SECONDO SOGNO: ma gli androidi sognano pecore elettriche?

Precedenti capitoli:

Primo Sogno &

Old Ord river blues (la ballata di Reg) &

Le vie dei canti: ‘tutto si capovole, sai?’ (5)

Prosegue in:

Secondo Sogno: ma gli androidi sognano pecore elettriche? (2) &

Le vie dei canti: i nativi (7)

Foto del blog:

I nativi (1)  &  (2)

Da:

i miei libri

Una notizia:

L’alluvione….

 

 

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Trovare parole nuove e con esse suscitare interesse, è impresa ardua,

più difficile di qualsiasi viaggio o esplorazione. E con esse far nascere

emozioni, sogni, speranze, e ricordi indelebili per la nostra memoria.

Tutte le emozioni di cui si è perso il senso, strada facendo.

Si, perché il sentiero in questi ultimi tempi, sembra che abbiamo smarrito.

Lo stesso del sommo poeta.

Ma ciò non è un limite discorsivo per il nostro errare nel grande mare del

sapere. Quanto è lieto, taluni ci insegnano, il ‘viaggio’ senza mèta tra tutti i

sentieri del mondo. Ed allora …. scordiamoci, nei frammenti di questa ‘av-

ventura’, di quell’intreccio di cavi, connessioni, fili, file, parole di accesso;

vetrine luccicanti che ci offuscano la vista con i loro colori ed i loro silenzio-

si rumori.

Scordiamoci per un attimo, se solo riuscissi nell’intento prefissato, a tanto

e troppo sapere, che scorre come un nuovo fiume …silenzioso e inganne-

vole,  per queste connessioni di mondi virtuali, non visti, non uditi, non assa-

porati. Mondi che ci aprono porte di nuove visioni, che diventano poi le no-

stre allucinazioni preferite del nuovo millennio. Non è facile trovare i tratti, le

sfumature, le pennellate, le parole, per intrattenere, stupire , interessare.

La diffidenza dell’uomo per tutto ciò che è semplice secondo gli antichi det-

tami della natura, è divenuto un paradosso degno di una scuola filosofica.

Non si vuole insegnare, ma per l’appunto attraverso il paradosso, solo mo-

strare….

Attraverso il ragionamento, solo stupire.

Così come la natura cui apparteniamo, che sembra non possedere il dono

della ragione, ma in realtà se ‘viaggiamo’ più nel profondo, potremmo con-

statare in ogni singolo processo e manifestazione della sua sostanza, dal

più semplice e immediato, al più complesso e lento nel tempo, adotta ciò

che pensiamo non appartenergli, per costruire opere di incomparabile me-

raviglia. Per innalzare queste meraviglie alla gloria della loro lenta progres-

sione ed evoluzione, devo innanzitutto analizzare questi nuovi mezzi di co-

municazione e riadattarli oppure se volete, rielaborarli e rapportarli nella loro

reale misura e dimensione. Al servizio del loro inventore, e mai il contrario.

Nell’abitacolo della macchina con cui viaggiamo non prestiamo grande at-

tenzione all’evoluzione del mezzo, che ci ha permesso, quasi con dispia-

cere, di lasciare il vecchio cavallo all’ultima stazione di posta. Non badiamo

alla dimensione della carrozza nella dimessa locanda, dove il pellegrino, ri-

posa i piedi malfermi, accanto a noi.

Cerchiamo solo di far parlare la ‘Natura’.

Di scorgere in lei ancora quella linfa vitale che ci spinge ancora avanti in

questo viaggio, e mai indietro, come qualcuno avrà sicuramente da obiet-

tare. Ma cantare la bellezza, ed il suo fascino, non è cosa facile. E’ una

vecchia scommessa, una vecchia guerra, una lotta dall’inizio della crea-

zione. Una lotta, qualcuno dice, per la sopravvivenza. Appunto, per soprav-

vivere ancora in questo mondo scelgo un itinerario per questo ‘viaggiare’

attraverso le sue meraviglie.  Ho imparato anche, ascoltando il suo lento

parlare, che il genio e la creatività risiedono nella capacità di creare que-

sta ‘navigazione’, questa ‘connessione’, questo intreccio di cavi e fili , che

può anche farci spazientire lungo il sentiero di questo ‘viaggio’ che inten-

do percorrere con voi.

….E dal banale elevato impropriamente ad universale, formulare o riformu-

lare l’universale per renderlo banale. Di modo che , in compagnia di questa

apparente banalità, suscitare interesse, non pedanteria, quella la dovrò su-

bire come amaro calice per avere osato tanto.

Ecco così delinearsi l’intento, ma renderlo palese  a quali ‘virus’ si espone la

mia modesta comprensione degli eventi e la capacità decifrarli o interpretarli,

nell’immensa cartina della vita.

L’ hard e il software .

A quali indici sarò costretto, a quali esami umiliato, ed a quali umiliazioni con-

dannato, affinché il silenzio imponga attraverso il rumore la sua tirannia?

Ora a distanza di tempo quando torno sugli stessi sentieri di questo grande

viaggio  l’immaginazione lascia spazio ai ricordi. E posso dire ed affermare

di aver compreso e capito più di quanto potevo solo immaginare quando ero

pronto alla banchina di imbarco con tanto troppo entusiasmo e una valigia

piena di libri.

Ho ascoltato i venti e le bufere.  I terremoti mi hanno piegato le ginocchia. Il

mare mi ha quasi affogato. Il deserto, la fame, la sete, mi hanno quasi ucci-

so. La calunnia ha affondato il coltello nelle carni. Il gelo mi ha tormentato.

Gli animali braccato. La neve mi ha coperto. Il caldo soffocato. Le urla tor-

mentato. Dei Santi mi hanno rincorso, dei papi minacciato. Le montagne

mi sono crollate ai piedi, mentre le certezze mettevano in dubbio. Sono

divenuto eretico, perseguitato, umiliato, deriso. Confuso .

Sono stato un morto, sono stato un rifugiato ed anche un perseguitato, per

questo viaggio….

Ma ora sono di nuovo seduto alla banchina, e guardo il piatto mare, da dove

vengo e dove torno. Non ho rimpianti, solo una gran voglia di percorrere le

stesse strade negate, di vivere nelle stesse terre conquistate, di respirare la

stessa aria di verità negata. Di attraversare gli stessi itinerari con parole nuo-

ve. Così mi sottometto di nuovo all’esame della vita ed alle sue difficili conqui-

ste, perché il lupo che è in me, quel lupo beffardo che recita solo per pazzi,

mi sprona e comanda, e così per questo mare devo ubbidire, se non a lui ai

suoi occhi. Se così non fosse, starei dall’altra parte di ogni scrivania, di ogni

bancone che incontro per questo sentiero. Accorto al cacciatore che ha an-

cora sete di sangue. Il buon pastore conduce il branco al macello e con es-

so tutta la terra dove beatamente e soavemente pascola, incurante poco del-

la storia ed il suo costante divenire agli stessi porti della vita.

Il buon pastore lo sento mentre si appresta al rito serale dello schermo.

Ci regala il suo sapere fatto di riti collettivi che scorrono immutati attraverso il

magico tubo parlante, mentre i figli del comunicatore di massa interagiscono

in una nuova allucinazione globale per una esplorazione. Per una informazio-

ne. Per una nuova guerra. Per un nuovo rogo della storia. Per una nuova me-

dicina. Per una nuova malattia. Per una nuova terapia. Per un nuovo blog. Per

un nuovo schermo ultrapiatto connesso tempo reale con lo show della storia.

Il mio intento poggia su una diversa presa di coscienza che puzza di utopia, e

che mira al vero.

E se nel desiderare tale intento , non ci poniamo in sintonia con il MACRO

COSMO non potremmo essere competitivi con i nuovi mezzi e metodi dell’-

informazione, né tantomeno riusciremmo ad essere più competitivi rispet-

to ad essa o almeno ad un aspetto di essa, né tantomeno più interessanti,

né riusciremmo ad innescare quell’interesse per questo ‘viaggio’ virtuale at-

traverso il sapere, non un aspetto ma a molti di esso, ed a cui per nostra (o

forse loro…) cultura non prestiamo più attenzione.

Questo nuovo viaggiare , che qualcuno ha definito una summa di sapere

mondiale è oramai universale. Quale fascino suscita la visione di eventi

reali e artificiali sullo schermo, ma soprattutto, quale fascino quando pos-

siamo anche interagire nell’illusione di un Universo a portata di mouse .

Questo è un aspetto del computer.

 

In che cosa consiste questa famosa distinzione tra software e hardware?

E’ la distinzione tra programmi e macchine, tra le lunghe e complicate se-

quenze di istruzione e le macchine fisiche che le eseguono. Mi piace figu-

rarmi il software come qualunque cosa si possa inviare attraverso una li-

nea telefonica e l’hardware come qualunque altra cosa .

Un pianoforte è hardware, mentre la musica stampata è software; un appa-

recchio telefonico è hardware, mentre un numero telefonico è software. La

distinzione è utile , ma non sempre è così netta.

Anche noi uomini abbiamo aspetti di software e aspetti di hardware e la dif-

ferenza è per noi una seconda natura.

Siamo avvezzi alla rigidità della nostra fisiologia. Non possiamo curarci a

nostro piacimento dalle malattie o farci crescere i capelli di un colore a no-

stra scelta, tanto per citare un paio di semplici esempi. Tuttavia possiamo

riprogrammare la nostra mente in modo da operare all’interno di quadri

concettuali nuovi. La sbalorditiva flessibilità della nostra mente sembra qua-

si inconciliabile con l’idea che il nostro cervello consista necessariamente

di un hardware con regole fisse che non può essere riprogrammato. Non

possiamo far si che i nostri neuroni scarichino più in fretta o più lentamen-

te, non possiamo rifare i circuiti del nostro cervello , non possiamo riproget-

tare l’interno di un neurone , non possiamo fare alcuna scelta concernente

l’hardware ….. eppure riusciamo a controllare il nostro pensiero.

Vi sono tuttavia , evidentemente aspetti del pensiero che sfuggono al no-

stro controllo. Non possiamo diventare intellettualmente più brillanti con un

atto di volontà,  non riusciamo a pensare più rapidamente di quanto facci-

amo; non siamo in grado di pensare a più cose allo stesso tempo.

Si tratta di un genere di conoscenza di sé primordiale così ovvia che è per-

sino difficile accorgersene; è come rendersi conto che c’è l’aria. Non ci cu-

riamo mai di riflettere a fondo su quale potrebbe essere la causa di questi

difetti della nostra mente; cioè di riflettere sull’organizzazione del nostro

cervello.

(D.R. Hofstadter – Godel , Escher , Bach)

 

A quella conoscenza primordiale presteremo gran parte dell’attenzione.

Non tanto come catturare in maniera subliminale lo stupore e l’interesse

altrui, ma quanto di esso viene disperso e assorbito dalle stesse cellule

neurali, che sono abilitate ad un altro studio di segnali visivi, e di cui par-

la ampiamente anche Hofstadter. Pur rimanendo ancora un Universo

sconosciuto, il nostro cervello agisce con meccanismi precisi di defini-

zione dei compiti. Queste definizioni stanno mutando i loro linguaggi ed

i meccanismi per codificarli. Non solo il linguaggio, ma anche le capaci-

tà e tecniche di apprendimento stanno ridefinendo i loro contenuti, per

essere successivamente interpretati con una nuova predisposizione in-

tellettuale, che richiede un approccio diverso delle stesse, di cui per no-

stra natura e evoluzione siamo dotati.

Il linguaggio è un esempio e con esso anche la scrittura.

Ai primordi di essa vi era il simbolo o l’icona. Quei tratti comuni che pos-

siamo rilevare come testimonianza dei trascorsi in tutte quelle caverne

dove abbiamo lasciato testimonianza del nostro passaggio .

 

…..Data l’immensità e il continuo aumento del repertorio di simboli esisten-

te in ogni cervello, ci si può domandare se giunga mai il momento in cui il

cervello sia saturo, in cui cioè non vi sia più posto nemmeno per un solo

simbolo nuovo. Ciò potrebbe accadere, presumibilmente, se i simboli non

si sovrapponessero mai l’uno all’altro, cioè se un neurone non esplicasse

mai una doppia funzione. Allora i simboli sarebbero come le persone che

entrano in un ascensore – Attenzione:  questo cervello ha una capacità

massima di 350.275 simboli !

( D.R. Hofstadter – Godel , Esher , Bach )

 

Appunto il simbolo, ma cosa è quel groviglio enorme ed infinito che talvol-

ta il cervello non abituato deve saper riconoscere, usare, e spesso deci-

frare?

In questo nuovo mondo di sapere, dove viaggiare è sinonimo di padronan-

za, il simbolo ha mutato forma e aspetto cambiando i codici stessi del lin-

guaggio. L’immediatezza e l’affinità con questi strumenti consente diverse

misure del tempo nell’ambito della comunicazione e non solo, dandoci l’il-

lusione di un nuovo potere e di un nuovo traguardo.

La clessidra ed il lento scorrere del tempo in essa ha lasciato spazio all’-

èra del nucleare dell’orologio atomico .

 

…. Da un lato meraviglia il fatto che nessuno avesse mai tentato prima

un’analisi strutturale globale dell’arte sulla base di una grammatica, ovve-

ro di una tipologia dei segni , di una sintassi dei sistemi di associazione

tra i segni.

 

(Prosegue)

 

 

 

 

 

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SECONDO SOGNO: ma gli androidi sognano pecore elettriche?ultima modifica: 2014-09-06T00:00:05+02:00da giuliano106
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