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….Piaceva tanto ai norvegesi che subito dopo la prima guerra mondiale
alcune delle loro baleniere di maggiore stazza si spinsero ancora più a
sud per esplorare le possibilità di un massacro ancora più redditizio.
Quando avvistarono i ghiacci permanenti del pack nell’oceano Antartico,
scoprirono ciò che Herman Melville, il celebre autore di Moby Dick,
credeva sarebbe rimasto per sempre un rifugio inviolabile dove
le balene possono infine ricorrere alle loro cittadelle polari e, tuffandosi sotto quelle
estreme barriere e pareti vitree, risalire tra i campi e i banchi di ghiaccio, e in un
cerchio incantato di eterno dicembre, lanciar la sfida a ogni inseguimento umano
(Cesare Pavese).
L’ultimo rifugio non esisteva più.
Quando i comandanti delle baleniere riferirono al ritorno di aver trovato una
quantità quasi astronomica di balenottere, né la distanza dell’oceano Antartico
dalle basi né la candida ostilità del clima potereno bastare per proteggere le
balene dalla spietata ingordigia dell’uomo.
All’inizio, la distanza fu un ostacolo. Sul ghiaccio del continente congelato non
era possibile erigere stabilimenti per la lavorazione delle balene, e d’altra parte
le basi sulle isole erano troppo lontane dal Nord.
Nel 1925, comunque, un certo comandante Sorlle, di Vestfold in Norvegia, inventò
l’arma suprema per trasformare ciò che restava delle grandi balene del mondo
in denaro sonante. Il comandante inventò la ‘nave-officina pelagica’, una nave
molto grande, progettata per operare in mare aperto, provvista di un’immensa
apertura a poppa e di una rampa, sulla quale le balene potevano essere trascinate
con l’argano in un impianto combinato che fungeva da mattatoio galleggiante.
Già la prima di queste navi fu abbastanza grande e resistente per ‘lavorare’ in
navigazione le balene in pratica con qualsiasi tempo; poteva portare provviste
per sei mesi e anche più. Ognuna di queste navi diventò il nucleo di una
flotta paragonabile, con un po’ di cinismo, a un gruppo d’azione delle
marine da guerra moderne. Comprendeva baleniere provviste di un nuovo e
più terribile potenziale d’attacco, battelli-boa per segnalare la presenza delle
carcasse, rimorchiatori per trascinare queste alle navi-officina, nonché navi-
cisterna per rifornire la flotta in navigazione. Ultimato il loro compito, queste
navi-appoggio portavano i prodotti accumulati, risultati dalla lavorazione
delle balene, dalla nave-officina ai mercati lontani. Persino il rudimentale
prototipo di Sorlle era in grado di penetrare a sud fino ai limiti del pack
dell’Antartide, e le versioni successive della stessa nave operavano in
tutto l’oceano Antartico, uccidendo e ‘lavorando’ le balenottere e gli altri
tipi di balena che le baleniere riuscivano a trovare lavorando ventiquatt’
ore al giorno. Ormai non esisteva più un solo posto sul globo dove le
balene potessero rifugiarsi per sfuggire al destino da noi riservato.
Il successivo massacro non trova precedenti nella storia dello sfruttamento
umano inflitto agli altri esseri viventi. Probabilmente non verrà mai
superato se non altro perché non esiste sul pianeta alcun agglomerato
così grande di animali di grandi dimensioni.
Nel 1931, solo sei anni dopo il viaggio inaugurale della prima nave-officina,
41 di questi natanti, assistiti da 232 baleniere d’assalto, stavano facendo strage
delle balenottere nell’Antartide. Battevano le bandiere delle varie nazioni presso
cui uomini d’affari si erano precipitati a strappare una porzione della redditizia
impresa. Di queste nazioni facevano parte Stati Uniti, Norvegia, Gran Bretagna,
Giappone, Panama, Argentina, Germania e Olanda, ma erano i norvegesi che
dettavano legge, o per conto proprio o mediante gli equipaggi e le navi che
cedevano a nolo o in affitto. Quell’anno, 40.200 balenottere, quasi tutte azzurre,
vennero fatte a pezzi negli stabilimenti galleggianti, e le acque gelide del lontano
Sud si tinsero di rosso.
Un anno di primati per l’industria della caccia alla balena e per gli uomini seduti
intorno ai tavoli dei consigli di amministrazione a Londra, Tokio, New York e
altri bastioni della civiltà. Una di queste navi, la Sir James Clark Ross, attraccò
a New York dopo una campagna di sei mesi nell’Antartide, con un carico consistente,
in parte, in 18.000 tonnellate di olio di balena del valore di oltre due milioni e
mezzo di dollari.
Bei tempi per i balenieri.
Tempi brutti per le balene.
Tra il 1904 e il 1939, oltre due milioni di grandi balene morirono secondo le modalità
prescritte dal mondo moderno degli affari. Nel 1915, l’ultima baleniera norvegese
aveva abbandonato l’ormai devastato Mare delle Balene per prendere parte alla
carneficina nell’Atlantico meridionale. Ma le balene superstiti dell’Atlantico
settentrionale non erano comunque al riparo dagli uomini assassini. Mentre la
minaccia dei sommergibili tedeschi aumentavano nell’Atlantico, gli Alleati
continuarano a varare un numero sempre maggiore di imbarcazioni anti-
sommergibile, finché varie centinaia di cacciatorpedinieri snelli e micidiali non
entrarono in azione contro le balene meccaniche altrettanto micidiali.
Ma gli equipaggi dei cacciatorpedinieri, composti di reclute, avevano bisogno
di essere addestrati, e siccome la natura umana è quella che è, si giunse alla
conclusione che una maniera efficace per aumentare le capacità tecniche dei
marinai sarebbe stata quella di esercitarsi con le balene vive. Da segnalazioni
ufficiose si desume che varie migliaia di balene siano state uccise a scopi
addestrativi. Quasi tutte rimasero vittime delle armi di bordo dei mezzi
militari, ma altre furono ridotte ad ammassi informi di carne quando venivano
usate come bersagli per le cariche di profondità. Esiste il noto esempio di
un cacciatorpediniere che uccideva le balene con azioni di speronamento;
ed è probabile che altre balene siano rimaste vittime di incontri ‘fortuiti’, se
scambiate per sommergibili nemici. Ma nessuno ha tenuto conto del
numero delle balene sacrificate alla Vittoria sul mare.
Tra il 1923 e il 1930, tre stabilimenti norvegesi ripresero a lavorare lungo le
coste settentrionali di Terranova e del Labrador meridionale, uccidendo e
portando a terra 153 balenottere azzurre, 2026 balenottere comuni, 199
megattere nodose, 43 balenottere boreali e 94 capodogli.
(F. Mowat, Mar dei massacri)
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