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Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel
corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore
al giorno – e generalmente sono di più – vagabondando per i
boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni
preoccupazione terrena.
Potete tranquillamente chiedermi ‘un penny per i tuoi pensieri’,
o mille sterline. Quando poi penso che artigiani e mercanti se ne
stanno nelle loro botteghe non solo l’intera mattina, ma anche
tutto il pomeriggio, magari seduti con le gambe accavallate,
come fanno in molti – quasi che le gambe fossero fatte per
sedervisi sopra e non per mettersi eretti o camminare -, mi
sembra che meritino una certa considerazione per non essersi
suicidati già da tempo.
Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno
senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre
la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio,
troppo tardi per riscattare quel giorno, nell’ora in cui le ombre
notturne iniziano a fondersi con la luce del giorno, sento di aver
commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce
sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale,
per meglio dire, dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane,
per mesi e per anni, in botteghe e in uffici, come se ne facessero
parte.
Non so di che stoffa siano fatti, là seduti alle tre del pomeriggio,
come se fossero le tre del mattino. Buonaparte parla del coraggio
delle tre del mattino, ma esso non è nulla in confronto al coraggio
che alle tre del pomeriggio si accampa con allegria e decisione
dinanzi alla nostra volontà, che pure abbiamo tenuto a bada per
tutta la mattina, prendendo per fame una guarnigione alla quale
siamo legati da così forti vincoli di simpatia.
Mi sorprende che all’incirca a quest’ora, o diciamo tra le quattro
e le cinque del pomeriggio, troppo tardi per i giornali del mattino
e troppo presto per quelli della sera, non si avverta per le strade
un’esplosione generale che disperda ai quattro venti, per una
boccata d’aria, una moltitudine di idee stantie e di fantasie coltivate
tra quattro mura; in tal modo il male porrebbe rimedio a se stesso.
…Posso agevolmente camminare per dieci, quindici, venti e più
miglia, partendo da casa, senza incontrare alcuna abitazione,
senza attraversare alcuna strada se non dove lo fanno la volpe e
il visone: prima lungo il fiume, e poi il ruscello, e poi i campi e
i boschi.
Per miglia e miglia intorno non vi sono abitanti.
Da alcune colline appaiono in lontananza le dimore dell’uomo e
la sua civiltà. Gli agricoltori e le loro opere sono appena più
visibili delle marmotte e delle loro tane.
L’uomo con le sue faccende, Chiesa e Stato e scuola, e i suoi traffici
e i suoi commerci, le sue fabbriche e la sua agricoltura, e la sua
politica, la più pericolosa di tutte: mi rallegra vedere quanto poco
spazio accupino nel paesaggio.
La politica è un campo assai angusto, e quella strada, ancora più
angusta, è a essa che conduce.
E’ là che a volte dirigo il viaggiatore.
Se volete andare verso il mondo della politica (ed il suo teatrino….),
seguite la strada maestra, seguite quel mercante, e la polvere e gli
escrementi dei suoi passi vi condurrà direttemante a esso; perché
anche quel mondo ha semplicemente un suo spazio, non occupa
(per nostra consolazione) l’intero spazio.
L’oltrepasso, come oltrepasso un campo di fagioli, dirigendomi
verso la foresta, e subito lo dimentico.
In una mezz’ora raggiungo punti della superficie terrestre dove
non è possibile all’uomo mettere radici, e dove dunque non può
esservi politica, che è per l’uomo come il fumo del suo sigaro.
(Thoreau, Camminare)