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Le nostre merci erano molte, e le nostre navi così cariche che tutti i
giorni ci incagliavamo due o tre volte sui bassifondi scogliosi: i quali
in alcuni punti misuravano quattro o cinque leghe ed erano circondati
da banchi di arena così bassi che osavamo veleggiare soltanto in
pieno giorno e sempre con lo scandaglio in mano.
Per questa ragione, decidemmo di non fare nulla prima di esserci
liberati di tutto il bottino che portavamo con noi, e Antonio de Faria
non si preoccupava d’altro se non di trovare un porto ove poterlo
vendere.
E guidandoci il nostro capitano per dare effetto a questa comune
volontà, dovemmo faticare quasi tutta quella notte con le gomene
di rimorchio per risalire il fiume perché la forza della corrente era
tale che ci ricacciava indietro.
Mentre eravamo così affacendati e con la coperta tutta ingombra di
gomene e di cavi al punto che quasi non riuscivamo a muoverci,
vedemmo spuntare dal fiume due grosse giunche, con castelli
posticci a poppa e a prua, tende di seta, e tutte pavesate con
bandiere dipinte di rosso e di nero, che davano loro un aspetto
molto bellicoso, tenendosi accostate l’una all’altra per meglio
concentrare le loro forze, ci attaccarono in modo così improvviso,
che non avemmo alcun tempo di prepararci e fummo costretti a
mollare in mare gomene e cavi così come si trovavano, per approntare
le artiglierie ch’erano ciò che in quel momento ci serviva di più.
Le due giunche ci furono addosso in un momento con alte grida,
rullar di tamburi e scampanii: la prima salva da tre con la quale
ci accolsero fu di ventisei pezzi d’artiglieria di cui nove erano falconetti
e cortane; da ciò comprendemmo subito trattarsi di gente dell’altra
costa di Malacca, ed il fatto ci turbò un poco.
Antonio de Faria che sapeva il fatto suo, vedendole giungere incatenate
comprese subito le loro intenzioni e puntò verso il largo, sia per
avere il tempo di prepararsi, sia per far loro comprendere chi eravamo.
Anche i nemici tuttavia erano esperti della loro arte, e per non farsi
sfuggire la preda dalle mani staccarono l’una dall’altra le due giunche
per poterci meglio colpire, e come furono presso di noi ci abbordarono
subito, lanciandoci addosso una spaventevole pioggia di frecce.
Antonio de Faria si ritirò sotto il cassero assieme ai 25 soldati ch’erano
nella sua giunca, e ad altri dieco o dodici schiavi e marinai tenendo
a bada i corsari per circa mezz’ora con colpi d’archibugio, fino a
quando essi ebbero consumate tutte le frecce; queste però erano
sì abbondanti che infiorarono tutta la coperta.
Infine i più coraggiosi di loro, in numero di 40, decisero di portare
a termine ciò che avevano iniziato, e saltarono dentro la nostra giunca,
con l’intenzione d’impadronirsi della prua.
Il nostro capitano fu così costretto a riceverli, e impegnandoci tutti
di buona lena, si accese una mischia così furibonda che, nel tempo di
dire poco più di tre credi, il nostro capo fu così ben servito che dei 40
ne uccidemmo 26, mentre gli altri si gettarono in mare. Allora i nostri,
per trar partito dalla vittoria concessaci dalla mano di Dio, si lanciarono
in venti nella loro giunca, ove non trovarono molta resistenza dato che
i più valenti erano morti, uccidendo a destra e a sinistra tutti quelli
che incontravano.
Fu poi necessario salvare la vita a quelli che s’eran gettati in mare,
non essendevi braccia sufficienti per tante navi. Apeena fatto ciò
Antonio de Faria si affrettò a porger soccorso a Cristoforo Borralho
che era alle prese con l’altra giunca, e stava assai dubbioso della
vittoria, ché la maggior parte dei suoi uomini erano rimasti feriti.
Ma piacque al Signore che al nostro arrivo i nemici si gettassero
in mare, ove la maggior parte annegò ed entrambe le giunche
caddero così in nostre mani.
Improvvisamente, Cristoforo Borralho si mise a gridare dal’altra
giunca dove si trovava:
“Capitano, capitano, venite ad aiutarci, che abbiamo più carne
al fuoco di quanta se ne possa mangiare!”
Allora Antonio de Faria saltò subito dentro la giunca con quindici
o sedici soldati e gli chiese cosa stesse succedendo.
Borralho gli rispose che aveva udito a prua il vociare di molte persone
che dovevano essersi nascoste, e Faria, avvicinandosi con tutti i
soldati che aveva con sé fece aprire il boccaporto. Si udirono allora
prorompere dal fondo altissime grida di:
“Signore Iddio misericordioso!”,
Assieme a sì spaventose urla e pianti da sembrare un fatto di magia.
Il capitano, alquanto intimorito si accostò allora alla bocca della
stiva con alcuni dei nostri, e vide un gran numero di prigionieri
distesi sul fondo; non potendo ancora credere a ciò che i suoi occhi
avevano visto, ordinò che qualcuno scendesse a vedere di che si
trattasse.
Due dell’equipaggio obbedirono subito e portarono in coperta 17
cristiani, fra i quali v’erano due portoghesi, cinque bambini, due
giovinetti ed otto giovani, tutti ridotti in condizioni così pietose
che era uno strazio guardarli.
Dopo di ciò fu chiesto a uno dei due portoghesi di chi fossero
quei bambini, come fossero caduti nelle mani di quel pirata e
come quest’ultimo si chiamasse.
Egli rispose che il pirata aveva due nomi, uno cristiano e l’altro
pagano: il secondo era Necodà Xicaulem, mentre quello cristiano
era Francesco de Saa….
(Fernao Mentes Pinto, Peregrinacao)