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Aristotele non ignorava che i delfini ‘parlano‘.
Lo scrisse, ma la sua testimonianza fu trascurata, oppure fu creduta leggenda
fino al giorno che la marina americana, durante la seconda guerra mondiale,
immerse lungo le coste degli Stati Uniti degli idrofoni, battezzati SOFAR,
destinati a rivelare l’avvicinarsi dei sottomarini nemici. Gli apparecchi si
riempirono di cigolii, miagolii: il mare parlava.
Furono così scoperte le ‘voci‘ del mondo del silenzio di fondo dei crostacei,
i brontolii dei pesci, i fischi delle focene, i piagnoculii dei delfini, i richiami
dei capodogli, i trilli delle balene. Quanto ai cetacei, le emissioni che diffondono
non hanno tutte carattere di ‘linguaggio‘. Alcune rappresentano non un modo
di esprimersi, ma un sistema per dirigersi. Non è stato l’uomo il primo essere
che si sia guidato con i suoni e gli ultrasuoni negli abissi marini: i cetacei sono
dotati di un sonar, esattamente come, fuori dell’acqua, i pipistrelli. Questo
sistema che permette ai mammiferi marini di sentire gli ostacoli e di avvistare
nemici o prede, è ancora più complesso di quanto si possa immaginare.
Oggi si pensa che funzioni a due livelli: ad esempio, le frequenze più basse
sarebbero utilizzate dai capodogli per individuare i calamari a grande
profondità, o dai delfini per localizzare prede e ostacoli a distanza, mentre
le frequenze alte servono soprattutto a comunicazioni fra individui della
medesima specie.
La vista che ha tanta importanza nel comportamento dei mammiferi terrestri,
non è il senso principale dei cetacei, nei quali prevale il senso dell’udito. Le
balene e i capodogli regolano e dirigono la loro vita in un universo di suoni.
Benché sprovvisti di corde vocali, parlano e cantano. Ascoltano ed emettono
quei segnali sonori che, riflettendosi, forniscono loro costanti informazioni
sull’ambiente in cui si muovono.
I capodogli grugniscono per scambiarsi le impressioni e gracchiano molto
ritmicamente emettendo stridi assai sonori per esplorare lo spazio. Si
capiscono e si reperiscono fra loro perfettamente, anche alla distanza di più
di tre miglia marine. Questo spiega perché si incontrino individui giovani
isolati lontani dai genitori: sanno di continuo e reciprocamente dove si
trovano e che cosa fanno. Questa localizzazione e questo stare in ascolto
non sono né automatici né passivi. Penso che i cetacei debbano orientare
emissioni e recezioni, e girarsi come antenne del radar per esplorare lo
spazio. In superficie i capodogli esplorano continuamente gli abissi marini
con il loro sonar: tac, tac, tac, tac….e se scoprono uno o più calamari di
grandi dimensioni sotto di loro, a 600-800 metri, o anche a 1000 metri,
scendono a capofitto e si dirigono verso la preda senza esitazioni. Questa
perpendicolarità del piano del sonar spiega, secondo me, le immersioni dei
capodogli e dei globicefali. Il fracasso dei motori fuoribordo riesce particolarmente
spiacevole a questi animali. Probabilmente è una questione di frequenza. Per
questo, la tattica della ‘giostra’ di un fuoribordo che volteggia come un calabrone
intorno a uno di loro, vicinissimo, è spesso coronata da buon successo. Al centro
di quel cerchio infernale il capodoglio, probabilmente con il sonar disturbato,
rimane in superficie, furibondo di non riuscire a muoversi, perché senza
dubbio la possibilità di immergersi è collegata alle informazioni del sonar.
Se il sonar dà informazioni confuse, sprofondare è impossibile. Qui non
si può parlare di ‘riflessi‘, perché il capodoglio ha uno psichismo abbastanza
sviluppato da fargli operare una scelta nel modo di condursi.
Prima di capire perfettamente l’efficacia del loro sistema acustico, abbiamo
accusato alla leggera i capodogli di mancanza di solidarietà.
Sbagliatissimo.
Quando uno dei loro è in difficoltà, il capo prende la decisione di far ripiegare
tutto il branco. Ma rimangono tutti nel raggio del sonar, il che può significare
qualche miglio. Se l’incidente si prolunga, mandano un emissario o emissari:
la madre se si tratta di un giovane, un grosso maschio se si tratta di un adulto.
In parecchi casi di questo genere il branco è scomparso un miglio a est del
prigioniero, ed è ricomparso un miglio a ovest trenta o quaranta minuti più
tardi. Dato che per percorrere tale distanza ci vogliono per loro meno di
venti minuti, il gruppo si era certamente fermato un bel momento, chiamando
il compagno, avvertendolo che lo avrebbe aspettato….proprio entro il raggio
di facile ascolto per un animale in superficie.
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