanno rincorso, dei papi minacciato. Le montagne
mi sono crollate ai piedi, mentre le certezze mettevano in dubbio. Sono
divenuto eretico, perseguitato, umiliato, deriso. Confuso .
Sono stato un morto, sono stato un rifugiato ed anche un perseguitato, per
questo viaggio….
Ma ora sono di nuovo seduto alla banchina, e guardo il piatto mare, da dove
vengo e dove torno. Non ho rimpianti, solo una gran voglia di percorrere le
stesse strade negate, di vivere nelle stesse terre conquistate, di respirare la
stessa aria di verità negata. Di attraversare gli stessi itinerari con parole nuo-
ve. Così mi sottometto di nuovo all’esame della vita ed alle sue difficili conqui-
ste, perché il lupo che è in me, quel lupo beffardo che recita solo per pazzi,
mi sprona e comanda, e così per questo mare devo ubbidire, se non a lui ai
suoi occhi. Se così non fosse, starei dall’altra parte di ogni scrivania, di ogni
bancone che incontro per questo sentiero. Accorto al cacciatore che ha an-
cora sete di sangue. Il buon pastore conduce il branco al macello e con es-
so tutta la terra dove beatamente e soavemente pascola, incurante poco del-
la storia ed il suo costante divenire agli stessi porti della vita.
Il buon pastore lo sento mentre si appresta al rito serale dello schermo.
Ci regala il suo sapere fatto di riti collettivi che scorrono immutati attraverso il
magico tubo parlante, mentre i figli del comunicatore di massa interagiscono
in una nuova allucinazione globale per una esplorazione. Per una informazio-
ne. Per una nuova guerra. Per un nuovo rogo della storia. Per una nuova me-
dicina. Per una nuova malattia. Per una nuova terapia. Per un nuovo blog. Per
un nuovo schermo ultrapiatto connesso tempo reale con lo show della storia.
Il mio intento poggia su una diversa presa di coscienza che puzza di utopia, e
che mira al vero.
E se nel desiderare tale intento , non ci poniamo in sintonia con il MACRO
COSMO non potremmo essere competitivi con i nuovi mezzi e metodi dell’-
informazione, né tantomeno riusciremmo ad essere più competitivi rispet-
to ad essa o almeno ad un aspetto di essa, né tantomeno più interessanti,
né riusciremmo ad innescare quell’interesse per questo ‘viaggio’ virtuale at-
traverso il sapere, non un aspetto ma a molti di esso, ed a cui per nostra (o
forse loro…) cultura non prestiamo più attenzione.
Questo nuovo viaggiare , che qualcuno ha definito una summa di sapere
mondiale è oramai universale. Quale fascino suscita la visione di eventi
reali e artificiali sullo schermo, ma soprattutto, quale fascino quando pos-
siamo anche interagire nell’illusione di un Universo a portata di mouse .
Questo è un aspetto del computer.
In che cosa consiste questa famosa distinzione tra software e hardware?
E’ la distinzione tra programmi e macchine, tra le lunghe e complicate se-
quenze di istruzione e le macchine fisiche che le eseguono. Mi piace figu-
rarmi il software come qualunque cosa si possa inviare attraverso una li-
nea telefonica e l’hardware come qualunque altra cosa .
Un pianoforte è hardware, mentre la musica stampata è software; un appa-
recchio telefonico è hardware, mentre un numero telefonico è software. La
distinzione è utile , ma non sempre è così netta.
Anche noi uomini abbiamo aspetti di software e aspetti di hardware e la dif-
ferenza è per noi una seconda natura.
Siamo avvezzi alla rigidità della nostra fisiologia. Non possiamo curarci a
nostro piacimento dalle malattie o farci crescere i capelli di un colore a no-
stra scelta, tanto per citare un paio di semplici esempi. Tuttavia possiamo
riprogrammare la nostra mente in modo da operare all’interno di quadri
concettuali nuovi. La sbalorditiva flessibilità della nostra mente sembra qua-
si inconciliabile con l’idea che il nostro cervello consista necessariamente
di un hardware con regole fisse che non può essere riprogrammato. Non
possiamo far si che i nostri neuroni scarichino più in fretta o più lentamen-
te, non possiamo rifare i circuiti del nostro cervello , non possiamo riproget-
tare l’interno di un neurone , non possiamo fare alcuna scelta concernente
l’hardware ….. eppure riusciamo a controllare il nostro pensiero.
Vi sono tuttavia , evidentemente aspetti del pensiero che sfuggono al no-
stro controllo. Non possiamo diventare intellettualmente più brillanti con un
atto di volontà, non riusciamo a pensare più rapidamente di quanto facci-
amo; non siamo in grado di pensare a più cose allo stesso tempo.
Si tratta di un genere di conoscenza di sé primordiale così ovvia che è per-
sino difficile accorgersene; è come rendersi conto che c’è l’aria. Non ci cu-
riamo mai di riflettere a fondo su quale potrebbe essere la causa di questi
difetti della nostra mente; cioè di riflettere sull’organizzazione del nostro
cervello.
(D.R. Hofstadter – Godel , Escher , Bach)
A quella conoscenza primordiale presteremo gran parte dell’attenzione.
Non tanto come catturare in maniera subliminale lo stupore e l’interesse
altrui, ma quanto di esso viene disperso e assorbito dalle stesse cellule
neurali, che sono abilitate ad un altro studio di segnali visivi, e di cui par-
la ampiamente anche Hofstadter. Pur rimanendo ancora un Universo
sconosciuto, il nostro cervello agisce con meccanismi precisi di defini-
zione dei compiti. Queste definizioni stanno mutando i loro linguaggi ed
i meccanismi per codificarli. Non solo il linguaggio, ma anche le capaci-
tà e tecniche di apprendimento stanno ridefinendo i loro contenuti, per
essere successivamente interpretati con una nuova predisposizione in-
tellettuale, che richiede un approccio diverso delle stesse, di cui per no-
stra natura e evoluzione siamo dotati.
Il linguaggio è un esempio e con esso anche la scrittura.
Ai primordi di essa vi era il simbolo o l’icona. Quei tratti comuni che pos-
siamo rilevare come testimonianza dei trascorsi in tutte quelle caverne
dove abbiamo lasciato testimonianza del nostro passaggio .
…..Data l’immensità e il continuo aumento del repertorio di simboli esisten-
te in ogni cervello, ci si può domandare se giunga mai il momento in cui il
cervello sia saturo, in cui cioè non vi sia più posto nemmeno per un solo
simbolo nuovo. Ciò potrebbe accadere, presumibilmente, se i simboli non
si sovrapponessero mai l’uno all’altro, cioè se un neurone non esplicasse
mai una doppia funzione. Allora i simboli sarebbero come le persone che
entrano in un ascensore – Attenzione: questo cervello ha una capacità
massima di 350.275 simboli !
( D.R. Hofstadter – Godel , Esher , Bach )
Appunto il simbolo, ma cosa è quel groviglio enorme ed infinito che talvol-
ta il cervello non abituato deve saper riconoscere, usare, e spesso deci-
frare?
In questo nuovo mondo di sapere, dove viaggiare è sinonimo di padronan-
za, il simbolo ha mutato forma e aspetto cambiando i codici stessi del lin-
guaggio. L’immediatezza e l’affinità con questi strumenti consente diverse
misure del tempo nell’ambito della comunicazione e non solo, dandoci l’il-
lusione di un nuovo potere e di un nuovo traguardo.
La clessidra ed il lento scorrere del tempo in essa ha lasciato spazio all’-
èra del nucleare dell’orologio atomico .
…. Da un lato meraviglia il fatto che nessuno avesse mai tentato prima
un’analisi strutturale globale dell’arte sulla base di una grammatica, ovve-
ro di una tipologia dei segni , di una sintassi dei sistemi di associazione
tra i segni.
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La tempestosa nuvola del XIX secolo (27)
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La tempestosa nuvola del XIX secolo (1) & (2)
Da:
Il cambiamento dello stato di salute del professore può
essere colto anche nell’argomento dell’ultima conferen-
za tenuta in pubblico al di fuori delle aule di Oxford, ‘The
Storm-Cloud of the Nineteenth Century”.
Nel corso del suo intervento, che appare come un’an-
ticipazione visionaria dei temi dell’ecologismo, Ruskin
espone le sue teorie su ‘plague-wind’ e ‘plague-cloud’.
Egli attacca la società capitalistica e la scienza ufficia-
le, incapaci di accorgersi e di misurare l’entità del disa-
stro che ai suoi occhi è tanto evidente….
Un giorno che mi trovavo in quella regione di scogli e di
mare chiamata la Punta della Cornovaglia, da dove si
possono scorgere le rocce di Land’s End che corrono
a precipitarsi come postiglioni nel mare, e tra una pun-
ta e l’altra lo splendore di tutti gli scalmanati cavalli del-
l’oceano, e non una sola abitazione umana, quel gior-
no diedi fine a ciò che potrei chiamare la mia inchiesta
ufficiale…..
Mentre mi allontanavo da quel posto, diretto verso nord,
mi trovai di fronte a una casa che dava sul mare, una
bella casa tipo ‘bungalow’, con un’aria davvero di abita-
zione marina; il suo tratto più caratteristico era un por-
tico, o una veranda molto ampia, protetta dal piano di
sopra, sporto in avanti; le pareti erano di pietra rozza-
mente squadrata, a strapiombo, i tetti in leggera pen-
denza, coperte di tegole di ardesia verde, il che ispira-
va un senso di forza e di riposo, accentuato dalle lun-
ghe linee orizzontali, e a un lato della veranda c’era u-
na torretta adibita a studio, un rifugio isolato…..
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Al di là della linea nemica: gli inglesi (3/4) &
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Al di là del mare: un americano (6)
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Al di sopra delle grandi vette (1) &
Al di sopra delle grandi vette (2)
Da:
Proprio mentre Lincoln stava per insediarsi alla Presidenza degli Stati
Uniti, Cavour vedeva la sua opera quasi al culmine….
Di lì a tre mesi egli sarebbe sceso nella tomba.
Quattro anni dopo Lincoln avrebbe avuto un destino stranamente simile:
quello di mancare al suo paese e al suo partito proprio nell’ora suprema,
nella crisi di passaggio tra due ere; e, come Cavour, Lincoln avrebbe la-
sciato la direzione della politica nelle mani di uomini che (sotto l’aspetto
di continuatori dell’opera sua) ne sarebbero stati in realtà i capovolgitori
e gli eversori.
… Il processo di formazione della nazione americana era stato allora
solo avviato: ed ora questa nazione doveva sorgere, salda, unita, omo-
genea, capace di armonizzare gli interessi del Mezzogiorno e del Set-
tentrione, di adattare le vecchie strutture agrarie alla nuova realtà della
rivoluzione industriale senza però sopprimerle.
Nella persona di Lincoln il Medio Ovest aspirava ad assidersi arbitro tra
i due mondi ‘l’uno contro l’altro armato’. Ma il Sud aveva fatto ricorso alla
secessione: ora l’Unione doveva essere salvata, se il processo di forma-
zione della nazione americana doveva andare avanti.
E’ uno dei grandi drammi storici che i due moti, per la formazione di una
nazione americana omogenea da una parte, e per l’indipendenza di un’-
autonoma nazione sudista dall’altra, si siano così tragicamente incon-
trati su un’area ove dei due ideali doveva venire inesorabilmente sacrifi-
cato.
E’ chiaro che nel pensiero di Lincoln il Sud doveva avere un posto, e un
grande posto, nella nuova nazione: ma l’indipendentismo sudista doveva
essere irrimediabilmente bandito.
Abbiamo citato prima il nome di Cavour e non a caso…
Perché Lincoln era veramente il Cavour di questo nuovo risorgimento a-
mericano le cui battaglie stavano per combattersi. E come per Cavour il
processo di unificazione nazionale italiana doveva portare non ad un’Ita-
lia qualunque, ma ad un’Italia liberale e parlamentare, così per Lincoln la
‘grande Repubblica’ doveva essere essenzialmente fondata su uno svi-
luppo ulteriore della democrazia.
Questo doveva essere l’Unione: questo, o nulla!
Lincoln non era un nazionalista… Per lui si trattava di salvare l’unità ove
un governo del popolo si era potuto stabilire ed ove, se pure ancora so-
pravvivevano (e probabilmente sarebbero sopravvissute a lungo) disu-
guaglianze e ingiustizie, la strada era tuttavia aperta per il pacifico pro-
gresso verso un’età in cui tali disuguaglianze e ingiustizie sarebbero
state eliminate per sempre.
La democrazia doveva ‘elevare le condizioni dell’uomo, scaricare da
ogni spalla i pesi inutili, aprire per tutti il cammino verso lodevoli impre-
se, garantire a tutti un punto di partenza senza intralci ed una onesta
possibilità di riuscire nella gara della vita…’.
Ma questo non era possibile accettando la secessione: ‘Il nostro gover-
no popolare è spesso stato definito un esperimento. Due suoi capisaldi
il nostro popolo ha già definitivamente stabilito: la possibilità di fondarlo
con successo e di amministrarlo con successo. Uno ancora ne rima-
ne: la possibilità di mantenerlo con successo di fronte ad un formidabi-
le tentativo di rovesciarlo… E in questa lotta è in gioco ben più che il
destino di questi Stati Uniti. Essa infatti pone all’intera famiglia umana il
problema se una repubblica costituzionale, o una democrazia, – un go-
verno del popolo, per opera del popolo, – può o no mantenere la sua in-
tegrità territoriale contro i suoi nemici interni…
Ciò ci costringe a chiederci: una debolezza su questo punto è forse
inerente e fatale a tutte le democrazie?’.
Così il suo sguardo si levava a dominare prospettive politiche immen-
se, ben di sopra e di là dagli orizzonti di tutti i suoi conterranei, e spa-
ziava oltre i confini degli Stati Uniti, sul mondo.
Da quando i patrioti dell’indipendenza avevano fondato l’Unione, essa
era parsa una sfida all’intera Europa feudale e assolutista e di là dall’-
Atlantico monarchi e tiranni ne avevano atteso con impazienza la
caduta.
Essi, per il vero, avevano irriso alla pretesa democratica di lasciare i
destini dello stato nelle mani del popolo: e avevano profetizzato il pros-
simo crollo di quella grande comunità in cui gli uomini avevano osato
tentare di vivere liberi ed eguali!
Ora, la democrazia non poteva reggersi che sul rispetto della volontà
della maggioranza: se si consentiva alla minoranza di andarsene a fon-
dare un’altra unione, allora la democrazia era morte e non rimaneva ai
monarchi e ai tiranni che seppellirla, dopo aver dimostrato che solo
piegando il popolo sotto la sferza si poteva mantenere l’unità dello Sta-
to.
I sudisti che avevano fatto la secessione amavano la democrazia non
meno di Lincoln ed erano pronti per i suoi principi a dare la vita: ma la
loro visione pareva piuttosto ‘locale’, mentre quella del grande Presi-
dente spaziava sul mondo intero (oltre i piccoli e meschini interessi
della piccola o grande borghesia di provincia) ove le sorti stesse della
democrazia erano in gioco.
Un giorno, parlando al suo segretario John Hay, Lincoln ebbe a dire
senza ambagi: ‘per parte mia, io penso che l’idea-base di questa lotta
consista nel provare che il governo popolare non è un’assurdità. Noi
dobbiamo chiarire ora questo problema: se, in un governo libero, la
minoranza ha il diritto di spezzare in due lo stato quando meglio cre-
de. Se noi falliremo, ciò sarà portato come prova dell’incapacità del
popolo a governarsi da solo. Ci può essere una sola considerazione
da fare per obiettare ad un tale giudizio: che cioè nel caso nostro si
è in presenza di un vasto e ramificato elemento perturbatore tale che
non si troverà mai nella storia di alcun’altra nazione libera.
Questo tuttavia non lo dobbiamo dire ora.
Prendendo il governo come lo abbiamo trovato, vedremo se la mag-
gioranza può preservarlo’.
La vittoria della secessione avrebbe però significato per lui non solo
la disfatta morale della democrazia, ma lo spezzettamento del Nord
America in potenze ostili, a……
(R. Luraghi, Storia della Guerra Civile Americana)
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Dialoghi con Pietro Autier 2 &
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Il giorno era trascorso come appunto trascorrono i giorni; lo avevo
passato, lo avevo delicatamente ammazzato con la mia timida e
primitiva arte di vivere; avevo lavorato alcune ore, sfogliato vecchi
libri (come una antica nostalgia), avevo avuto per due ore un dolo-
re come capita alle persone anziane, avevo preso una polverina
godendomela al pensiero che si può vincere il dolore con l’astuzia,
avevo fatto un bagno caldo sorbendomi il delizioso calore, ricevuto
tre volte la posta e scorso quelle inutili lettere e stampe, avevo fat-
to i miei esercizi di respirazione ma omesso per comodità gli eser-
cizi di pensiero, ero andato a passeggiare un’oretta e avevo trovato
disegnati nel cielo certi modelli di nuvolette delicate e preziose.
Tutto era molto bello, tanto la lettura dei vecchi libri quanto l’immer-
sione nell’acqua calda, ma tutto sommato non era stata una gior-
nata di felicità entusiasmante né di gioia raggiante, bensì una di
quelle giornate che da parecchio tempo dovrebbero essere per me
normali e comuni: giornate moderatamente piacevoli, abbastanza
sopportabili, giornate tiepide e passabili d’un uomo non più giovane
e malcontento, giornate senza dolori particolari, senza particolari
preoccupazioni, senza crucci veri e propri, senza disperazione,
giornate nelle quali si esamina pacatamente, senza agitazioni o ti-
mori, la questione se non sia ora di seguire l’esempio di Adalberto
Stifter e di esser vittime di una disgrazia facendosi la barba.
Chi ha assaggiato le altre giornate, quelle cattive (e sì che ce ne
sono state.. ma speriamo che la pace torni a regnare in questo
mondo…), quelle con gli attacchi di gotta e col mal di testa appo-
stato dietro i bulbi degli occhi, che trasforma, con diabolica stre-
goneria, ogni gioiosa attività dell’occhio e degli orecchi in una tor-
tura, o quelle giornate di lenta morte spirituale, le maligne giorna-
te di vuoto interiore e di disperazione nelle quali, in mezzo alla
terra distrutta e svuotata dalle società per azioni, gli uomini e la
così detta civiltà col suo orpello di latta mentito e volgare ti ghi-
gnano incontro ad ogni passo come un emetico concentrato e
portato nel proprio io malato all’apice dell’insofferenza: chi ha as-
saporato quelle giornate infernali si dice ben soddisfatto dei giorni
normali e così così, dei giorni come questo, e si siede riconoscen-
te presso la stufa calda, nota riconoscente, alla lettura del giorna-
le, che nemmeno oggi è scoppiata una guerra (e speriamo nem-
meno quella per il nostro comune futuro…), che non è sorta un’-
altra dittatura (ci vuole sempre una conciliante democrazia), non
si è scoperta alcuna grossa porcheria nella politica (cerchiamo
di confermare il buon vivere a tutti i livelli sociali…) e nell’econo-
mia, e con gratitudine accorda la sua lira arrugginita per intonar-
vi un salmo di grazie moderato, passabilmente lieto, quasi alle-
gro, con cui annoiare il suo Dio della contentezza, un Dio così
così, silenzioso (secondo e senza parola…) soave, un po’ inton-
tito dal bromuro, sicché nell’aria grassa e tiepida di questa noia
(e di quel Dio, sempre uguale, pregato e difeso con gli stessi
accadimenti… cacciatore di lupi per queste infinite steppe, alla
fredda parola di un Primo … Dio… silenzioso e simmetrico al
mio invisibile dire… fantasma di una neve caduta al mattino
non ancora pregato al capezzale del vostro Secondo… Dio..)
soddisfatta, della benvenuta assenza di dolore quei due, il Dio
così così, triste e appisolato, e l’uomo così così, leggermente
brizzolato e intento a cantare sommessamente il salmo, si
assomigliano come due gemelli….
Sono una bella cosa la contentezza, l’assenza di dolore, le
giornate tollerabili e accucciate nelle quali né il dolore né il pia-
cere osano alzar la voce, ma tutto bisbiglia e cammina in pun-
ta di piedi. Se non che io sono purtroppo fatto così, non sop-
porto questa contentezza, che dopo un po’ mi diventa odiosa e
insopportabile e ributtante, e devo rifugiarmi disperato in altre a-
tmosfere, possibilmente passando per vie del piacere ma, in
caso di bisogno, anche per le vie del dolore.
Quando sono stato per un po’ senza piaceri e senza dolori e ho
respirato l’insipida sopportabilità delle così dette giornate, la mia
anima infantile è talmente agitata dal vento della miseria che pren-
do la lira arrugginita della gratitudine e la scaglio in faccia al son-
nacchioso e soddisfatto Dio della contentezza e della ricchezza…
e preferisco sentirmi ardere da un dolore diabolico piuttosto che
vivere in questa temperatura sana….
(H. Hesse, Il lupo nella steppa)
(Le opere pittoriche proposte sono di: I. Shishkin)