IL VILLAGGIO

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Il villaggio (2) &

Mentre crescevo…

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i miei libri 

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La mattina dopo aver zappato o forse dopo aver letto

o scritto, di solito mi bagnavo nuovamente nel lago,

nuotando attraverso una delle sue insenature, tanto

per tenermi in esercizio, e così mi lavavo via la pol-

vere del lavoro o facevo scomparire l’ultima ruga che

lo studio mi aveva lasciato, e per il pomeriggio ero

completamente libero.

Ogni giorno o due facevo una passeggiata fino al vil-

laggio per sentire qualcuno dei pettegolezzi che là

continuavano, senza posa, a circolare di bocca in boc-

ca o di giornale in giornale, e che, presi in dosi omeo-

patiche, erano realmente rinfrescanti, a loro modo, co-

me il fruscio delle foglie e le fugaci apparizioni dei

ranocchi.

Come passeggiavo nei boschi per vedere gli uccelli e

gli scoiattoli, così passeggiavo nel villaggio per vede-

re uomini e ragazzi, e invece del vento tra i pini, udi-

vo il rumore dei cani.

In una certa direzione, da casa mia c’era una colonia

di topi muschiati, nei prati del fiume; nell’altra dire-

zione, sotto il boschetto di olmi e di sicomoro, c’era

un villaggio di uomini indaffarati, altrettanto interes-

sati, per me, che se fossero stati cani della prateria,

ognuno seduto all’entrata della sua tana, o in corsa

verso quella del vicino, per chiacchierare.

Andavo spesso a osservare le loro abitudini.

Il villaggio, mi appariva come una immensa sala d’in-

formazione, e per mantenerlo in vita, come un tempo

in State Street, da Reading & Co., tenevano da un lato

noci e uve e sale e carne e altri generi coloniali. Talu-

ni hanno un grande appetito per il primo genere di ci-

bo che ho nominato, cioè per le notizie, e posseggono

organi digestivi tanto sani, che possono sedere eterna-

mente immobili, sulle strade pubbliche, lasciando che

le informazioni ribollano e sussurrino attorno a loro

come venti Etesii, quasi stessero inalando etere, il qua-

le produce solo torpore e insensibilità al dolore, ché

altrimenti udire sarebbe spesso doloroso, senza infir-

mare la coscienza.

Quasi sempre, vagabondando per il villaggio, vedevo

una fila di tali valentuomini, seduti al sole, sopra una

scala, con il corpo inclinato in avanti e gli occhi che 

guardavano a destra e poi a sinistra, a tratti, con vo-

luttà, oppure se ne stavano appoggiati a un granaio, le

mani in tasca, simili a cariatidi, ché pareva davvero lo

stessero sostenendo. 

Poiché di solito erano fuori casa, sentivano tutto ciò che

stava nel vento. Questi sono i mulini più grossolani, nei

quali ogni pettegolezzo è dapprima rozzamente digerito

o macinato, avanti di essere vuotato in tramogge più fini

e delicate, dietro la porta di casa. 

Osservai che le parti vitali del villaggio erano il negozio

di generi alimentari, l’ufficio postale e la banca, e che, co-

me parte essenziale del macchinario, erano tenuti in luo-

ghi adatti una campana, un grosso cannone e una pompa

da incendio; e che le case erano disposte in maniera tale

da trarre il miglior partito dall’umanità, cioè lungo senti-

eri e l’una di fronte all’altra, cosicché ogni passante dove-

va passare sotto le forche caudine degli sguardi di tutto il

villaggio, e ogni uomo, ogni donna e ogni bambino poteva 

tagliarli i panni.

Naturalmente, quelli che erano piazzati in prima linea, do-

ve potevano vedere ed essere visti meglio di tutti, e da do-

ve potevano sferrare il primo colpo di forbice, pagavano i

prezzi più alti per il loro posto; mentre i pochi sparsi abi-

tanti dei sobborghi, dove cominciavano ad apparire lar-

ghi vuoti nelle file e il passante poteva scavalcare muric-

cioli o scantonare in un sentiero da vacche e così darsi al-

la fuga, pagavano un’imposta di terreno o di panorama,

assai bassa.

(Thoreau, Walden o vita nei boschi)

 

 

 

 

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IL VILLAGGIOultima modifica: 2014-10-06T00:00:00+02:00da giuliano106
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