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Una volta, dopo che gli altri se ne furono andati, il missionario
le si sedette vicino sul banco e le prese una mano fra le sue.
Gli occhi della ragazza s’allargarono a quel contatto.
Ella non aveva mai conosciuto mani tanto larghe né tanto de-
boli, e soffici come quelle di un neonato: mani che evidentemen-
te non avevano mai impugnato una lancia né maneggiato una
frusta.
– Come ti chiami, figliola?,
Kohartok le domandò affettuosamente.
– Ivalù.
– E’ un bel nome: il nome della prima donna che Dio creò dalla
costola del primo uomo.
– Sì, e una ragazza è stata molto commossa nell’apprenderlo.
– Hai seguito tutte le lezioni attentamente quanto la prima,
figliola?
– Sì.
– Allora ti rendi conto che la tua bella anima continuerà a vive-
re eterna in un mondo migliore di questo, dopo che il tuo mise-
ro corpo sarà morto?
– Certamente: è una delle pochissime cose che sapevo già da
piccola.
– E sei disposta a farti salvare?
– Salvarmi da chi? Nessuno cerca di farmi male. Tutti sono
buoni con me.
– Salvarti da te stessa. E’ dentro di te che cova il vero pericolo.
– Che vuol dire, Kohartok? La stupidità di qualcuno non ha
limite.
– Dio ama i semplici, Ivalù. Ricordati: Beati i poveri di spirito,
perché di essi è il regno dei Cieli; beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio.
– E credi che lo si vedrà una volta?
– Certamente, Ivalù, se confidi la tua anima a Lui. Sei disposta
a confidargliela?
– Le nostre anime non sono tutte in mano Sua?
– Certo che lo sono. Ma sei pronta a lasciarlo entrare nel tuo
cuore?
– Forse che egli non ha accesso dappertutto?
– Insomma, sei disposta o no,
esclamò Kohartok con un gesto d’impazienza,
– a riconciliarti con il tuo Creatore?
Ivalù arrossì e abbassò gli occhi.
– Perché? Ci eravamo forse bisticciati?
(H. Ruesch, Paese dalle ombre lunghe)