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Ogni infamia sarà cancellata (e donata a chi neppura l’ha pensata) (31/32)
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Durante l’Avvento, verso la metà di dicembre del 1499,
Sua Santità Alessandro VI visitò la basilica di San Pietro,
per riconoscere, nella cappella della Veronica, il sito del-
la ‘porta aurea’ da riaprire per il giubileo.
Il pontefice dispose per una degna incorniciatura marmo-
rea, incaricò il datario di stendere la minuta della bolla
con l’indulgenza plenaria per chi, forestiero, visitasse quin-
dici volte le quattro basiliche di San Pietro, San Giovanni
in Laterano e Santa Maria Maggiore (trenta volte per i ro-
mani), ordinò che quattro religiosi, due al giorno e due la
notte, restassero a custodire la basilica di San Pietro in mo-
do che nulla di disonesto vi avvenisse durante la prossima
ininterrotta apertura.
Si scoprì che nel punto indicato dai canonici e popolo non
vi era mai stata alcuna porta, ma per non contraddire la de-
vozione fu comunque ordinato che il muratore mastro Tom-
maso Matarazzo avesse ad assottigliare il muro, sì che il pa-
pa, all’ora dei Vespri di Natale, potesse abbatterlo premen-
do con la mano.
Molti romei si erano già messi in viaggio. Dai più lontani
luoghi. Questa volta non dalla Groenlandia; la colonia scan-
dinava che aveva avuto il suo pastore nel vescovo di Gar-
dar era ormai estinta, per la malnutrizione, le epidemie, pro-
babilmente l’inversione al peggio della tendenza climatica.
Nei tempi buoni questi cristiani avevano pagato l’obolo in
ossa di balena, che venivano vendute a Bruges a beneficio
della Camera Apostolica.
L’arcivescovo di Trondheim, come da poco si chiamava
(prima era stata Nidaros, poi sarà Trondheim), era il capo
della provincia ecclesisatica cattolica più remota del conti-
nente.
Per latitudine il sito si trova solo di poco a sud della costa
islandese; le notti sono brevi d’estate, i giorni brevissimi d’-
inverno, ma il mare è sempre sgombro dai ghiacci.
La piccolissima città era su un meandro della Nidelva po-
co a monte del suo sbocco al mare nel fiordo, ma c’erano poi
oltre 100 chilometri d’acqua perché si fosse in mare aperto,
fuori dal fiordo e al largo delle isole costiere.
L’età delle chiese di legno vichinghe, elastiche al vento e al-
la neve, costruite con tecnica di carpenteria marinaresca e in-
tagliate come prue di navi, era tramontata, ma probabilmen-
te a Trondhjem di edifici in pietra non v’era molto più dell’ar-
cigno palazzo arcivescovile e della Domkirke, l’inaspettata
grandissima cattedrale medievale di tutta la Scandinavia.
La città di Bergen, tappa obbligata nel lungo viaggio del ro-
meo, era uno dei punti fondamentali del commercio anseati-
co; il florido ‘kontor’ aveva grossi privilegi, da molti subiti
più che accettati; esportazioni e importazioni norvegesi era-
no ormai in mani tedesche: pesce e pellicce contro cereali,
vino e tessuti.
Da Bergen alla città anseatica di Amburgo vi era una naviga-
zione di oltre 500 miglia marine. Si seguiva la costa norvege-
se, con gli abeti sopra le rocce fitte di uccelli marini, un bian-
core di ghiacci sui monti arrotondati sopra gli abeti.
Tagliato l’imbocco dello Skagerrak, nel Mare del Nord si se-
guivano le quasi invisibili rive dello Jutland e le isole setten-
trionali della Frisia; era un paesaggio incerto, di bassi fondali
e di basse terre, la divisione tra i due universi mutevole o per
maree e burrasche o per dighe costruite, distrutte, rinnovate:
‘Dio ha creato il mare e la terra’ dice un proverbio della Frisia,
‘i frisoni hanno fatto la costa’.
Il momento più delicato della navigazione era probabilmen-
te l’individuazione dell’estuario dell’Elba. Su un’isolaletta di
dune sabbiose quelli di Amburgo avevano costruito, già al
principio del 300, il faro di Neuwerk, il più antico della costa
tedesca.
(Prosegue…..)