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Lasciate che cominci con qualcosa di concreto: la predazione sul bestiame.
Gli animali sono stati percepiti in vari modi nel corso della storia: come
oggetti per il divertimento umano, come schiavi ai suoi comandi, come
oggetti di interesse puramente simbolico.
Oggi sorridiamo di mettere sotto processo un animale per omicidio, ma
la nozione di processo e di punizione per gli omicidi commessi da animali
non dovrebbe essere liquidata come ignobile farsa.
Facevano sul serio nel XVI secolo; e comprendere perché un maiale venisse
processato, imprigionato e impiccato per omicidio aiuta a capire come
mai la gente dovrebbe desiderare lo stesso destino per il lupo.
Deriva dal principio della punizione.
La mentalità accademica dell’epoca faceva di tutto per osservare rigidamente
i principi e uno dei principi più vecchi della giustizia è quello della punizione.
La lex talionis, la legge ebraica dell’occhio per occhio.
Non si trattava di una semplice vendetta, ma tendeva a preservare un ordine
cosmico. Nessun atto di uccisione doveva rimanere impunito, inespiato. Se
una trasgressione così seria rimaneva impunita, i peccati del padre ricadevano
sui figli. Lasciare un omicidio impunito nella comunità, quindi, significava l’ira
di Dio sotto forma di malattia e carestia.
Sebbene non fosse più considerata sollecita, la legge della punizionerappresentava
una volta una forte influenza sul pensiero legale. E nonostante uomini come
Tommaso d’Aquino considerassero gli animali come inconsapevoli strumenti
del Diavolo, come il tramite con cui Dio portava il dolore e la sofferenza
che mettevano alla prova la tempra dell’uomo, non c’era alcuna differenza:
chiunque interferisse con il progetto e la giustizia divina doveva essere castigato.
Se un cavallo scalciava a morte un bambino pestifero, doveva essere processato
e impiccato. Portato al suo eccesso, questo pensiero voleva dire che l’uomo
suicida per mezzo di un coltello fosse processato, la sua mano mozzata e
punita in separata sede, e il coltello bandito, gettato oltre le mura cittadine.
Anche quando questi processi agli animali cessarono, l’idea che l’omicidio
umano dovesse essere espiato persistette. Di recente era ancora preservata
nella legge inglese dei deodanti. Il carro che investiva un uomo veniva venduto
e il ricavato andava allo stato che, in teoria, aveva perso i servigi di quel
cittadino. Non era certo necessario un ragionamento del genere per spingere
un uomo a volere la vita di un lupo sospettato di aver ucciso un essere
umano, ma è importante notare che gli uomini si sentivano in obbligo
morale, e non semplicemente in diritto, di trovare la bestia e abbatterla.
Non importava che i lupi fossero esseri senzienti o sciocchi strumenti di
Satana, che uccidessero deliberatamente o in modo accidenatale o che
fossero sospettati di aver ucciso qualcuno: lo spirito del deceduto doveva
essere vendicato da un’azione punitiva.
L’idea del castigo al quale era connesso il macello di bestiame, cioè l’omicidio non
umano, prese piede per due ragioni. Anzitutto, esisteva una concezione di
pecore e bovini come creature innocenti incapaci di vendicarsi, quindi sotto la
tutela dell’uomo: ‘Uccidi la mia pecora e ucciderai me’.
In secondo luogo si credeva che gli animali domestici fossero innatamente buoni
e il lupo innatamente malvagio, e che quest’ultimo fosse in qualche modo al
corrente della natura del suo atto quindi un omicida intenzionle. In seguito,
ossia nell’America del tardo XIX secolo, questo atteggiamento pretettivo del
bestiame innocente, della sua rettitudine, divenne un elemento centrale, un
fondamento giuridico delle bounty laws e dei programmi di avvelenamento
con cui si intendeva liberarsi dei lupi, elemento tanto cruciale quanto la
perdita economica.
Altre idee presero origine dal Medioevo e contribuirono a far credere che
uccidere lupi fosse moralmente corretto. Nella mentalità popolare veniva
fatta una distinzione tra animali come il cane e la vacca, che servivano l’uomo,
e il lupo e la donnola, che arrecavano dolore. Si discriminava tra bestes dulces
o bestie dolci, e bestes puantes o bestie fetide. Il contrasto tra lupo e daino,
tra corvo e colomba rende a sufficienza l’idea.
Un altra importante idea era la credenza che gli animali fossero stati portati
sulla Terra per servire l’uomo che ‘nessuna vita può soddisfare Dio se non
è utile all’uomo’. L’uomo riteneva di avere il dominio sugli animali alla
stessa stregua del dominio che esercitava sugli schiavi, per cui poteva
permettersi qualsiasi cosa. Ripulire la foresta dai lupi affinché l’uomo potesse
allevare bestiame era perfettamente giusto.
Non solo, ma incontrava l’approvazione di varie denominazioni religiose che
ammiravano tale ingegno, e dello stato, il cui scopo era ottenere una campagna
soggiogata, adatta al pascolo e produttiva.
Il pensatore francese René Descartes elaborò un’alta argomentazione a sostegno
dell’uccisione dei lupi. Sostenne che gli animali non fossero giunti sulla Terra a
uso e consumo degli uomini, ma che fossero di umili natali, senza anima, per
cui l’uomo non incorreva in alcuna colpa morale nell’ucciderli. Si trattava della
negazione formale di un’idea ‘pagana’ incompatibile con il pensiero della
Chiesa romana, secondo la quale gli animali avevano uno spirito, non dovevano
essere uccisi in modo arbitrario e non appartenevano all’uomo.
(Barry Lopez, Lupi)