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Da:
– Sono nato nello stesso anno di Buddha precedente – questo
è importante.
Ero appena un bambino, vivevo con i miei genitori, quando
il gruppo di ricerca arrivò nella mia zona. Un vicino gli disse
la mia data di nascita, e loro mi portarono via con loro al
tempio di Tianshui.
Fui scelto tra altri mille.
– Cosa provò quando la portarono via?
– Ero solo un bambino. Non provai nulla.
Ho scrutato il suo viso. Aveva dimenticato?
O ero io ad avere dimenticato?
Anni fa, con la testa infarcita di cliché da psicologo, avevo
osservato sconcertato alcuni bambini in un orfanatrofio di
Pechino che giocavano insieme senza la minima traccia della
tensione occidentale.
Chiedo:
– Cosa provarono i suoi genitori?
– Non volevano che andassi. Erano contadini. Volevano che li
aiutassi nei campi..
Abbassa lo sguardo sulle proprie mani.
– Andai lo stesso. Ma a 17 anni dovetti partire di nuovo. Era
arrivata la rivoluzione comunista, e i monaci venivano dispersi
da tutte le parti. All’inizio continuai a studiare. Poi, nel 1964, il
governo mi ordinò di sposarmi. Volevano che i monaci fossero
come tutti gli altri.
– Ha una bella famiglia.
Ha sorriso dolcemente.
– Grazie.
Sapevo che qui il buddhismo aveva sempre lottato per giustificarsi.
Se il confucianesimo e il comunismo si erano fatti strada nella
società – con la pietà filiale o con il progresso sociale – il buddhismo
accenneva a una salvezza privata.
Il suo destino era diffondere un’illusione. E la società era un
miraggio.
– Durante la Rivoluzione culturale fui osteggiato pesantemente.
Le Guardie rosse odiavano l’idea di un Buddha vivente.
Vennero in quattro a prendermi. Mi picchiarono talmente forte
che dovetti rimanere per tre mesi con il corpo a pezzi.
Si tocca le braccia e le ginocchia.
– Mentre mi picchiavano continuavano a dire:
– Hai torto! Hai torto! Torto!,
e io dicevo:
– Sì, sì, ho torto, ho torto!
Scoppia a ridere all’improvviso: non è l’ansioso balbettio cinese,
ma un’esplosione senza tempo di follia terrena.
– E tutto il tempo in cuor mio ero certo che la mia strda, il mio
sentiero fosse altrove. Ma non dissi niente. Mentre giacevo
supino composi una grammatica tibetana, e anni dopo la
scrissi. Così sono sopravvissuto.
Queste sedute punitive potevano essere di una ferocia inaudita.
In sostanza erano pestaggi di massa – un calvario di derisione
e tortura – inflitti a volte da una folla di vicini e di amici di un
tempo. Via via che le prepotenze e il terrore si intensificavano,
qualsiasi cosa la vittima dicesse veniva violentemente contrad-
detta e negata, finché svaniva in essa qualsiasi brandello di
autostima.
Le confessioni forzate davano avvio alla distruzione dell’io.
La vergogna spingeva molti al suicidio.
Se la vittima ripudiava la propria famiglia, un altro puntello
dell’individualità cadeva. Col tempo, se veniva sottoposta
a una rieducazione più profonda, la sua stessa vergogna
simulata poteva distruggere lentamente la convinzione della
sua innocenza, come una maschera che corroda il viso.
In questo scenario la vittima desiderava essere colpevole,
altrimenti il mondo stesso impazziva.
Veniva invasa da uno strano e immotivato senso di colpa.
Diventava la sua stessa accusatrice, il suo stesso crimine.
E l’opera era completa.
Ma di solito la seduta punitiva era troppo rapida e inaspettata
per provocare più di una simulazione improvvisata.
Le confessioni gridate erano come atti teatrali nei quali anche
i personaggi recitavano un ruolo preordinato – la sceneggiatura
era stata scritta dallo Stato.
Eppure morì un milione di persone.
Ora, a quasi quarant’anni di distanza, la retorica sembra debole
come una canzoncina. E spesso, come nel caso del Buddha
vivente, qualcosa nel cuore della vittima rimane inviolato.
Continua:
– Dopo mi mandarono in campagna a lavorare tra i contadini
della regione in cui ero stato Buddha. Ci rimasi dodici anni.
Parla senza amarezza o autocommiserazione.
– Poi finalmente sono stato destinato qui. E adesso insegno
religione agli studenti tibetani. Ho perfino una casa accanto
al tempio di Tianshui, e spesso ci vado per le cerimonie.
E’ un bel posto.
(C. Thubron, Ombre sulla Via della Seta. Le riproduzioni
iconografiche di questo post sono di Sven Hedin.)