PEDALANDO SUL MAR BALTICO GHIACCIATO (7)

Passata la prima tremarella, quel dondolìo                              berarellimini1.jpg 

ci parve poi la cosa più naturale.

Del resto anche quel ghiaccio era naturale

a suo modo.

Battendovi il piede, l’orma si imprimeva

per un paio di centimetri e s’empieva di

acqua.

A fianco del vapore, uno di qua e uno di là,

due altri rompighiaccio guizzavano senza

posa innanzi e indietro vietando ai lastroni di rinsaldarsi. Saltando dall’uno all’altro, come

vedevamo fare gli uomini, arrivammo alla scaletta e salimmo sulla nave. Mentre eravamo

così a bordo giunse da terra un fotografo in slitta tirata da quattro cani; piantò la sua 

macchina a un centinaio di metri; io mi arrampicai sul sartiame e così rimasi nella fotografia

che poi, per la tenue moneta di 3 marchi, mi fu mandata a Milano.

Intanto il sole stava per calare. Mezz’ora dopo, senza essere ancora tramontato, s’era

completamente spento nelle brume dell’orizzonte. Allora si produsse in noi, che eravamo

ridiscesi sul ghiaccio, un’impressione improvvisa di freddo e solitudine. Cessati i riflessi

dell’astro, una tinta plumbea si diffuse su ogni cosa. Nel vapore si erano accese luci di 

lampade che si scorgevano nelle finestre dei fianchi. Aveva ora i fuochi di posizione: il

fanale bianco fra la prora e il trinchetto, quello rosso di babordo sul fianco destro, il verde

di tribordo ci restava nascosto. 

I rompighiaccio continuavano con sordo rumore l’opera loro, bassi e striscianti, quasi 

nell’ombra. 

A casa, a casa presto!

Troppo ci eravamo attardati. Sentimmo che quel naviglio ci era estraneo, che eravamo soli

e non dovevamo perdere tempo. Ci colpì come cosa impensata il ricordo delle biciclette

abbandonate là, nella sterminata accozzaglia di rottami ove dovevamo ritrovarle, prestissimo,

prima che le tracce se ne perdessero nel crepuscolo.

Presto, presto!

Filammo, con le ali ai piedi e per verità il cammino, col quale ci eravamo famigliarizzati, 

senza più le distrazioni della venuta né i dubbi, ci parve e fu ben più breve. In venti minuti

fummo alla barriera e Ach Gott, ja, ja! ci trovammo proprio davanti a noi, per un vero 

miracolo, dormenti sul loro piedistallo le nostre biciclette.

E come fu?

Quel tratto a buche, che ci era apparso quasi impraticabile, ora, nella febbre del ritorno, ci

sembrò tutt’altro: molto più facile. Ah, l’esperienza che maestra!

Si accesero nella penombra della costa i due fari di Travemunde.

Ach Gott, ja, che comodità!

Uno basso, rosso, fisso; l’altro più alto, ammiccava a eclissi, mezzo minuto scintillante, mezzo

minuto spento. E ci chiamavano a sicura meta. Noi volavamo – relativamente – vale a dire che

ormai sul ghiaccio buono andavamo a forse 15 km. Ah, quando fu finita!

Bello il mare gelato in bicicletta…..quando si mette piede a terra. 

(Luigi Vittorio Bertarelli, Insoliti viaggi)

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