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Non sarà facile per gli storici paragonare John Kennedy ai
suoi predecessori e successori, poiché egli fu unico come
presidente: fu il primo ad essere eletto così giovane, il primo
di fede cattolica, il primo ad assumere la carica nell’era delle
grandi potenze nucleari, il primo a tendere letteralmente ver-
so la luna, il primo dell’epoca moderna a prevenire una nuo-
va recessione o l’inflazione in tempo di pace, il primo ad af-
fermare che ogni tipo di segregazione e di discriminazione
razziale dovesse essere abolito per legge, il primo a scontrar-
si coi nostri avversari in un potenziale confronto nucleare,
il primo a compiere un passo ufficiale verso il controllo del-
le armi nucleari, e il primo a morire così giovane.
Non fu il primo presidente a misurarsi con i colossi della si-
derurgia, né il primo a presentare al Senato un trattato di-
scusso, né il primo a rispondere alla sfida di uno stato con
forze federali, né il primo a cercar di riformare una branca
del governo pari per importanza alla presidenza.
Ma si può affermare che egli fu il primo a vincere tutte
queste battaglie.
In realtà, per tutta la sua vita, fino al novembre del 1963,
fu il vincitore.
In guerra diventò un eroe, in letteratura vinse un premio
Pulitzer, in politica raggiunse la presidenza. Il suo discor-
so inaugurale, sua moglie, i suoi bambini, la sua vita poli-
tica, la sua condotta delle crisi, tutto riflesse la sua ricerca
della perfezione.
La storia e i posteri dovranno giudicare.
Di solito essi riservano il manto della grandezza a coloro
che vinsero grandi guerre, non a coloro che le prevenirono.
Ma secondo il mio modo di vedere, che non può essere obi-
ettivo, sarà difficile misurare John Kennedy con un qualun-
que ordinario metro storico.
Egli fu un uomo straordinario, uno straordinario uomo po-
litico e uno straordinario presidente. Così come nessun gra-
fico può illustrare con esattezza l’avvento dell’atomo nella
storia delle armi così io credo che non si possa classificare
John Fitzgerald Kennedy in base a una scala di presidenti
buoni o cattivi.
Una mente così aliena dal timore, dai miti e dai pregiudizi,
così nemica dei luoghi comuni e dei clichés, così contraria
agli inganni, ad accettare o a riflettere la mediocrità, è rara
nel nostro mondo, e anche più rara nella politica americana.
La sua morte prematura e violenta influirà sul giudizio de-
gli storici, e vi è il pericolo che essa faccia della sua grandez-
za una leggenda.
Benché anche da vivo fosse quasi una figura leggendaria,
Kennedy criticò sempre il mito. Sarebbe un ironico gioco del
destino se la tragedia di Dallas facesse ora un mito dell’uomo
mortale.
A mio giudizio, l’uomo fu più grande della sua leggenda.
La sua vita, non la sua morte, creò la sua grandezza.
Nel novembre del 1963 alcuni lo conobbero per la prima
volta. Altri capirono che lo avevano accettato con troppa
indifferenza.
Altri ancora si pentirono di averlo respinto.
In ogni caso egli fu un grande, e la sua grandezza appari-
rà sempre più chiaramente col passare degli anni.
(Theodore C. Sorensen, Kennedy)