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Ricordo: era una bella giornata di giugno e io passeggiavo nel
giardino pubblico della mia città natale.
Il luogo era deserto e io contento perché mi sentivo giovane e
magro, perché il cielo era azzurro, perché avevo superato feli-
cemente certi fastidiosi esami. Ma, più che altro, ero felice
perché inauguravo, proprio quella mattina, una superba giac-
ca color nocciola, di ottimo taglio, di eccellente stoffa e di sin-
golare leggerezza.
Una sola panchina era occupata: ben disposta su di essa,
una giovane donna stava leggendo. Mi sedetti chiedendo
scusa e mi accorsi allora, con lieto stupore, che la giovane
donna era la stessa giovane donna che io, da tanto tempo,
salutavo almeno venti volte al giorno e che, da tantissimo
tempo, avevo stabilito di informare di certo mio progetto
sentimentale.
Cominciammo a parlare cordialmente: ci conoscevamo e
non c’era quindi niente di male. La giovane donna si mostrò
molto cordiale e ben disposta a convenire con me che la gior-
nata era veramente bella, che alla sera non si sa mai cosa fare,
che l’anno prima la stagione era stata molto peggiore.
A un tratto, però, la giovane donna tacque e cominciò a consi-
derare severamente la mia meravigliosa giacca. Mi fece cenno
di alzarmi e di voltarmi, onde accertarsi se la parte posteriore
del’indumento corrispondesse alle promesse della parte ante-
riore.
Alla fine la giovane donna scosse il capo:
– No, no, esclamò convinta, questa giacca è veramente eccezionale e
voi mi farete il favore di non mettervela più, per ora. Sarebbe un pecca-
to sciuparla senza nessun costrutto. Serbatela: andrà benissimo per
quando noi saremo fidanzati e voi mi porterete a spasso sul corso.
Io balbettai qualcosa mentre un certo putiferio accadeva nella
parte della mia cassa toracica; poi salutai correttamente la gio-
vane donna e tornai a casa saltellando.
Dopo matura riflessione, favorita dalla notte fresca e profuma-
ta, io concludevo che, se avessi osato, forse i miei sogni si sa-
rebbero avverati.
Due giorni dopo, incontrata la giovane donna in luogo poco
frequentato, le balbettai qualcosa.
Non ricordo cosa dissi, allora.
Ricordo solo che mi fu risposto: ‘Anch’io’.
Il primo convegno fu nel pomeriggio del giorno seguente, nello
stesso giardino, e io indossai trionfalmente la mia superba giac-
ca color nocciola. Appena mi vide, la giovane donna disappro-
vò severamente il fatto:
– No, esclamò, Sarebbe un peccato sciupare questa magnifica giacca a-
desso. Mettila nell’armadio: andrà benissimo per quando saremo sposati
e, d’estate, approfittando dei treni popolari, mi porterai a vedere Venezia.
Io tralascio tutti gli altri mille fatti analoghi: voglio soltanto se-
guire la sorte di questa mia splendida giacca color nocciola.
Passarono parecchi anni da quel giorno e finalmente la giovane
donna, con la scusa di tutelare il mio avvenire, mi indusse a con-
fessare a un dignitoso signore in veste talare che io ero felice di
condurla in matrimonio.
Entrammo nella nostra casetta un pomeriggio d’estate:
io aprii il mio vecchio baule, armeggiai attorno a un tessil-
sacco accuratamente chiuso e, di lì a poco, potevo comin-
ciare ad infilare il braccio destro nella manica della mia
antica, famosa e sempre stupenda giacca color nocciola.
La dolce signora che fu già la mia dolcissima signorina, la
quale aveva seguito con interesse la mia azione di recupe-
ro, a questo punto ebbe uno scatto:
– No, no!!, esclamò severamente, sarebbe un peccato sciupare una
giacca meravigliosa come questa. E poi ti è oramai maledettamente
stretta. Rimettila pure nell’apposito alloggiamento e aggiungi nafta-
lina. Andrà benissimo per il nostro bambino, il nostro futuro bam-
bino. Ci caverò fuori un paltoncino delizioso.
Il fatto è che oggi come oggi, dopo tanti anni, la mia super-
ba giacca è ancora nel tessilsacco.
Adesso che c’è un Albertino avente diritto a un paltoncino co-
lor nocciola, la esimia signora di cui sopra ha scoperto che sa-
rebbe un peccato sciupare una meravigliosa giacca per un
marmocchietto alto venti centimetri. Quella giacca andrà be-
nissimo per quando Albertino andrà alla Cresima.
Io ho citato il semplice fatto della giacca. Ma tutto è come la
giacca, nel mio quartopiano.
Ho speso un patrimonio in tendaggi e tappeti: non c’è uno
straccio alle finestre o per terra in casa mia.
– Quelle tende e quei tappeti, ha detto la simpatica creatura
che il Cielo sparse copiosamente sul mio cammino – an-
dranno benissimo quando ci sarà una casa in ordine.
Non esistono soprammobili, lampade da tavolo, posate-
rie, porcellane fini, coperte da letto, materassi di soffice
lana, specchi, servizi da toletta. O meglio: io l’ho comprati,
ma essi sono chiusi, bene impacchettati, in grandi casse,
nel guardaroba.
– Andranno benissimo quando ogni cosa sarà in ordine, ha stabi-
lito la dolce conterranea.
– Adoperarli adesso sarebbe un delitto.
Io ho lavorato gorno e notte, per arredare la mia casetta.
Ho comprato sedie, cassettoni, armadi, poltrone tavoli.
– Ma neanche per sogno, ha esclamato la delicata creatura dei
miei sogni, appena ha visto le suppellettili.
– Andranno benissimo per quando…..
E costruiti con le sue infernali manine di fata degli enormi
sacchi con fettucce, ha coperto accuratamente tutti gli arne-
si. Ma oggi, approfittando della giornata festiva, ho consi-
derato con serenità la faccenda e ho concluso che la cosa
aveva raggiunto i limiti.
– Signora, ho comunicato gravemente alla dolce amministra-
trice dei miei mali, – Signora: voi avete chiuso nelle vostre danna-
te casse dell’avvenire tutte le mie giacche perché andranno bene per
Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti perché andranno
bene per Albertino, avete incamerato tutti i miei soprabiti perché
andranno bene, eccetera eccetera.Mi avete privato delle mie più
decenti camicie, dei miei fazzoletti, dei miei pullover, delle mie
scarpe migliori. Mi avete vietato tutto insomma perché tutto an-
drà benissimo quando….eccetera eccetera.
Signora: la situazione è diventata in questo momento gravissi-
ma. O voi cacciate fuori un paio di calzoni o io sarò costretto a
uscire di casa in mutande! Ecco così! La dolce segretaria dei
miei dispiaceri d’ufficio ha considerato attentamente lo
spettacolo del suo amministrato in mutande.
Poi ha lanciato un grido:
– Ma neanche per sogno! Quelle mutande andranno benissimo
per quando indosserai il vestito sportivo coi calzoni alla zuava.
– Levatele e mettile nella seconda cassa!
(Guareschi)