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Anch’io ci andai, a vedere quel circo equestre.
Chi ha mai sentito dire che dei rivoluzionari arrabbiati
possano cantare tutti insieme ‘We Shall Overcome….Some
Day… (ed anche Blowin in the wind… con cellulare acceso…
connessione super veloce….) mentre procedono a braccet-
to proprio con quelli contro cui dovrebbero ribellarsi?
Chi ha mai sentito dire che dei rivoluzionari arrabbiati pos-
sano ballare a piedi nudi nei prati del parco insieme ai loro
oppressori, cantando i ‘gospels’ al suono delle chitarre, o a-
scoltare discorsi edificanti?
Le masse negre americane, allora come ora, vivevano in un
incubo. Questi rivoluzionari arrabbiati obbedirono persino
all’ultima istruzione (democratica impartita per…) che era
stata loro data e cioè di andarsene presto….dopo lo show…
Di tutte quelle migliaia e migliaia di ‘rivoluzionari arrab-
biati’ ne rimasero così pochi che la mattina successiva l’As-
sociazione albergatori di Washington annunciò una grossa
perdita per tutte le camere che erano rimaste vuote.
Hollywood non avrebbe potuto far meglio.
Da una successiva inchiesta fatta dalla stampa risultò che
dei senatori e rappresentanti al Congresso contrari alle leg-
gi sui diritti civili neanche uno aveva cambiato opinione.
Ma cosa ci si aspettava?
Come avrebbe potuto un picnic integrato della durata di
un giorno influenzare questi rappresentanti di un pregiu-
dizio (secolare) così profondamente radicato nell’animo
dell’americano bianco da quattrocento anni?
Proprio il fatto che milioni di bianchi e di negri abbiano
potuto credere in questa farsa in questo circo equestre…
monumentale (in stile imperiale) costituisce un altro e-
sempio di quanto, qui negli Stati Uniti (e non solo) si pre-
ferisca muoversi alla superficie (dell’inganno), inventa-
re forme di evasione invece di affrontare con coraggio
i problemi.
La marcia su Washington ebbe come unico risultato di far
cullare i negri per un po’ nelle loro illusioni, ma era inevi-
tabile che le masse negre si rendessero ben presto conto
di essere state abilmente raggirate dall’uomo bianco.
Era anche inevitabile che l’ira dei negri si riaccendesse, più
acuta che mai, e che cominciasse a esplodere nelle varie cit-
tà, in quella lunga, calda estate del 1964 di crisi razziali
mai viste prima.
Non c’è bisogno di ricordare chi fu assassinato a Dallas nel
Texas il 22 novembre 1963.
Poche ore dopo l’attentato – vi sto dicendo la pura verità –
tutti i pastori Muslim ricevettero l’ordine da Elijah Muham-
mad, anzi due ordini: non si dovevano fare apprezzamenti
di sorta sull’assassinio e inoltre di rispondere con un secco
‘No comment’ a qualsiasi richiesta di interventi.
Durante i tre giorni successivi, in cui non si sentivano altre
notizie all’infuori di quelle riguardanti il presidente assassi-
nato, fui incaricato di pronunziare un discorso. Da allora
ho riguardato molte volte gli appunti che adoperai per il di-
scorso di quel giorno e che avevo preparato almeno una set-
timana prima dell’assassinio.
Il titolo del mio discorso era ‘Dio giudica l’America bianca’
e toccava il tema a me familiare del ‘chi semina vento racco-
glie tempesta’, il modo in cui l’ipocrita raccoglie ciò di cui
ha seminato.
Poi ci furono le domande del pubblico e, inevitabilmente,
qualcuno mi chiese:
‘Qual è la vostra opinione sull’assassinio del presidente…
Kennedy?’.
Senza un momento di esitazione dissi quello che in tutta
onestà pensavo e cioè che si trattava di un caso tipico di
…‘chi la fa l’aspetti’.
Dissi che l’odio dei bianchi non era soddisfatto dall’assas-
sinio di negri indifesi, ma che, una volta che si era permes-
so che si scatenasse senza freni, aveva colpito anche la mas-
sima autorità di questa nazione.