(Il fatto che il rapporto aureo sia espresso da un numero ‘irrazionale’
e l’impossibilità, per l’intelletto umano, di comprendere l’idea della
divinità sarebbero equivalenti. – Luca Pacioli-)
L’ultimo dei grandi studiosi di geometria greci che contribuirono
anche allo studio del rapporto aureo fu Pappo di Alessandria,
vissuto nel IV secolo d.C.
Nella Synagoghé Pappo fornì un nuovo metodo per la costruzione
di dodecaedro e icosaedro, e operò alcuni confronti sui volumi dei
poliedri, sempre servendosi del rapporto aureo. Il commento di Pappo
alla teoria euclidea dei numeri irrazionali ricostruisce con eleganza lo
sviluppo storico di tali numeri, e ci è giunta grazie alle traduzioni in
lingua araba. Ma inutile fu il coraggioso sforzo di Pappo di contrastare
la decadenza generale della teoria matematica, e in particolare della
geometria, e dopo la sua morte, con il diffuso sopirsi della creatività
scientifica e filosofica, la teoria del rapporto aureo entrò in una
lunga fase di ristagno.
Ad Alessandria, la grandiosa biblioteca andò distrutta in seguito a
varie campagne militari, dapprima romane, poi cristiane e infine
islamiche. Perfino l’Accademia fondata da Platone cessò ogni attività
dal 529 d.C., quando l’imperatore bizantino Giustiniano ordinò la
chiusura di tutte le scuole greche.
Nel deprimente periodo che seguì, la cosiddetta ‘età oscura’, il vescovo
e storiografo francese Gregorio di Tours si lamentò che ‘tra noi lo
studio delle lettere ha cessato di vivere’.
L’intera impresa della conoscenza prese nuova dimora in India e
nel mondo arabo. E un evento di enorme importanza per la matematica
e la cultura in generale fu, in quell’interludio, il diffondersi dei
cosiddetti ‘numeri arabi’ – che meglio sarebbe chiamare ‘cifro indo-
arabe’ – e della notazione decimale.
Il più importante matematico indù del VI secolo d.C. fu Aryabhata.
Nel suo libro più famoso, intitolato ‘Arybhatiya’, troviamo la frase
‘da a posto ciascuno è dieci volte il precedente’ a indicare l’impiego
del sistema di notazione ‘posizionale’.
Una lamina indiana del 595 già contiene dati numerici scritti col sistema
posizionale, suggerendo che i simboli in essa impiegati fossero in
uso già da qualche tempo.
Il primo indizio della diffusione verso occidente delle cifre indù si
trova negli scritti del vescovo nestoriano Severus Sebokht, della città
di Keneshra sull’Eufrate. Scriveva il vescovo nel 662 dell’era volgare:
‘Ometterò qualunque discussione sulla scienza degli indiani…e dei
loro preziosi metodi di calcolo che superano ogni descrizione. Mi
limito a dire che questo computo si basa su nove segni’.
Con l’ascesa dell’Islam, gli studi matematici cominciarono a essere
coltivati in tutto il mondo mussulmano. Fu proprio grazie allo
sviluppo dell’Islam nell’VIII secolo che gran parte della matematica
antica fu preservata. Molto importante, a questo riguardo fu l’istituzione
a Baghdad della ‘Beit al-hikma’ (casa della Sapienza) per decisione del
califfo al-Mamun (786-833).
Il funzionamento della Casa (della sapienza silenzio…e saggezza)
si ispirava a quello della celebre ‘università’ di Alessandria, il Museo,
e in effetti l’impero abbaside incorporò tutto il superstite sapere
alessandrino.
Vuole la leggenda che il califfo avesse deciso di far tradurre in arabo i
più prestigiosi testi greci dopo che in sogno gli era apparso Aristotele.
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