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Il ponte di prua della Pelagos è il luogo più sinistro di questo scannatoio
galleggiante su cui passo le mie giornate. Nelle venti ore su 24 in cui ferve
il lavoro questa parte della nave è perpetuamente avvolta dai fediti vapori della
bollitura. In certi momenti lo spettacolo per quello di un palcoscenico ove si
aspetta da un momento all’altro l’apparizione di Metistofile; esce il fumo in
velenose spire dalle botole allineate, una salsa vermiglia copre ogni cosa, gli
uomini si muovono in uno scenario di macello, fra montagne di carne fumante,
(salmone, pesce, agnelli, aragoste, merluzzi, caviale, ….) seghe meccaniche,
trancianti a ghigliottina, e un fiume di sangue.
E’ il ‘reparto carne ed ossa’, il banco di squartamento della balena, la sala
anatomica del gigante dei mari. La platea di poppa, dove avviene la sbucciatura
del cetaceo, sembra un luogo quasi pulito in confronto a questo, dove in uno spazio
di pochi metri quadrati si esegue la demolizione sistematica di un animale che,
quando è piccolo, racchiude un volume di polpa e di visceri e una impalcatura di
ossa non inferiore all’addizione di 60 buoi.
La prima idea che suggerisce quel carnaio è di una macellazione a scopo annonario:
invece il prodotto che si ricava qui è sempre lo stesso: olio. Carne ed ossa vengono
convertiti in olio con un processo di cottura che è un tantino più lungo di quello
occorrente per il grasso, ma non diverso.
Ormai si può dire che la balena, ai nostri giorni, non si sfrutta che per l’olio, e
questo olio va per il mondo sotto forma di burro margarinato, di saponi, di
cosmetici, di ceri d’altare. Oggi si buttano via soltanto le parti che non possono
dare olio, quindi i visceri, quindi il sangue, e persino quelle sorprendenti
scaglie di materia cornea, che pendono a frangia dall’arco della bocca mostruosa
e fino a qualche decina d’anni fa, trasformate in asticelle che si chiamavano per
l’appunto ‘balene‘, gareggiavano col cerchio e con la crinolina per impalcare
il trionfo matronale della femminilità.
Sono rimasto alquanto sorpreso nel veder gettar via i fanoni. Il loro ruolo è
finito. Ma essi non sono stati sbancati soltanto dal reggipetto. Hanno perduto
il mercato per l’avvento della celluloide. Se qualche cosa della balena ricompare
addosso a una signora moderna, questo qualche cosa è l’olio del capodoglio,
erroneamente detto spermaceti, che con processi si trasforma in quelle nivee
creme raccomandate sulle quarte pagine dalla fanciulla che ha potuto ‘ballare
col principe’ e ‘sposare il milionario’.
Sul ponte della prua la balena arriva scotennata e senza testa, ma conservando
ancora la sua forma, e strabiliando con le sue dimensioni. Ma non vi rimane a
lungo. Mentre la grande cerniera della mandibola inferiore, che per linea potrebbe
prendere il posto di un architrave in un edificio di stile gotico, è già sotto i
denti della sega meccanica, che la riduce in pezzi simmetrici da mezzo quintale
l’uno, la carcassa è assalita da tutte le parti, demolita razionalmente. Vedo
spalancarsi dinanzi ai miei occhi la mostruosa e meravigliosa anatomia del
gigante degli Oceani. Ecco, l’enorme ventre è aperto, traspare la poderosa
armatura delle vertebre, sgusciano intestini bluastri dai nodi grossi come
pneumatici d’automobile, si scoprono quarti di filetto da nutrire una popolazione.
Vogliamo interrogare la bilancia?
Ecco i dati forniti da una balena blu di 27 metri, cioè non eccezionale, sottoposta
a controllo scientifico l’anno scorso su questa stessa nave.
Peso totale 122 tonnellate; lingua, 3158 chili; cuore, 631 chili; fegato, 935; il sacco
dello stomaco vuoto, 516; la vertebra maggiore, 240. Lo strato di lardo aveva il
peso di 25.600 chilogrammi, la carne di 56.600, le ossa di 22.280; dall’intero
animale si ricavarono 27.700 chili di olio per un valore lordo, al prezzo di 20
sterline alla tonnellata, di oltre 50.000…lire.
A prima vista i lavoranti di questo reparto hanno un’aria grossolana; al loro
confronto, i flensers del ponte di poppa sembrano dei chirurghi.
Ma non è esatto!
Anche qui, anzi proprio qui, ci sono gli artisti della lancetta, flebotomi, i
maestri settori. Un uomo è esclusivamente occupato a recidere le arterie e
aprire la via al sangue, che sprizza in certi momenti come vino da una botte.
La spina dorsale è liberata dai tessuti, spinta verso la sega che l’affetta,
passata alla ghigliottina che cala il suo tranciante con un tonfo antipatico.
Dalle botole aperte esce un fumo acre, disgustoso. La cottura delle ossa,
che avviene sotto coperta, insinua in quella nuvola bianca una vera aromatica
di unghia di cavallo bruciata.
Mentre osservo questi particolari un personaggio si avvicina a me prendendo
appunti su un taccuino.
– Come va, caro capitano Sundt?
Il capitano Sundt è il controllore governativo, un funzionario autorizzato a ficcare
lo sguardo dappertutto come l’agente di finanza nelle distillerie e negli zuccherifici.
Ma non ha un compito fiscale. Egli è il difensore d’ufficio delle povere balene. Si
trova a bordo della nave-fattoria in forza dell’accordo del 21 settembre 1931, una
convenzione sul tipo di quelle che elabora la Società delle Nazioni perché ad essa
aderiscono soltanto la Norvegia, la Gran Bretagna, l’Argentina, e l’Unione Sud
Africana.
Il Giappone non ne vuole sapere col pretesto che la carne di balena è un alimento
di prima necessità per il popolo nipponico, perciò il Giappone caccia cetacei a tutte
le latitudini, a tutte le stagioni, senza sottostare a nessuna limitazione.
(Cesco Tomaselli, La corrida delle balene)
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