IL RACCONTO DELLE CUCINE: IL GIORNO DOPO LA SACRA RICORRENZA (una balena racconta) (21)

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Precedente capitolo (..per le balene…):

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Pagine di storia in:

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(Colgo l’occasione, per porre l’attenzione al modesto contributo fornito per

una battaglia, non dico vinta, ma sicuramente in avanzato stato di allerta,

che abbiamo contribuito a sensibilizzare grazie e soprattutto ai ‘valorosi

collaboratori’ …di Terra (in):

giappone-indietro-tutta-le-baleniere-fanno-rientro ;

… quindi ripropongo i 20 capitoli dedicati all’argomento scritti

nel Dicembre scorso. Vi sono importanti e valide argomentazioni a sostegno

di una giusta causa che ho evidenziato in aspetti bibliografici di sicuro

interesse. Buona lettura. )


Quanto alla Germania essa ha la scusa di essere entrata da poco nell’agone

baleniero; però si uniforma alle regole e promette di aderire alla convenzione.

La funzione del controllore non è di facile esercizio.

Egli deve verificare che il primo colpo di cannone venga sparato non prima

delle zero dell’otto dicembre e l’ultimo non dopo le ventiquattro del 15 marzo;

che non vengano uccise balene al di sotto di una certa misura per ogni famiglia,

oppure in stato di maternità, che nulla di ciò che può essere convertito in olio

venga gettato in mare, e così via. C’è tutta una casistica che egli ha in capo, e

quando gli viene un dubbio va a consultare i testi societari nella sua cabina.

Quelli sono i momenti in cui si froda la dogana.

A bordo di una nave-fattoria tutti sono cointestatari, perciò la notizia che il

controllore è andato giù, o sta facendo la partita, o schiaccia un pisolino,

arriva per canali misteriosi in coperta e allora si vede una carcassa di parecchie

tonnellate scavalcare il parapetto e piombare con fragoroso scroscio in mare.

Questa infrazione si perpreta quando c’è troppa carne al fuoco. Il capitano

può sempre dimostrare che la balena era magra, che dalla carcassa si sarebbe

ricavato sì e no il 5% di olio, che occupare i bollitori per un prodotto così

esiguo è un affare che nessun industriale ammetterebbe nella sua gestione.

I rapporti diplomatici si tendono un po’, come a Ginevra, ma non corrono

parole grosse. Un’ora dopo il capitano si vede recapitare una lettera del

seguente tenore: Con mio grande rincrescimento ho dovuto constatare che oggi

ecc. ecc.. Mentre invito la S.V. ad applicare nei confronti dei responsabili le penalità

prescritte (confisca della percentuale da corrispondersi sui barili d’olio pertinenti

alla balena incriminata) prego di dare adeguate disposizioni perché il lamento

inconveniente non abbia a ripetersi più.

Alla sera il controllore gioca a carte col capitano e col manager.

Il mondo è fatto per viverci dentro.

Oggi voglio esaurire la balena industriale, voglio dar fondo a questo negozio

di strutto e di olio per passare alla caccia. Vado sotto coperta. Mi arrischio

nel labirinto dei corridoi, mi spingo nelle sale dove uomini grondanti di

sudore (fuori ci sono 5° sotto zero) sorvegliano una sostanza giallastra che

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passa davanti a una spia di vetro e seguono le oscillazioni di una lancetta

di manometro. Il grasso, la carne e le ossa che ho visto sparire dalla coperta

finiscono attraverso le botole in queste gigantesche autoclavi nel cui interno

un cilindro a coltelli gira trasformando ogni cosa in olio con l’aiuto del vapore

acqueo.

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Nove ore dura la bollitura sia per il grasso, che viene trattato a pressione moderata,

sia per la carne e le ossa che esigono una pressione più forte. Poi c’è tutto un

processo di depurazione, seguendo il quale si finisce a ritrovarsi in una stanzetta

dove un uomo con un camice bianco vive separato dal resto del mondo fra fiale,

bilance, strumenti microscopici e bottigliette suggellate con la ceralacca.

E’ un chimico che preleva i campioni, li classifica secondo il titolo, e ne stabilisce

il grado di purezza. Egli è un personaggio che non si vede mai sul ponte,

cui il cetaceo non interessa come fenomeno di natura ma riguarda soltanto

come sostanza da riempire quelle care boccette sulle quali egli scrive

amorosamente dei nomi e dei numeri. Gli strani rumori che rintronano nel suo

piccolo laboratorio non lo disturbano minimimante; egli lavora davanti ad un

oblò che, all’improvviso, mentre sta spiegandomi la differenza di tinta e di

titolo fra olio di grasso e olio di ossa, si appanna, filtrando nella cabina una

luce da gabinetto fotografico.

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Chi è stato?

Oh, niente.

C’è un velo di liquido rosso che scorre davanti al cristallo, una cosa di tutti i

giorni e di tutte le ore.

La nave è complicata, misteriosa, con recessi dove si fanno gli incontri più impensati.

Ad una svolta mi sono imbattuto in un porcile, cioè uno steccato dentro il quale

grugnivano due porcellini vivi. Spingendo una porta mi sono incontrato con un

falegname che mi ha guardato al di sopra degli occhiali; egli indossava una casacca

blu e stava fabbricando un lettino da bambola per la figlia del capitano.

Sono sceso al ponte dei serbatoi, tranquillo, silenzioso, immerso nel buio, dove

ho visto dei cassoni di ferro quadrangolari, robustamente bullonati; la cantina di

questa orrenda vendemmia, l’urna dove Leviatan dorme finalmente in pace,

l’Escorial della balena.

Quando risalii sul ponte mi attendeva una sorpresa.

Proprio per me il primo ufficiale aveva fatto deporre su un tavolo del ‘salone’

una cassetta di legno dentro cui erano degli strani ciottoli neri, simili a pani di

torba, che mandavano un odore curioso, quasi medicinale.

E’ ambragrigia, dissero intorno.

Diedi un balzo, come se mi avessero mostrato il diamante Kohinohor. Ero fresco

di libri balenieri in cui avevo letto che spedizioni di caccia sul punto di fallire

per scarsezza di raccolto erano state salvate per aver messo le mani su qualche

chilogrammo di quella sostanza.

(…dall’inviato del Corriere della Sera, Cesco Tomaselli, La corrida delle balene)

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