Precedenti capitoli:
Prosegue in:
Foto del blog:
Da:
Dewey infilò la chiave nella porta d’ingresso principale nella casa
dei Clutter. All’interno l’ambiente era caldo perché il riscaldamen-
to non era stato spento, e le camere dai pavimenti lucidi, con l’o-
dore di cera al profumo di limone, sembravano solo temporane-
amente disabitate: come se quel giorno fosse domenica e la fa-
miglia potesse rientrare da un momento all’altro dopo essere
stata in chiesa.
Le eredi, la signora English e la signora Jarchow, avevano por-
tato via parecchi abiti e mobili, pure quell’atmosfera di casa an-
cora abitata non ne era stata sminuita. Nel soggiorno, sul leggio
del pianoforte, c’era, aperto, uno spartito musicale: ‘Comin’ Thro’
the Rye’.
All’attaccapanni in anticamera era appeso un cappello da cowboy
grigio, macchiato di sudore: di Herb. Al piano superiore, nella stan-
za di Kenyon, su uno scaffale sopra il letto gli occhiali del ragazzo
scomparso luccicavano al riflesso della luce.
L’investigatore passò da una camera all’altra… Già molte volte ave-
va fatto il giro della casa, anzi quasi ogni giorno vi si recava e, in un
certo senso, si poteva dire che trovava piacevoli quelle visite: quel
luogo, a differenza di casa sua o dell’ufficio dello sceriffo, con tutto
il baccano che c’era, era tranquillo.
Il telefono, dai cavi ancora recisi, era silenzioso. La grande quiete del-
le praterie lo circondava. Poteva sedersi sulla sedia a dondolo di Herb,
nel soggiorno, a cullarsi e riflettere. Alcune delle sue conclusioni erano
incrollabili; era convinto che l’obiettivo principale dei criminali fosse la
morte di Herb Clutter; il movente, un odio psicopatico o forse odio e
rapina insieme; ed era convinto che l’esecuzione del massacro era
stato un lavoro svolto tranquillamente, in cui magari erano trascorse
due o più ore tra l’ingresso degli assassini e la loro uscita.
Su queste supposizioni si basava la sua convinzione che i Clutter co-
noscessero molto bene coloro che li avevano sterminati. Durante quel-
la visita Dewey sostò a una finestra del piano superiore, la sua atten-
zione era stata attratta da qualcosa che scorgeva poco lontano: uno
spaventapasseri tra le stoppie di grano.
Lo spaventapasseri aveva un berretto da caccia da uomo e una veste
di cotonina a fiori, sbiadita dalle intemperie.
Il vento scherzava con la gonna e faceva oscillare lo spaventapasse-
ri così da farlo sembrare una creatura solitaria che danzasse in quel
freddo campo dicembrino. E per qualche motivo Dewey tornò alla
mente il sogno di Marie.
In una di quelle ultime mattine sua moglie gli aveva servito una colazione
squinternata a base di uova zuccherate e caffè salato, e quindi ne aveva
dato la colpa a ‘uno stupido sogno’ che però la luce del giorno non era
riuscita a disperdere.
‘Era così reale, Alvin,’ gli aveva raccontato. ‘Reale come questa stanza.
Ed ero qui infatti. Qui in cucina. Stavo preparando il pranzo e improvvi-
samente è entrata Bonnie. Indossava un golf azzurro, d’angora e aveva
un’aria così dolce e graziosa. E io ho detto: ‘Oh, Bonnie… Bonnie, cara…
Non ti vedevo da quando è accaduta quella terribile cosa’.
Ma lei non ha risposto, mi ha solo fissata, in quel suo modo, e io non sape-
vo come andare avanti. Date le circostanze. Così ho detto: ‘Tesoro, vieni
a vedere cosa sto facendo ad Alvin per pranzo. Una zuppa di ibisco. Con
gamberi e granchi freschi. E’ quasi pronta. Vieni tesoro, assaggiala’.
Ma lei non si è mossa. E’ rimasta sulla porta a guardarmi. E poi, non so
spiegartelo esattamente, mi ha chiuso gli occhi, ha cominciato a scuote-
re il capo, molto lentamente, e a torcersi le mani, molto lentamente, e a
gemere, o a bisbigliare. Non riuscivo a capire cosa stava dicendo. Ma mi
spezzava il cuore, non mi sono mai sentita così addolorata per nessuno,
e l’ho abbracciata.
Ho detto: ‘Ti prego, Bonnie! Oh, non fare così, tesoro, non fare così!
Se mai c’è stato qualcuno preparato a presentarsi a Dio, eri proprio tu,
Bonnie’. Ma non riuscivo a confortarla. Scuoteva il capo, si torceva le
mani e allora ho sentito quel che diceva.
Stava mormorando: ‘Essere assassinati. Essere assassinati. No. No.
Non c’è nulla di peggio. Nulla di peggio di questo…. Nulla’.