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Nutrimento dai ‘fotoni’ (37) &
Ammazzare il Tempo: verità scientifica e verità ideologica (38)
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L’uomo non è sempre stato consapevole del fatto che le piante
si procurano il nutrimento sintetizzandolo da sé.
Gli antichi credevano che lo ricavassero dal suolo e che l’appa-
rato radicale fosse una sorta di bocca che succhiava il nutrimen-
to dal seno della terra.
Al principio dei XVII secolo Jan Baptista van Helmont, un medico
olandese, dimostrò che questo concetto era sbagliato. Dopo aver
piantato un giovane salice del peso asciutto, per cinque anni ag-
giunse al vaso esclusivamente acqua piovana. Quando abbatté la
pianta, trovò che il suo peso era salito a 169 libbre, mentre quello
del terreno, debitamente asciugato, era calato a 199 libbre e 14
once; van Helmont interpretò quella minima perdita di peso del
terreno come un normale errore sperimentale.
Questa semplice dimostrazione mandò in frantumi le antiche
credenze, chiarendo che la maggior parte dell’aumento di peso
registrato dalla pianta durante la sua crescita non era da ascri-
vere al terreno.
Ma allora, da dove proveniva?
Poiché al vaso era stata aggiunta solo acqua piovana, van Hel-
mont dedusse che essa doveva essere stata incorporata in
qualche modo nella massa dei tessuti della pianta.
Questa conclusione, che a quel tempo dovette sembrare miste-
riosa e improbabile, rende conto correttamente di una parte del
guadagno ponderale osservato.
Van Helmont concluse anche, stavolta però sbagliando, che, a
eccezione dell’acqua, la pianta non avesse ricavato alcun mate-
riale dal suolo. Egli non capì che le due once perse nel terreno
nei cinque anni dell’esperimento rappresentavano il peso di ele-
menti minerali che in realtà erano stati essenziali per il benes-
sere e la crescita della sua pianta.
Ancora oggi, molti giardinieri dicono di ‘nutrire’ le piante quando
aggiungono piccole quantità di fertilizzanti minerali al suolo. In ter-
mini rigorosi, questo modo di esprimersi è scorretto, in quanto,
per definizione, gli alimenti sono materiali organici in grado di li-
berare energia quando si combinano con l’ossigeno.
Questo processo, chiamato ossidazione, avviene quando si bru-
cia un pezzo di carbone o quando, nel corso della respirazione
cellulare, vengono ossidati gli zuccheri. La pianta verde, invece,
sintetizza tutto il proprio nutrimento grazie alla fotosintesi, anche
se assorbe dal terreno gli elementi minerali necessari.
Ai tempi del suo esperimento, van Helmont era anche del tutto
inconsapevole dell’esistenza dei gas, che sarebbero stati sco-
perti solo un secolo e mezzo più tardi. Egli pertanto non poteva
immaginare che gran parte del guadagno ponderale della sua
pianta fosse da attribuire all’assorbimento di anidride carbonica,
una componente secondaria dell’aria.
Infatti fu solo all’inizio del XVIII secolo che Stephen Hales, un eccle-
siastico inglese spesso definito il padre della fisiologia vegetale, a-
vanzò l’ipotesi che le piante ricavino parte del loro nutrimento attin-
gendo ‘aria’ dalle foglie.
Il concetto di ‘aria’ di Hales era essenzialmente aristotelico, in quan-
to egli considerava uno degli elementi fondamentali dei quali sareb-
be costituita tutta la materia organica. La vera comprensione della
fotosintesi chimica doveva attendere l’analisi chimica dell’aria, una
conquista scientifica che giunse alla fine del XVIII secolo.
In un arco di tempo relativamente breve, chimici come Joseph
Black, Karl Scheele, Antoine Lavoisier e Henry Cavendish riusci-
rono a isolare l’anidride carbonica, l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto
e altri gas presenti nell’aria.
La scoperta della fotosintesi si avvalse della comprensione della
natura dei gas, e al tempo stesso contribuì a perfezionarla. Tale
scoperta viene generalmente attribuita a Joseph Priestley, un ec-
clesiastico aderente al movimento religioso degli Unitariani, radi-
cale e anticonformista, che avendo apertamente espresso la
propria simpatia per i principi della rivoluzione francese fu co-
stretto a sfuggire dall’Inghilterra alla volta degli Stati Uniti.
Abitando sopra una fabbrica di birra, Priestley rimase così im-
pressionato dal ribollire della miscela contenuta nei recipienti
dove fermentavano il lievito e l’orzo germogliato che decise di
studiare lo stato gassoso della materia e l’effetto dei gas sulla
sopravvivenza degli animali.
Per i suoi esperimenti, inventò una trappola per catturare i topi
senza ferirli; ogni animale catturato veniva poi messo in un re-
cipiente, anch’esso di sua invenzione, nel quale era possibile
creare spazi chiusi sigillati dall’acqua e contenenti gas.
Priestley scoprì che l’aria chiusa poteva sostenere la respira-
zione di un topo finché circa il 20% del volume inizialmente oc-
cupato dall’aria non veniva occupato dall’acqua contenuta nel
recipiente; a quel punto il topo moriva soffocato.