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Dante l’eretico e altri gironi infernali in:
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Le sponde di ghiaia erose con ciuffi di erica e cuscini di borraccina
punteggiati e imbiancati dal muschio; radici slavate, radici nude
sul terreno; ghiaioni screziati dai licheni.
E il muschio quasi ardeva, intorno, bianco grigiastro con pallide
sfumature violacee.
Più in alto il terreno era paludoso, disseminato di isole erbose.
C’erano ruscelli e acquitrini con muschio, e fili d’erba fini come
capelli. Erioforo. E ancora più su un ruscello che scorreva sulla
torba, su un pendio coperto di erica.
Il ruscello di tanto in tanto scompariva, per tornare in superficie
sprizzando in un basso gorgoglio e un chiacchiericcio discontinuo.
Sulla sponda un esile fungo basso, bianco con una macchia rossa
in mezzo alla cappella, come schizzato dal sangue di una leggenda
popolare.
E l’erioforo si stagliava nella chiara distesa verdognola, un tappeto
umido sotto i piedi.
Le gocce nel muschio tremolavano, scintillavano come delicati gioielli.
Strani occhi acquosi, quelle gocce nel muschio sulle rive del ruscello,
come acqua spruzzata di ghiaccio, o con vene e cavità sparse, o pozze
d’acqua gelate o cristalli. Eretti in attesa di un dito che vi si infilasse
sprofondando nel pallido muschio giallognolo.
Tremanti nella brezza.
Poi si aprivano brecce o fessure nel muschio, coronato da bacche scure;
e ovunque ciuffi di descampsia.
Coppe giallo-brune di pozzanghere seccate; vegetazione messa a nudo
nei letti dei ruscelli.
Dirupi sterili si allungavano dalla spalla del monte sotto la cima, come
a voler raggiungere i fondi rossastri delle pozze seccate. Più salivano,
più il pendio si faceva ripido. E altre montagne comparivano alla vista.
La nebbia cominciò ad avvolgere le loro creste e a fluire giù per i
fianchi rocciosi e scoscesi. Ma si dissolse per un istante in vapore,
ingigantendo le forre in burroni, le pietre in massi. O troll?
In attesa di qualcosa.
Che sarebbe stato, che forse già era.
Ululati del vento, gemiti delle cime, rombi dietro le montagne.
Adesso c’erano cumuli di neve nella conca che dovevano attraversare,
e quando raggiunsero la falda del monte apparve una valle stretta con
enormi roccioni, e un’inaspettata parete che si staccava dalla valle
con i suoi licheni verdi e bianchi come verderame, e lastroni piatti
e venati di sfumature marmoree.
L’aria era tersa e pura nella brezza fresca di quella valle, nonostante
la foschia e la nebbia avvolgessero ancora la montagna. Giunti dietro
il crinale che avevano a lungo costeggiato entro il letto del fiume
prosciugato, le montagne a cerchio formavano una conca, striature
di neve lungo i fianchi, mentre la nube di foschia planava portata dal
vento o aleggiava intorno ai picchi, oscillando avanti e indietro alle
cime aguzze. Scivolando lungo il pendio, rivelava o copriva le
rocce sul sentiero non battuto riversandosi giù per i ghiaioni scoscesi
con le loro colate di detriti.
Il muschio sulle pietre nella conca era quasi nero tra i massi enormi.
La corona di alti dirupi stimolava visioni minacciose.
Visione su visione.
La foschia lontana premeva su quella più vicina addensandola, scivolando
avanti e indietro, librandosi sui lati, come se la montagna repirasse e i
versanti ondeggiassero.
Un solo cespuglio di bacche tra le pietre di muschio e i licheni variopinti;
e screziature verdi nel muschio nero, come polvere che si celasse nelle
falde del muschio, con chiazze di marrone, come se spuntasse bruciato
dal ghiacciaio e dalla neve.
Non parlavano, separandosi di tanto in tanto come se ognuno fosse in
un proprio mondo, con i propri pensieri e le proprie percezioni, ma
sempre lo stesso paese, lo stesso cielo, lo stesso tempo; ognuno
impregnato di ciò che fermentava nella propria mente; e ognuno, per
distrarsi, scegliendo dal paesaggio scenari appropriati alle sue
rappresentazioni interiori: schizzi di immagini da rielaborare, più
che sufficienti al momento, ma che, a suo tempo, potevano tessersi
in un informe arazzo, sulle pareti di stanze per ora lontane, dove l’
anima un giorno avrebbe forse potuto cercare quanto possedeva.
Avevano da tempo passato i terreni pietrosi tra le montagne e
avevano cominciato a salire il monte che aveva ora una sua realtà.
A meno che non fosse un sogno.
Un sogno?
(Thor Vilhjàlmsson, Il muschio grigio arde)